Kent Haruf. Le nostre anime di notte.

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[…]Probabilmente ti stai chiedendo cosa ci faccio qui, disse lei.

Be’, non penso tu sia venuta per dirmi che casa mia è graziosa.

No. Volevo suggerirti una cosa.

Eh?

Sì. Una specie di proposta.

Okay.

Non di matrimonio, disse lei.

Non pensavo neppure questo.

Però c’entra con una specie di matrimonio. Ma ora non so se ci riesco. Ci sto ripensando. Fece una risatina. In un certo senso è un po’ come un matrimonio, non ti pare?

Che cosa?

L’indecisione.

Può darsi.

Sì. Insomma, adesso te lo dico.

Dimmi, disse Louis.

Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me. […]

Kent Haruf, Le nostre anime di notte. Traduzione di Fabio Cremonesi, NN Editore 2017.

È con questa spiazzante richiesta di Addie che la penna di Kent Haruf ci colpisce fin dalle prime pagine del suo ultimo romanzo Le nostre anime di notte, uscito postumo per NN Editore. La proposta della vicina di casa di Louis è semplice. Dal momento che si sono ritrovati entrambi vedovi – a misurare la propria solitudine tra le vecchie mura delle loro rispettive case deserte, facendo i conti con i propri ricordi, i dolori e i segreti che di giorno se ne stanno acquattati negli angoli, mentre la sera, con la complicità del buio, escono fuori a dar loro il tormento – perché non attraversare la notte insieme?

Bastano queste parole di Addie a convincere Louis che in fondo non è una cattiva idea, che due anziani vicini di casa non solo possono diventare buoni amici, ma possono addirittura starsene sdraiati a letto l’uno accanto all’altra a chiacchierare alla luce della luna. Dopo averci riflettuto, Louis decide dunque di accettare la proposta, seppur conscio di trovarsi a Holt – immaginaria cittadina immersa nella campagna del Colorado, frutto della fantasia di Haruf – dove, come in ogni piccolo paesino, la gente mormora.

[…]Proseguì fino al cortile sul retro della casa di Addie Moore, ci entrò, superò il garage e il giardino e bussò alla porta posteriore. Attese un po’. Un’automobile percorse la via di fronte alla casa con i fari che brillavano. Sentiva i ragazzi delle superiori che si salutavano suonando il clacson lungo Main Street. Poi sopra di lui si accese la luce della veranda e la porta si aprì.

Cosa ci fai qui dietro? chiese Addie.

Ho pensato che così è più difficile che qualcuno mi veda.

A me non interessa. Lo verranno a sapere. Qualcuno ci vedrà. Passa dalla strada, entra dalla porta principale. Ho deciso di non badare a quello che pensa la gente. L’ho fatto per troppo tempo per tutta la vita. Non voglio più vivere così. Dà l’idea che stiamo facendo qualcosa di sbagliato o scandaloso, qualcosa di cui vergognarci. […]

È con la maturità tipica dell’età anziana che Addie e Louis cominciano a tenersi compagnia, ignorando i pettegolezzi e i giudizi dei concittadini perbenisti. Pagina dopo pagina, al buio di una notte qualunque, le parole dei due personaggi principali ci accompagnano attraverso le loro vite. Sembra quasi di vedere la loro immagine affiorare sulla carta. Se ne stanno distesi sul letto di Addie e, tenendosi per mano, lasciano che le proprie anime si incontrino e si raccontino, confessandosi a vicenda dettagli ed episodi di una vita che l’altro conosceva solo marginalmente.

Haruf ci conduce al nocciolo delle loro esistenze, facendoci curiosare tra le loro solitudini, i sogni mai realizzati, i dolori subiti e inferti, i tradimenti e le perdite che si sono insinuati nelle rispettive vite coniugali, creando distanze incolmabili.

Le nostre anime di notte è una storia scritta da un uomo ormai malato, che condivide la stessa urgenza dei due protagonisti del suo ultimo romanzo, quell’urgenza tipica di chi sa che il proprio tempo è agli sgoccioli. Ecco perché Addie e Louis si concedono il lusso di essere sinceri l’uno con l’altra. Non c’è nessun filtro tra loro, nessuna maschera a portata di mano da indossare. È la loro ultima occasione, giunta quando ormai non credevano più di averne una, ed per questo che decidono di mostrarsi a vicenda per ciò che sono, mettendo a nudo i propri difetti e le debolezze, senza temere il giudizio dell’altro.

Nel corso della lettura, li seguiamo con l’occhio di una madre un po’ apprensiva, mentre si scrollano di dosso il grigiore di una esistenza priva di sorprese, per fare spazio alle sfumature sopite del desiderio, dell’impazienza, della tenerezza. Li osserviamo mentre si riabituano piano piano all’idea di avere accanto qualcuno con cui condividere il quotidiano nella sua disarmante semplicità. Una gita in campeggio, una partita a softball, un giro alla fiera annuale della contea.

Haruf ci offre uno spaccato dell’età anziana e della solitudine che spesso la caratterizza, insegnandoci che a volte basta un po’ di coraggio per avere una seconda possibilità e ritrovare la speranza.

Le nostre anime di notte parla delle persone alle persone. Parla della vita di due individui, di una vita che in fondo potrebbe essere la nostra o quella dei nostri genitori o dei nostri nonni. Parla di matrimonio, figli, sogni, tradimenti, morte. Parla di noi, delle nostre fragilità, della nostra imperfezione, della nostra resilienza. Lo fa servendosi di una struttura essenziale, dove il dialogo la fa da padrone, senza bisogno di ricorrere a giri di parole o ad un narratore ingombrante.

Se all’inizio del romanzo il lettore si trova spiazzato di fronte alla proposta di Addie, pian piano comincia a comprenderla.

Certamente, il primo impatto non può che essere di sorpresa, forse addirittura di disagio perché, per una sorta di preconcetto culturale, siamo portati a pensare che, raggiunto il culmine della giovinezza, ci si debba limitare a spegnersi lentamente, vivendo in attesa di quell’attimo finale in cui la propria fiammella si estingue del tutto. Invece, la domanda di Addie suona quasi come una presa di posizione contro le convenzioni sociali e come per magia ci incolla alla pagina, rendendoci testimoni di un evento straordinario, che poi tanto straordinario non è. A ben vedere, siamo noi con i nostri pregiudizi a renderlo tale, perché in fondo cosa c’è di più normale di due esseri umani che si tengono compagnia?

Addie e Louis, con la saggezza tipica delle persone anziane, sanno che il loro equilibrio è precario e potrebbe incrinarsi, si rendono conto che il legame che ai loro occhi è cosi naturale, potrebbe infrangersi contro le barriere mentali di qualcun’altro. Presto, Addie si ritrova vittima dei giudizi e dei ricatti del figlio, che la metterà di fronte ad una scelta.

In questo libro, Haruf ci pone davanti ad uno specchio, mostrandoci il volto della grettezza umana. Quel riflesso siamo proprio noi, eternamente insoddisfatti e intimoriti da ciò che potrebbero pensare gli altri, eppure sempre intenti a giudicare chi, a differenza nostra, ha trovato il coraggio di vivere le proprie scelte.

 

Giulia Zorat © centoParole magazine – riproduzione riservata

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