Domenica 19 Maggio si è conclusa dopo otto lunghi anni la saga televisiva di Game of Thrones (Il Trono di Spade) ispirata al ciclo di romanzi di George R. R. Martin A Song of Ice and Fire.
Dal 2011 la serie, acclamata dalla critica, ha generato un seguito mondiale senza precedenti, risultando la più piratata di sempre.
La conclusione, anzi l’intera ultima stagione, ha lasciato molti con l’amaro in bocca, infuriando i fan al punto da far nascere una petizione online per la riscrittura degli ultimi 6 episodi.
Problemi di produzione ci sono stati: è inaccettabile,in una serie di tale qualità e con un tale budget, la presenza di sviste come il bicchiere di caffè e le bottigliette di acqua dimenticate in scena. Dov’erano il regista, il montatore e tutti gli altri quando, in una delle scene clou, Nikolaj Coster-Waldau (Jamie Lannister) abbraccia la sorella dimenticando di indossare la protesi che caratterizza il personaggio?
Eppure, la rabbia dei fan non si è concentrata su questo genere di problemi. Se la realizzazione visiva è stata riconosciuta come sontuosa, la recitazione è rimasta su altissimi livelli e la colonna musicale è stata quasi universalmente apprezzata, è proprio la scrittura stessa, lo storytelling, che a detta di molti ha fatto acqua.
Cosa non è piaciuto?
In particolare e soprattutto l’evoluzione dei personaggi, da molti vissuta come un vero e proprio tradimento. Non è una critica da poco per una produzione che ha fatto del realismo e dell’umanità dei personaggi la base del proprio successo. In tanti non hanno riconosciuto nelle azioni dei personaggi i beniamini che avevano imparato ad amare, o a odiare, in questi anni.
A nostro parere invece le scelte che i protagonisti prendono in questa stagione finale sono quasi obbligate, visto il tessuto della trama e la loro natura così come ci è stata raccontata. Gli autori hanno posto particolare cura a disseminare l’intera saga di indizi e anticipazioni sulla futura evoluzione dei personaggi. L’ambiguità della natura di Daenerys, con la possibilità che si verificasse ciò che in molti hanno percepito come un “voltafaccia” di un personaggio positivo ed amatissimo, era stata ventilata e ribadita più e più volte. In realtà la progressiva disumanizzazione della ragazzina che conosciamo nella prima stagione a causa dell’esercizio del Potere, inizia con la sua stessa acquisizione. Come ricorda giustamente Tyrion in uno dei suoi monologhi finali (eccezionale la bravura dell’attore Peter Dinklage), i sostenitori della Madre dei Draghi l’hanno giustificata a lungo per le sue azioni che pure facevano presagire la sua reale natura, e così hanno fatto moltissimi suoi fan. L’abbiamo vista bruciare ed uccidere, ma le sue vittime erano malvagie; l’abbiamo vista cinica nei sentimenti: Rob Stark si sacrifica per sposare un’ illustre sconosciuta, la “Regina democratica” mai si sognerebbe di sposare per amore e non per politica e non si fa scrupolo di abbandonare chi la intralcia o è diventato inutile, lei però lo fa per perseguire l’Alto Compito di liberazione del mondo che sente come il suo Destino.
Daenerys è solo l’esempio più eclatante, ma ogni personaggio in questa stagione è vittima del Potere nelle sue diverse forme. Tyrion non è improvvisamente diventato meno intelligente ma, schiacciato da una responsabilità che pensava arrogantemente di poter gestire, mostra i suoi limiti e la sua fallibilitá, legata all’ambiente e agli ideali aristocratici in cui é cresciuto: si accorge improvvisamente che frequentare i bordelli e le persone di basso ceto non gli ha davvero aperto gli occhi sul mondo. È e resta un privilegiato, si culla nell’illusione tragica che il Potere possa essere ‘buono’, si rifiuta di prendere nota dei segnali che sta sbagliando tutto. Varys, di altra origine e di più lucide vedute, lo capisce e Tyrion lo tradisce prima e lo abbandona al suo destino poi, salvo rammaricarsene amaramente alla fine. Jon Snow ha sempre accettato responsabilità e potere con riluttanza, ma nessuno poteva prendersene carico al suo posto prima della giovane Targaryen; alla prima possibilità concreta di passare il testimone, e fuorviato da un giovanile innamoramento, dimostra tutta la sua irresolutezza, i suoi dubbi, che magari ce lo rendono più simpatico ma che non sono certo la stoffa di cui è fatto un vero leader.
Ecco: quello che vediamo nell’opera, a nostro parere, in questo finale di saga, è un tema tipicamente Martiniano, e cioè la critica all’Autorità, al Potere, alla società, percepiti come impossibili da rettificare. L’Autorità sarà sempre contraria, o semplicemente incapace, di comprendere e agire per il bene chi non la possiede, il Potere corromperà sempre il suo detentore e chi lo cerca mentre la società rimarrà sempre cieca e al traino di chi la comanda.
Non è certo una morale da favola quella che ci propongono i produttori di Game of Thrones, ma mai ci hanno spinto a vedere questo nella serie. Eppure una gran parte del pubblico è rimasto deluso, avendo creato aspettative ben diverse.
Ma quindi di chi è la colpa? Dei produttori o degli spettatori?
Ovviamente la responsabilità è da entrambi i lati. Il pubblico tende a vedere ciò che vuole vedere, spesso non pone reale attenzione a quello che viene mostrato, creando dei propri immaginari e rifiutando gli elementi che non si sposano con la sua idea. Ma è qui che ha fallito Game of Thrones, perchè è stato incapace di ascoltare e capire i propri fan, ed esattamente come loro hanno idealizzato i personaggi della serie, la produzione ha idealizzato il proprio pubblico, non vedendo che forse aveva bisogno di essere accompagnato al finale con più dolcezza.
Di Giulio Campos e Pierluca Campajola