Nell’articolo “Gianni Widmer: aviatore di frontiera” vi avevamo promesso un approfondimento su questo personaggio. Suo cugino, Claudio Widmar, lo racconta così.
Presentare nel salotto culturale ed artistico di “centoParole” un personaggio come Gianni Widmer a prima vista può sembrare impresa non facile. In questo ambiente – seppur virtuale – vi si assapora quell’atmosfera ovattata e gradevole di altri tempi, dove si tende a mettere in evidenza non tanto l’evidenza dei fatti e la realtà dei personaggi per ciò che appaiono, quanto, piuttosto, tutto ciò che si cela dietro di loro e la cui scoperta è lasciata alla sensibilità ed alle emozioni spontanee di chi si accinge a scoprirne l’essenza nascosta: sia esso un ricercatore, un critico, un semplice cronista. È un ambiente per un’incursione nello “slow time”, per chi desidera lasciare da parte, almeno per qualche istante, i ritmi frenetici quotidiani e leggere, comprendere e fare proprie emozioni, parole, immagini, personaggi.
Dire che Gianni appartiene per nascita e per famiglia solo a Trieste, significa risolvere la questione in poche parole. Dire che solo a Trieste è stato più volte apprezzato e portato in trionfo, è affermazione che già può generare qualche curiosità. Dire, infine, che Gianni è stato, ed è ancora adesso, un patriota, seppur a modo suo, inizia a collocarlo in una dimensione di un certo interesse, se si vuole riconoscere che la Storia di uno Stato è fatta di tante piccole storie. Storie come la sua. Gianni ha in sé qualcosa di artistico, se di arte del volo si può parlare; porta in sé quella libertà di esprimere la propria anima nello spazio tridimensionale come un pittore o, meglio ancora, uno scultore, che desideri raffigurare se stesso con il pieno controllo di pennello e colori, di scalpello e, infine, del mezzo aereo.
Nato a Trieste nel 1892 da famiglia benestante, in quel clima di meraviglia e stupore nel quale già si iniziavano ad assaporare le prime e sempre più incalzanti invenzioni, che troveranno il loro corso e consolidamento nei primi anni del Novecento: il motore a benzina, le prime autovetture, le “macchine per scrivere”, il dirigibile, la prima lavatrice elettrica, la radio e molte altre che ancor oggi continuiamo ad utilizzare.
E così fu per una delle “tante” invenzioni: quella dell’aereo “Flyer” ad opera dei noti fratelli Wright, avvenuta nel 1903, dopo infiniti tentativi in tutto il mondo, oserei dire iniziati sin da Leonardo da Vinci o forse ancor prima, se riconosciamo nel mito di Icaro, l’essenza dell’universale desiderio umano di metter le ali.
Gianni, all’epoca dei Wright, aveva solo 11 anni e, sebbene le notizie giungessero con un comprensibile ritardo e, magari, incomplete, una notizia come quella di un uomo che controlla una macchina volante, fece ovunque tanto scalpore che indubbiamente ne rimase perennemente colpito. Possiamo solo immaginare la sua emozione di ragazzo che, successivamente, lo vide lettore o spettatore di altri esperimenti simili; proprio a due passi da casa sua da parte di tal Luigi Rupnik che espose, in via Vasari a Trieste, il suo aereo e che poi sperimentò senza successo; oppure, qualche chilometro più in là, da parte della famiglia Rusjan a Gorizia. Senza contare che nel 1908, in uno dei due primi cinematografi di Trieste, si proiettò il film “Volo di Delagrange sulla piazza d’armi torinese”. Il papà Giovanni, ingegnere, e quindi predisposto alla scienza, alla tecnica ed al progresso, senz’altro avrà più volte discusso in famiglia di tali argomenti e, sicuramente, del film distribuito proprio dal fratello Ettore Widmer, zio di Gianni.
È fatta. Il primo virus dell’aria aveva contagiato Gianni. “Allora può volare chiunque…”, avrà senz’altro esclamato… “chiunque” ma con tanta passione e tanto coraggio… che in cuor suo riconosceva di avere, oltre ad una buona dose di cocciutaggine. Anche perché gli studi non andavano tanto bene… Ma la sua scoperta fu anche un’altra e, forse, quella determinante. Una fantasia che lo portò più lontano di dove i suoi occhi potevano vedere, oltre l’orizzonte di una città “italiana” chiusa, ma non soffocata, nella protezione dall’Austria avvenuta nel lontano 1382. La storia ci spiega il “perché” ed il “come” ciò sia potuto accadere. Ma a Gianni interessava il presente: Trieste era italiana! Per Gianni l’aereo poteva superare ogni frontiera… e gli venne una grande idea. Superare le barriere delle frontiere austriache, per giungere a Roma e portare il messaggio della “italianità” di Trieste. Dal momento di quella folgorazione in poi è tutto intensa cronaca storica e personale: il mancato conseguimento del brevetto alla Scuola di volo di Pordenone, chiusa proprio alla prova finale; il rilascio del tanto desiderato brevetto al campo di volo milanese di Taliedo il 30 maggio del 1911. Gianni aveva solo 19 anni! Da quel momento in poi, finalmente, Gianni avrebbe potuto volare oltre ogni confine.
Poco dopo ricevette in dono dal padre un aereo Blériot; aereo divenuto in pochi mesi famoso, soprattutto perché nel 1909 Louis Blériot compì per primo l’attraversamento della Manica e, successivamente, fu il primo aereo ad essere prodotto in serie. Benché non esistesse (ancora) l’aviazione commerciale, già si pensava all’uso militare del mezzo aereo. In quegli anni, però, era tutto un susseguirsi di “esperimenti di volo”, leggasi “dimostrazioni”, ai quali Gianni prese parte con animo pionieristico e con la consapevolezza che se voleva raggiungere Roma – impresa non facile per un aereo di legno e tela – avrebbe dovuto fare molta pratica e guadagnare molto. Sì, perché durante queste prove se si era tra i migliori nelle varie “specialità”, si guadagnava, a volte anche molto. Le cronache dell’epoca, la storia ed il libro recentemente scritto da Mauro Antonellini “Gianni Widmer aviatore di frontiera”, narrano di decine e decine di prove alle quali Gianni partecipò in Italia, in Austria e nella penisola balcanica. Da qui nasce la vera storia dell’aviazione, fatta da tanti arditi pionieri e da una intensa attività in ogni dove. Molti furono anche gli incidenti che Gianni subì senza particolari conseguenze. In analoghi incidenti molti altri vi persero la vita.
Il suo fu un avvicinamento graduale verso Roma. I voli sopra Trieste con l’alabarda ed il tricolore sempre dipinti ed ostentati sull’aereo, quasi a sbeffeggiare i soldati austriaci. Il raid verso e da Venezia, il volo verso Ravenna e, soprattutto, quando non c’erano prove ufficiali, si poteva inventare una manifestazione aviatoria. Così fu per il leggendario volo a San Marino, dove fu accolto con tutti gli onori; ancor oggi è ricordato per questa impresa, che avvenne il 16 aprile del 1913 e in memoria della quale venne subito eretto un cippo, ancor oggi esistente; il secondo cippo al mondo dedicato ad un pioniere dell’aviazione. Finalmente l’11 aprile 1914, dopo una traversata iniziata alcuni giorni prima, riuscì a portare il saluto di Trieste italiana a Roma Capitale. Da quel momento in poi si susseguirono altri numerosi voli, ma la Prima Grande Guerra era alle porte e lui non poteva e non voleva combatterla contro l’Italia!
Riassumere oggi la sua impresa in poche righe è poca cosa. Dietro al personaggio quante emozioni e sofferenze. Colpi di scena che continuarono anche quando scappò con un battello a vapore dalla Trieste ancora austriaca, nascosto tra alcuni materassi. In Italia fu seguito, pedinato, guardato con sospetto perché, si diceva, avrebbe potuto essere una spia austriaca. Non fu mai esaudito, per questo motivo, il suo desiderio di far parte della neonata aviazione italiana! Quando le acque si quietarono divenne uno dei primi collaudatori nelle grosse fabbriche italiane di aerei e, infine, pilota istruttore e pilota delle prime aviolinee italiane che sorsero anche a Trieste.
Morì il 30 ottobre del 1971 in un banale incidente con un motorino. Così si chiudeva la galleria delle sue numerose ed impalpabili opere artistiche, dipinte e scolpite nell’aria con due ali non sue. Evoluzioni ed imprese che, a stento, sono ricordate nella sua città natale ed il cui ricordo è ancora, talvolta, presente all’estero e, soprattutto, a San Marino. Il cugino Gianni fu solo un piccolo, ma ancor oggi presente, esempio di dove si può arrivare, trascendendo le vicende storiche e guardando alle origini più lontane; un esempio che ti fa assaporare un grande desiderio di fuga e libertà da uno spazio o da uno Stato che senti che non ti appartiene e che talvolta ti opprime o, quanto meno, ti trattiene a causa di fatti e circostanze storicamente generatisi nel corso del tempo.
Origini che mi riportano alla visione di quella Terra unitaria, realmente esistente e da poco scoperta, la Pangea, e ad una altrettanto unitaria origine umana comune; origini unitarie che oggi ,invece, si disperdono in un mare di interessi diversificati. Per rimanere nel nostro piccolo mondo, quello che di tanto in tanto osservo in diretta con le telecamere della International Space Station che ci “vola” a 400 km di altezza sopra la testa (dove lavora la ben nota Samantha), non posso dimenticare che tra i primi maldestri tentativi di distaccarsi dal nostro piccolo pianeta, vi sono state tante piccole figure di artisti e di veri pionieri che, come Gianni, hanno dimostrato l’ostinazione, il coraggio e la volontà di proseguire verso le più ardite strade dell’umana evoluzione, non solo artistica, culturale e tecnica ma anche, e soprattutto, sociale e politica.
Claudio Widmar © centoParole Magazine – riproduzione riservata
la redazione ringrazia l’autore