Achille Lauro nudo a Sanremo: come interpretarlo?

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Achille Lauro, per la seconda volta sul Palco dell’Ariston, torna a far parlare di sé: questa volta ad essere attaccata non è il testo della canzone, com’era successo per Rolls Royce, ma l’esibizione singolare che l’artista ha deciso di portare per la prima serata di Sanremo 2020. 
L’artista si è proposto con il pezzo “Me ne frego”, avvolto in una cappa nera con decori d’oro, per poi rimanere, nel bel mezzo della canzone, ‘nudo’.
Ha dunque concluso la sua esibizione scalzo, mostrando al pubblico il suo corpo filiforme ricoperto di tatuaggi, coperto solamente da una sottile tutina intima aderente, impreziosita di strass, tra clamore e perplessità del pubblico.
Un momento, stando alle dichiarazioni  dell’artista, di estasi mistica in cui lui, così dannato e controverso, ha personificato un San Francesco moderno.
Una scena di pittura “vivente” attribuita a Giotto, tratta delle Storie di san Francesco della Basilica Superiore di Assisi.
La scelta di Lauro, evidentemente allegorica, desidera rappresentare l’abbandono delle ricchezze superflue per abbracciare la vocazione.
L’esibizione fa tendenza e “Me ne frego” è tra i video più cliccati su Youtube, diventando virale in poche ore.
La performance viene bombardata però dalla critica, accusando Lauro di essere ‘Imprenditore di se stesso’ e dunque attuando una mera commercializzazione della propria persona, poichè il mantello portato dall’artista nella prima parte dell’esibizione è firmato dalla nota casa di moda Gucci.
Per poter comprendere al meglio le motivazioni che hanno spinto Achille Lauro a scegliere uno spettacolo simile è necessario fare un passo indietro e rileggere il libro dell’artista, ‘Io sono Amleto’. 
Tra le pagine, oltre alla sua storia travagliata, spicca la figura dell’arte, molto cara a Lauro, che, come una musa, lo ha guidato nel suo cammino di “redenzione” e rinascita.
Una compagna di vita mai abbandonata, che porta l’artista a manifestarsi in mille forme e a mutare anno dopo anno. 
Achille Lauro è un provocatore e, si, è senza dubbio imprenditore di se stesso: dalla sua casa discografica, la No Face Agency, al suo libro, fino ad arrivare alle produzioni uniche create in collaborazione con il collega e amico Boss Doms.
Ma ciò che l’artista romano riesce a fare egregiamente, portandone poi i risultati sul palco, è osservare e comprendere la società, trovarne i vizi e i punti vulnerabili, sfidando quei pregiudizi che la rendono schiava del senso comune.
Al di là del Festival, Lauro utilizza sempre l’estetica per innescare nel prossimo una reazione: vestiti da donna, colori sgargianti e abiti sontuosi, portano alla ricerca di quel disagio che la società del senso comune prova guardandolo mentre, imperterrito sul palco pare sussurrargli, con quel velato sorriso gagliardo: “Guardami bene, avvicinati pure se vuoi”.
Ma non finisce qui: ciò che stupisce, guardando il volto dell’artista al momento topico dell’esibizione, non è tanto il mantello di Gucci che scivola in terra, ma la reale vulnerabilità di Lauro: un sorriso quasi imbarazzato, con le spalle strette e le gambe femminilmente unite. 
Un gesto che lo riporta, volontariamente, sotto la gogna mediatica ma che sul palco dell’Ariston ha portato ad un momento di apertura dell’artista al mondo. 
Si può dunque dire molto sulla scelta del giovane romano: un vizio estetico, un modo per farsi vedere, una personificazione allegorica e spirituale, una provocazione, una mercificazione del soggetto o, infine, un’espressione artistica che sfida il senso comune. 
Ebbene sì, Me ne Frego di Achille Lauro è esattamente il connubio squisitamente disturbante di tutte queste definizioni. 

 

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