Miramare, per una storia: Massimiliano del Messico, gli Asburgo, il castello

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CarlottaIl ritiro delle truppe di Napoleone III dal Messico sarebbe stato, per Carlotta, l’inizio della fine, almeno dal punto di vista del suo equilibrio mentale: rientrata in Europa alla ricerca di alleati, era riuscita ad ottenere solo risposte negative o addirittura porte sbarrate. La Parigi di Napoleone III (contraddittorio rispetto all’iniziale promessa fatta a Massimiliano che recitava “La prego di contare sempre sulla mia amicizia e di essere sicuro che, nell’adempimento del compito che lei si è assunto con tanto coraggio, non le mancherà il mio sostegno”, egli avrebbe replicato “Sarebbe bene che Sua Maestà non si facesse soverchie illusioni”), ma anche la Roma di Pio IX: nessuno volle dare una mano al suo sventurato marito, portando la mente della povera imperatrice Carlotta a cedere il passo ai suoi più folli sospetti. Aveva rinunciato a priori alla possibilità di recarsi a Vienna: era sicura che Francesco Giuseppe non le avrebbe fornito alcun tipo di aiuto.

Infatti, nello stesso periodo, quest’ultimo scriveva alla moglie Elisabetta: “Non potrò nei prossimi giorni andare a Trieste, perché Sua Maestà messicana ha già lasciato Parigi per Miramare senza aver concluso nulla, e così per ora io non mi muovo finché lei non sarà ripartita”. L’imperatrice del Messico aveva quindi fatto una pausa prima di recarsi a Roma; anoressica, scialba: era rimasto ben poco della splendida arciduchessa di un tempo. Pio IX avrebbe potuto intervenire, persuadendo Napoleone III e Francesco Giuseppe ad abbracciare la causa messicana: tuttavia, non era sua intenzione farlo. Piuttosto, si era premurato di riferire a Carlotta che avrebbe pregato per lei. Basta, era troppo: il velo nero della pazzia aveva ricoperto definitivamente quella sventurata sovrana, facendole temere un possibile avvelenamento “Santità, mi aiuti! Tutti quelli che sono venuti con me, tutti quelli che aspettano fuori dalla porta attentano alla mia vita! Mi vogliono avvelenare per ordine di Napoleone”.

Carlotta nel gennaio 1927Rinchiusa nel castelletto di Miramare, Carlotta veniva ricondotta in Belgio un anno dopo dalla cognata: vi sarebbe morta sessant’anni più tardi, rendendosi a malapena conto della fine di Massimiliano (stando alle testimonianze, pare che ogni primavera avesse preso l’abitudine di salire su di una barca nel fossato del castello dove era reclusa, affermando “Oggi partiamo per il Messico”). Tuttavia, non era forse lei ad aver comunicato al marito per mezzo di un promemoria che, secondo la sua opinione, “Abdicare significa condannarsi da soli, dichiararsi incapaci, e ciò è concepibile solo in un vecchio e in un deficiente, ma non è cosa degna di un principe di trentaquattro anni, pieno di vita e di speranze per il futuro”? un’osservazione spregiudicata, che però non avrebbe meritato il dolore e il tormento che le conseguenze degli avvenimenti le avevano inflitto. Le cronache di qualche anno successive (1875, Cimino Folliero de Luna) l’avrebbero descritta come una donna robusta, quasi sana all’apparenza: bella come non lo era stata da tanti anni, attenta nell’alimentazione adeguata a seconda delle stagioni (costante nello scrivere biglietti relativi al menù della giornata, lucidi e per nulla traditori della sua malattia), abitudinaria nella sua vita al castello di Tervueren nei pressi di Bruxelles. Tuttavia, Carlotta non sarebbe stata più in grado di riconoscere la dimensione reale in cui viveva. Volgeva le spalle a chiunque, dai suoi servitori alla cognata regina del Belgio: dialogava con interlocutori invisibili, ancora ossessionata dai ricordi del passato. Gli spettri degli anni precedenti non avrebbero più cessato di tormentarla.

La resa di MassimilianoMassimiliano, caparbiamente, in un primo tempo aveva rifiutato la possibilità di arrendersi: decidendo di non abbandonare i suoi sostenitori, si era ritirato nel febbraio 1867 a Santiago de Queretaro (per un totale di settantuno giorni di assedio). In seguito alla consegna della propria spada come gesto di sconfitta (15 maggio), veniva incarcerato nel convento dei Cappuccini della città e condannato alla fucilazione (sentenza di morte pronunciata il 16 giugno). Come ulteriore e crudele offesa, sarebbe stato adibito a cella di Massimiliano un ambiente della cripta coperto da volte fredde e umide (l’ex imperatore si trovava inoltre in gravi condizioni di salute, a causa delle ferite riportate: i carcerieri se ne rendevano perfettamente conto e avrebbero anzi infierito con il negargli addirittura il privilegio dell’igiene) cosparso di tombe e feretri scoperchiati. Il suo medico curante (dott. Bash), giunto nel convento con lo scopo di visitarlo, avrebbe chiesto alle guardie “Dov’è l’imperatore?” ottenendo come risposta “L’imperatore è in una tomba. Vive, ma in una tomba. Venite a vedere”.

ultima fotografia scattata a Massimiliano prima della fucilazioneSceso nella cella del suo sfortunato paziente, l’avrebbe trovato intento a leggere la storia universale di Cantù, adagiato su un misero letto con un tavolo a fianco. Infine, la risposta serena di Massimiliano allo sguardo sconvolto del medico sarebbe stata: “Non hanno avuto il tempo di prepararmi una camera ed hanno cominciato col pormi a dormire coi morti”. Nonostante le diverse richieste di grazia in favore di Massimiliano inviate dai sovrani europei, Benito Juarez non si sarebbe dimostrato disponibile a risparmiargli la vita: la morte di quel fragile imperatore avrebbe ufficialmente dimostrato che il Messico non era più disposto a tollerare un qualsiasi tipo di dominazione straniera. Secondo alcuni storici, avrebbe potuto anche trattarsi di una vendetta simbolica nei confronti della famiglia Asburgo: un loro illustre antenato, per mezzo dei soldati spagnoli e quasi 350 anni prima, aveva spodestato e assassinato l’azteco Montezuma (potrebbe essere interessante ricordare che, non molto tempo prima, Francesco Giuseppe aveva inviato al fratello alcuni oggetti prelevati dalle raccolte imperiali di Vienna, utili allo scopo di creare un Museo Nazionale Messicano: lo scudo del già citato antico sovrano e la relazione inviata a Carlo V contente i dettagli delle azioni compiute dall’esercito). Forse, nel momento dell’estremo bisogno, il fratello minore era riuscito a toccare anche l’animo dell’imperatore d’Austria. Così recitava la sua lettera di addio a Francesco Giuseppe: “Per gli errori che ho commesso, per le preoccupazioni e le noie che ti ho procurato, ti chiedo oggi perdono con tutto il cuore”. Francesco Giuseppe avrebbe provveduto ad annullare i vecchi accordi, facendo reintegrare il fratello nel suo ruolo di arciduca d’Austria.

Il luogo dell'esecuzione. Si nota il monogramma di Massimiliano in primo pianoIn ogni caso, all’alba del 19 giugno 1867, Massimiliano d’Asburgo-Lorena spirava sul “Monte delle Campane” (“Cerro de las Campanas”, una piccola collina ricoperta di cacti nei pressi di Queretaro): al suo fianco, il plotone d’esecuzione aveva giustiziato anche i generali Miguel Miramon e Tomas Mejia. Malamente imbalsamato ed esposto al pubblico per alcuni mesi nella cappella dell’Ospedale di San Andrés a Città del Messico, il corpo del povero imperatore rientrava a Trieste solamente l’anno successivo a bordo della stessa fregata “Novara” che l’aveva accompagnato verso il suo tragico destino. Veniva in quell’occasione deposta sul coperchio della bara la ghirlanda voluta dal fratello Francesco Giuseppe che recitava a chiare lettere “Al vero cristiano / all’eroe valoroso / al fratello d’eterna memoria”. La salma sarebbe poi stata portata a Vienna in treno, giungendovi la sera del 17 gennaio 1868: dalla stazione Sud (non decorata appropriatamente) il feretro era stato quindi condotto alla Hofburg per mezzo di un carro guidato da sei cavalli, mentre la neve scendeva dal cielo. Ad accogliere le spoglie mortali di quel suo sfortunato figlio era presente la straziata arciduchessa Sofia, accompagnata da quasi tutta la famiglia. Mancava solo Sissi: la suocera, con amarezza, avrebbe notato e mai perdonato quell’assenza. I resti mortali di Massimiliano sarebbero stati poi depositati nel Duomo di Santo Stefano: una volta aperta la bara e riconosciuto ufficialmente il corpo che vi era racchiuso, poteva essere finalmente compilato l’atto di morte. Pochi giorni dopo, l’imperatore del Messico veniva deposto nella Cripta dei Cappuccini: Massimiliano avrebbe potuto finalmente riposare in pace.

Sorprendentemente, nel periodo in cui la notizia della morte di suo fratello era giunta alle orecchie di Francesco Giuseppe, l’imperatore d’Austria si trovava in “visita di condoglianze” nel territorio della Baviera, accompagnato dalla moglie. Il cognato Massimiliano von Thurn und Taxis, marito della cugina Elena di Wittelsbach (1834 – 1890: sorella maggiore dell’imperatrice Elisabetta, passata alla storia come “Nené”), era infatti deceduto a Ratisbona. Mentre si trovavano in viaggio con la vedova verso la località di Possenhofen (dove sorgeva l’amatissima tenuta di campagna del suocero duca Massimiliano Giuseppe di Baviera), il 30 giugno 1867 veniva segnalato all’imperatore che Massimiliano era stato giustiziato come ribelle in Messico. Francesco Giuseppe si era quindi precipitato a Vienna per portare la notizia agli anziani genitori. L’arciduchessa Sofia, singhiozzando, avrebbe esclamato “Fucilato, fucilato!”: quella donna forte, caparbia ed energica non si sarebbe più ripresa. Questa sfortunata madre, privata dell’affetto di due tra i suoi amatissimi figli, li avrebbe finalmente raggiunti quattro anni dopo.

Elisabetta regina d'UngheriaA poco più di un mese dalla fucilazione di Massimiliano (8 maggio 1867), Francesco Giuseppe ed Elisabetta erano stati proclamati re e regina d’Ungheria con una sfarzosa cerimonia tenutasi presso la cattedrale di Budapest, in cui aveva dato sfoggio della sua magnificenza la corona di Santo Stefano. Poco tempo prima, Napoleone III e la moglie Eugenia avevano invitato i sovrani austriaci in Francia per una visita ufficiale: offesi dal loro comportamento nell’ambito delle vicende che avevano portato alla morte di Massimiliano, Francesco Giuseppe ed Elisabetta si sarebbero in un primo momento rifiutati di incontrare i sovrani francesi. Tuttavia, la caparbietà di Napoleone III nel sollecitare l’invito al neo-eletto re d’Ungheria avrebbe presto convinto quest’ultimo ad accettare la proposta: Sissi, dopo alcune incertezze (dopotutto, era al terzo mese di gravidanza: il 22 settembre 1868 sarebbe infatti nata la sua quarta e ultima figlia, Maria Valeria), aveva fatto seguito alla decisione del marito. Infine, l’incontro si sarebbe svolto nella città di Salisburgo.

Un ricordo di MassimilianoNel frattempo, su Miramare (la splendida residenza tanto amata e voluta da Massimiliano) era sceso un silenzio mortale in seguito al decesso del suo committente. Nascevano leggende tragiche, che avrebbero intimorito chiunque vi si fosse avvicinato: prima fra tutte quella relativa alla giovane amante di Massimiliano, dama di compagnia viennese dell’imperatrice Carlotta e con lei rientrata dal Messico l’anno precedente alla morte dell’imperatore. Secondo i testimoni, si trattava di una ragazza bellissima: caratterizzata da una chioma di capelli corvini e da occhi pieni di passione. Si sarebbe suicidata impiccandosi ad una delle finestre dei piani superiori del Castello, distrutta dal dolore alla conferma dell’avvenuta fucilazione di Massimiliano: l’autopsia era stata eseguita dal dottor Fabris di Trieste, che per anni (secondo le voci) avrebbe conservato il macabro nastro di seta adibito a cappio. Dopo la partenza di Carlotta, il castello sarebbe divenuto una delle residenze saltuarie della famiglia Asburgo: ad esempio, vi si ricordano almeno quattordici soggiorni dell’imperatrice Elisabetta tra il 1869 e il 1896. Queste occasioni (che avrebbero reso Trieste non solo meta di visite ufficiali ma anche di soste nel corso dei numerosi viaggi di Sissi) avevano scandito anche gli anni precedenti, quando Massimiliano era ancora in vita. Due decenni dopo la morte del cognato (1887), Elisabetta avrebbe così descritto il meraviglioso giardino del castello: “Un parco sempreverde / discende fino al mare; / cipressi, simili a stendardi / severi si ergono qua e là. / E palme ondeggiano sognanti / guardando verso il mare, / scroscianti e spumeggianti senza sosta accorrono le onde. / E tutto profuma e fiorisce / rivolto verso il mare; / l’orizzonte invece arde in una quiete d’oro profonda”.

Fotografia storica del Castello di MiramarePer l’imperatrice d’Austria e regina d’Ungheria, Miramare era una sorta di rifugio dal mondo: un luogo dove isolarsi e poter affrontare i propri demoni. Lo avrebbe fatto anche in occasione della notte dei defunti del 1885, quando le uniche presenze viventi erano quelle dei bambini che desideravano vederla (e a cui Sissi faceva la carità aiutando le famiglie sfortunate per mezzo di sussidi). Il 22 marzo 1900, una già sfortunata vedova convolava a nozze nella cappella del castello (lo sposo era il nobile ungherese Elemér de Lonyay): la principessa Stefania del Belgio, nipote di Carlotta e moglie di quel principe ereditario Rodolfo la cui nascita aveva gettato nello sconforto gli allora futuri sovrani del Messico.

Stefania del Belgio (in primo piano) a MiramareUn matrimonio, quello tra il suo prezioso figlio e la principessa belga, che avrebbe gettato Sissi nel più profondo rammarico: un anno dopo le sue nozze d’argento con Francesco Giuseppe, il 10 marzo 1880, l’imperatrice riceveva infatti un telegramma in cui veniva annunciato quel poco gradito fidanzamento. Stefania aveva sedici anni, la stessa età in cui Elisabetta era convolata a nozze con il cugino imperatore: Sissi l’avrebbe ritenuta troppo giovane, probabilmente memore di quante difficoltà avevano accompagnato i suoi primi anni di matrimonio. Influenzato dalle perplessità espresse dalla madre, Rodolfo avrebbe scelto di rimandare le nozze di un anno. Quando finalmente il matrimonio era stato celebrato, Sissi era pronta a sperare che la nuova vita da uomo sposato potesse giovare a quel tanto tormentato figlio. Tuttavia, neanche la nascita della figlia Elisabetta (“Erzsi”, avvenuta il 2 settembre 1883) avrebbe modificato le insane abitudini e ossessioni di Rodolfo: come già ricordato, il principe ereditario moriva prematuramente il 30 gennaio 1889. Successivamente vi avrebbe trascorso qualche giorno l’arciduca Francesco Ferdinando, poi assassinato a Sarajevo: qualche anno dopo, il castello avrebbe ospitato anche Zita, moglie dell’ultimo imperatore.

Amedeo di Savoia-AostaCon la fine del primo conflitto mondiale e l’arrivo dell’Italia a Trieste, Miramare sarebbe divenuto proprietà demaniale. Dodici anni dopo (1930), il duca Amedeo di Savoia-Aosta vi stabiliva la sua residenza. Comandante della prima divisione aerea di stanza a Gorizia, avrebbe vissuto nel castello con la sua famiglia per diversi anni, sino alla sua nomina a viceré d’Etiopia (1937). In seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale, Miramare era stato adibito a scuola per gli ufficiali dalle truppe tedesche: tra il 1945 e l’ottobre 1954, infine, il castello aveva svolto la funzione di sede dei governi militari alleati (neozelandesi, inglesi, americani). Finalmente, dopo la fine di quel rilevante periodo storico, il progetto museale già ipotizzato nel 1918 poteva essere concretamente realizzato (era a suo tempo stata fatta richiesta affinché gli arredi originali del castello venissero ricondotti da Vienna a Trieste): un restauro celere da parte della Soprintendenza avrebbe permesso l’apertura del castello al pubblico il 2 giugno 1955.

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Nadia Danelon © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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