Diario d’artista: fantasia ed omologazione

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Quando nasciamo, evolviamo dapprima lentamente; ma successivamente bruciamo le tappe della nostra vita con continui cambiamenti ed apprendimenti, trasformandoci in una delle specie che più ha fatto dell’adattamento, un’arma vincente nell’evoluzione e che ha permesso al genere umano, di sopravvivere fino dagli albori della sua genesi.
Di fatto l’essere umano è capace di reagire all’ambiente che lo circonda con risposte biologiche sempre in costante variazione a seconda delle necessità. Questo eclettismo biologico ci ha permesso di farci strada nelle giungle più ostili e primordiali e nei deserti più aridi.
Ma oggi voglio parlare di un’altra caratteristica umana che reputo ancora più importante, almeno sotto lo sguardo di un artista: la capacità di esprimere quella che comunemente chiamiamo “Fantasia”.
Ognuno di noi, da bambino, è straordinariamente dotato di fantasia; alcuni eccellono in giochi che ne fanno un uso continuo, altri meno, ma anche il bambino più timido ed isolato è in grado di produrre questa sostanza psichica che funge da motore del gioco e dell’apprendimento.

Non c’è attore più capace e versatile nella sua spontaneità, nessun interprete più naturale, nessun sceneggiatore più abile: inventiamo le storie, i personaggi, gli scenari in cui si svolgono le nostre azioni ludiche, con una tale capacità immaginativa, che riesce facilmente a trasformare la “normale” percezione della realtà, facendoci addentrare in mondi fantastici creati da noi e dai nostri compagni di gioco.
La facilità con cui cambiamo personaggio è pari a quella di cambiare un abito: passiamo dall’essere pirati ad astronauti in un battibaleno, trasformiamo la nostra sceneggiatura con straordinarie associazioni e colpi di scena.
Tutto ciò è possibile grazie alla fantasia, a questa qualità del nostro pensiero, dell’immaginazione, che ci permette di modificare in tempo reale la realtà: una trasformazione psichica, certo, ma totalmente reale, mentre attendiamo al nostro gioco, al nostro teatro individuale o collettivo.
Di fatto “viviamo” una realtà diversa; altri tempi, altri mondi, mille possibilità e concatenazioni, di cui siamo indefessi protagonisti.
Possiamo quindi parlare di fantasia naturale, di una dote che ci permette, appunto, di fantasticare e rendere possibile una multidimensionalità psichica che può avvicinarsi a quella del sogno, ma che, invece che riflessa, risulta totalmente nelle nostre mani.
Un momento magico, quello che attraversiamo da bambini, dunque; un momento di irripetibile libertà intellettuale ed emotiva.
Poi, col procedere dell’età, il miracolo si affievolisce fino a spezzarci; mentre procediamo verso l’età adulta, i nostri superpoteri svaniscono.

Quali sono le cause di questa perdita immensa? Quali meccanismi si inceppano?
In verità ci sono molteplici fattori in gioco, ma una fra tutte è la causa di questo depauperamento emotivo e vitale: l’omologazione.
L’omologazione è il desiderio, il bisogno, la necessità di essere “come gli altri”, e cioè di essere accettati da “tutti” e di piacere a quanti più possiamo, per ottenerne protezione ed avvallo, ma anche gratificazione.
A partire dalle elementari cominciamo a scoprire i dogmi secondo i quali, chi risulta “più o meno bravo”, su chi viene valutato più importante di altri, sul numero di quanti lo ammirano e sul suo “successo” personale; su tutta l’ “ipocrisia ” di cui si nutre la nostra società; cose, queste, a cui prima nemmeno pensavamo, talmente eravamo presi dalla nostra vis creativa e dal nostro stupore per le cose del mondo, per le infinite possibilità derivanti dal nostro pensiero.
Così ora, invece, finiamo nell’omologarci il più possibile ai “codici” del mondo, a quanto ci raccontano sia giusto fare o non fare per il nostro futuro da adulti, vergognandoci delle nostre abilità innate e naturali di cui ci sentivamo fieri e con cui interagivamo alla percezione, per addentrarci nella palude della mediocrità, e del comodo opportunismo che ci porta drammaticamente verso una possibile massificazione collettiva come individuo, cosa, questa, che è una delle maggiori cause di infelicità ai nostri giorni.
Volersi adeguare a tutti i costi significa perdere le nostre peculiarità e soprattutto la nostra creatività, immolata sull’altare della “socializzazione” prefabbricata da dogmi, paradigmi, leggi che ci vengono imposte da altri che non siamo noi.

Fortunatamente, non tutte le nostre doti andranno perdute se sapremo farle rifiorire e rinascere, almeno in parte: l’Arte, ancora una volta, ci viene in aiuto, risvegliando ciò che abbiamo sopito e censurato in noi.
Di fatto l’Artista è colui che ancora possiede un po di quella “santa pazzia” che stimola in lui la creatività e gli permette di uscire metaforicamente, e non, dai binari prestabiliti dalla società, attraverso la comunicazione artistica: lo stesso fa chi si avvicina alla letteratura, ed al teatro, in particolar modo: sarà infatti in grado non solo di riappropriarsi della sua parte ludica e bambina, della sua capacità di inventare ed inventarsi mondi e personaggi, ma anche, cosa ancor più importante, di stimolare il prossimo, e di farla recuperare anche a chi si avvicina alla sua magica creatività: un valore questo, senza prezzo che ci permetterà di vivere appieno anche la nostra vita di adulti, di esplorare nuove possibilità e predisposizioni del nostro animo, e di riabbracciare il bambino che siamo stati e che non aspetta altro che rinascere e rifiorire in noi.

Roberto del Frate ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.

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