Musica al bar: il suono che viviamo (parte 2)

Oggi ascoltiamo musica prevalentemente tramite digitale. Ne parlavamo la volta scorsa, ricordi? Non hai più bisogno di portacassette o mobili in casa per i dischi, sta tutto in una chiavetta usb. Ma quanto deve essere capiente? Si da per scontato il peso dei file: «Sì, vabbè…tanto il brano è lo stesso» mi hanno detto in tanti, ma non è per niente vero.

Nel 1949, Claude Shannon e Warren Weaver elaborarono la teoria matematica della comunicazione. È molto semplice: è il principio secondo cui si basano la maggior parte delle comunicazioni odierne (dal telefono cellulare alla televisione): ho due persone, un mittente e un destinatario. Il primo deve mandare un messaggio al secondo. Per poterlo fare, il messaggio viene codificato e trasmesso per mezzo di un canale. Il messaggio dipende dal canale, poiché questo inserisce del rumore, e può essere arricchito o privato di ridondanza, la quantità di informazioni che mi aiutano a capire un messaggio (ti è mai capitato di ripeterti durante una telefonata dove la linea è disturbata?). Il messaggio, infine, viene decodificato dal destinatario in modo che risulti comprensibile. Capito? È il gioco del telefono senza fili che si faceva all’asilo.

Ora, per la musica questo modello ha diversi piani di applicazione: tecnico, estetico, eccetera. Limitiamoci a questo: ogni file che abbiamo sui nostri dispositivi ha un peso, pochi megabyte, tanti gigabyte. Questa cosa dipende, per l’audio come per il video, da un fenomeno chiamato digitalizzazione. Ti è mai capitato di usare delle griglie, durante le ore di disegno a scuola, per copiare un determinato soggetto? Prendo un quadro, lo inserisco in una griglia di tot per tot quadrati e procedo limitandomi a osservare cosa c’è in ogni singolo quadrato: più piccolo è il quadrato maggiore sarà il dettaglio che copierò, ma ovviamente vado ad arricchire (o appesantire) il disegno.

La domanda è: il quadro che sto copiando è lo stesso? Altra domanda: quanto piccoli devono essere i quadratini per ottenere lo stesso risultato dell’originale? La risposta è: dipende. A cosa mi serve la copia? Qual è lo scopo del lavoro? Torniamo al “rito”: Spotify, YouTube e gli altri, hanno server in giro per il mondo, delle “scatole” limitate nello spazio a disposizione. Dobbiamo riuscire a stoccare il più possibile entro lo spazio disponibile, sacrificando qualcosa. Walter Benjamin nel suo ‘Tesi di filosofia della storia’ scrive: «C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.». Nel bene e nel male siamo quindi condizionati da questa tempesta e sta solo a noi capire cosa dobbiamo portare con noi. Stiamo facendo bene? Beh…ai posteri l’ardua sentenza.

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