Che belli i telefoni di una volta, la cornetta pesante e massiccia, il profumo leggero della bachelite nera, il disco combinatore, il filo in seta intrecciata…. Ricordano un’epoca migliore, più semplice, fatta di rispetto e buone maniere.
A proposito di rispetto e buone maniere, sono capitato su Youtube su una vecchissima canzone ballabile, uno slow del dopoguerra, Thank You For Calling. La versione più popolare ha la voce impostata, calda e suadente di Jo Stafford, cantante di gran moda all’epoca. Elegante, signorile, la dizione perfetta, incarnava la signorilità femminile nell’America di Truman (che detto per inciso per i più giovani non ha nulla a che vedere col Truman Show: si tratta del presidente Harry Truman (1945-1953) e dell’epoca che rappresenta).
La canzone, è oggi di difficile interpretazione per un giovane, causa anche il mutamento della tecnologia. Inizia col familiare trillo di campanella, che magari un Millennial conosce perchè i moderni cellulari lo propongono come suoneria in genere chiamandolo ‘Nostaglia’ o altri nomi appropriati. In quell’epoca felice, più semplice, più educata, non esistevano i cellulari, si sa, ma nemmeno la teleselezione, cioè la possibilità di raggiungere utenti di un’altra città, stato, continente, semplicemente digitando un prefisso. Allora vi era l’Operatore, il Centralino. Cortesi signorine erano a disposizione 24/7 e connettevano il vostro telefono con l’utente desiderato, se fuori città (Long Distance Call). Data la spesa non indifferente che questo tipo di chiamata esigeva, esisteva la possibilità, almeno nei paesi Anglosassoni, di effettuare una Person to Person call: l’operatrice riceveva non solo il numero da chiamare, ma anche il nome esatto della persona da contattare. Se qualcuno rispondeva, si verificava che la persona desiderata fosse all’apparecchio e solo in tal caso veniva passata la linea al chiamante connettendo gli spinotti (qualche vecchio film l’avrete pur visto, no?).
La canzone parla appunto di una educata signora dell’epoca che riceve una Person to Person Long Distance Call, un’interurbana personale diremmo noi oggi .
Il telefono squilla, la signora si domanda chi mai possa essere ad un’ora cosi tarda e risponde esitante. “Si sono io..” dice, lasciandoci intendere la voce della centralinista che le domanda l’identità prima di connetterla, ed ecco che inizia la vicenda, vera e propria. Una canzone monologo che ricorda un po’ le telefonate teatrali a una voce della mitica Franca Valeri, gloria del teatro italiano,oggi quasi centenaria. Una vicenda che, con la sua suadente melodia, è anche istruttiva perchè insegna alle signore e signorine di allora come si comporta una vera signora, in quei tempi semplici ma felici ed educati.
La telefonata, dunque, è -l’avevamo già intuito- del suo amato, da tempo lontano e da qualche tempo anche in silenzio-stampa. Lei, ovviamente, essendo una vera signora, lo attendeva fedele e fiduciosa. Lui dunque la chiama nel cuore della notte: immaginiamo un fuso orario diverso, in USA succede, e il fatto che l’amato non abbia fatto bene i conti- “so late in the night…” – oppure non se ne sia curato più di tanto. Nessun problema: una vera signora è sempre a posto, sempre sul pezzo. Piena di gioia per l’improvvisata, una gioia tale da provocarle lacrime agli occhi – chissà perchè, si domanda- lei gli chiede trepida quando arriverà, a che ora attenderlo.
La delusione prende subito il sopravvento: l’amato non intende affatto venire. Ll’ha chiamata invece per farla partecipe della sua nuova felicità che ha trovato con un’altra donna. La signora, dopo un iniziale smarrimento, non si scompone e gli augura affettuosa ogni felicità.
L’epoca è un’epoca migliore, più educata, ricordiamolo: anche lui, forse mosso a temporanea pietà o più probabilmente per automatismo di reciprocità, le augura qualcosa sulla sua vita al che lei risponde con mesta letizia: “Si, grazie…proverò!” e chiude signorilmente ringraziandolo di aver chiamato e augurandogli ogni bene.
Lo stoicismo di cui dà prova vacilla nella strofa seguente: apprendiamo che la signora è rimasta fissa all’apparecchio dopo terminata la comunicazione (oggi lo chiamiamo shock traumatico, ma quella, ricordiamolo, era un’epoca migliore, più felice). La signorina del centralino la riprende notificandole che il suo contatto ha già chiuso la comunicazione. Lei, tornata padrona di sè stessa, dice, con evidente doppio senso, di sapere, si, che ormai se n’è andato ma aggiunge una nota intima, quasi parlando a sè stessa, e dice per giustificare questo suo trattenersi all’apparecchio oltre il dovuto che lei lo amerà comunque, fino al suo ultimo giorno. A quel punto, signorilmente, ringrazia la signorina per il servizio e, con impeccabile stile anni Cinquanta, tornata completamente padrona di sè, si congeda augurandole educatamente la buona notte.
….
Che bei tempi. Che bella educazione, che signorilità, che compostezza. I bei tempi della Tradizione, quando le donne erano donne e gli uomini portavano i pantaloni, altrochè. E non cierano tutte cuelle brutte kose di oggi…
Ecco. Se vi piace questa storia, se vi ci riconoscete, ne condividete i valori, evviva. Questi anni di neo-conservatorismo, anzi di neo-tradizionalismo saranno per voi come il formaggio per i topi. O per le pantegane.
Se invece, specie se siete donne (ma oggidì capita anche a noi maschietti di essere piantati per SMS o con modalità altrettanto simpatiche quali quelle usate dal tizio della canzone) i bei tempi educati e felici hanno messo un brivido misto a voltastomaco, bene.
La prossima volta che i nuovi politici agitano la bellezza della Tradizione -Diopatriaefamiglia- contro questa decandenza di oggi, che anelate all’educazione dei bei tempi andati, più semplici, più felici, andate su youtube e ascoltatela. La Tradizione era quella, quello è ciò che ci si aspettava da voi: composta sottomissione.
Buon ascolto. E buone meditazioni.