25.02.2019 – 08.37 – Traslocare non è facile: abbandonare dove, per lungo tempo, hai affondato le radici della tua vita, instaurando legami, creando abitudini e conoscendo chi ti sta intorno è un passo importante nella vita di chiunque.
La difficoltà cresce ancora di più quando ciò che lasci è un paesino di montagna con 800 anime per arrivare in un capoluogo con 200.000 abitanti. Sapevo che la vita universitaria mi avrebbe portato lontano da casa e, anche se un po’ di preoccupazione non si fece attendere, non vedevo l’ora di partire.
Ed eccomi qua: con le mie valige, pronta a cominciare questa nuova esperienza di vita che da Camporosso in Valcanale mi porta a Trieste.
La prima cosa che mi colpisce è l’emozione che si prova ancor prima di arrivare: già a distanza infatti, che tu sia in macchina o in treno, ciò che si vede dal finestrino è comunque mozzafiato; da un lato il verde degli alberi e le rocce delle alture triestine, dall’altra l’ipnotica distesa d’acqua che si presenta davanti a noi in tutta la sua imponenza, quasi fosse un guardiano che tiene d’occhio le porte della città.
Le sensazioni che provo per Trieste sono fin da subito positivamente contrastanti: se da un lato ritrovo le mie amate montagne, essendo abituata alle meravigliose Alpi del tarvisiano, voltando leggermente lo sguardo scopro una natura inedita ai miei occhi, quella marittima, che mi colpisce ed interessa.
La prima volta che arrivai ero in macchina, ma il primo vero assaggio di Trieste è il mio arrivo in treno: dopo esser scesa dal vagone mi rendo subito conto che tutto sarebbe cambiato, o quasi.
Gente, gente ovunque. Quando passi 18 anni della tua vita in un paese, conoscendo ogni singolo individuo che passa davanti al tuo naso, è difficile creare un immaginario nel quale le cose possano cambiare; mentre ora osservo visi di ogni genere, inediti al mio sguardo, pensando a quante possibilità ho di conoscere qualcuno, di fare qualcosa di diverso dall’usuale, e quanti visi vedrò e dimenticherò dopo un paio di falcate. Cammino con la mia valigetta e, ormai addestrata su come arrivare al mio appartamento con l’autobus, attraverso la lunga stazione per raggiungere la fermata della linea 17. Le porte automatiche della stazione si aprono e davanti a me svelano la vera e propria Trieste città: taxi, linee dell’autobus da perdere il conto e il curvone che precede la stazione gremito di automobilisti. Nella mia testa i pensieri si accavallano ma uno prevale sugli altri: come può una città unire la calma del mare, degli alberi e delle montagne all’esuberanza, alla confusione e alla freneticità del centro città?
Non so come sia possibile, ma Trieste lo fa e anche molto bene.
Chiara D’Incà
La mia Trieste Meravigliosa: una proposta di lettura