Villa Seurat
11 dicembre 1934
Mezzanotte. (Al diavolo Fred! Sono malato d’amore.)
Anais:
Dopo che ti ho scritto la precedente, mi è arrivata la tua del 3 dicembre speditami dal Barbizon. Con l’assegno! Non sono felice. Sono sbalordito. In quattro giorni è impossibile che uno guadagni tanta grana! A meno che non abbia le parcelle di un analista. Ma che diavolo stai facendo? Fin dal primo momento, mi è sembrato incredibile e assurdo. Vero è che non ho mai visto New York dai piani alti. Non ce l’ho fatta a tener duro con quella fermezza, costanza e insolenza con cui lo fai tu.
In calce alla lettera mi dici di indirizzare a l’albergo perché è “sicuro”, eccetera, e ne desumo che Hugo non abbia intenzione di venire in America. Perché, per decifrare una frase come “non mandano mai la posta di sopra… devo scendere a prenderla”, semplicemente significa che tu continui a contarmi balle. Vero, lo fai con molta gentilezza. Non menti apertamente. Senza dubbio, scendi davvero a prendere la posta – e forse è per questo che non fai attenzione ai miei telegrammi e lettere indirizzati presso Kay Bryant. Probabilmente hai dimenticato di avermi dato quell’indirizzo. E lei probabilmente ignora che tu sei a New York!
Anais – tutto questo deve sembrarti molto brutto da parte mia, dal momento che tu hai fatto di tutto per compiacermi, aiutarmi, eccetera. Ma perché l’inganno??? Perché? Questo mi fa impazzire. Possibile che tu debba ingannare anche me?
Non è escluso che, mentre io ti scrivo questa mia, tu stia passeggiando per le strade di Williamsburg. E come devo sentirmi, io che sono all’oscuro di quanto stai facendo? Tutto ciò che mi hai scritto non è che apparenza. Non cercarmi di buttare fumo negli occhi, Anais. Mettiti il grembiule di gomma e lava l’insalata. Friggi la razza col burro nero. Dimmi che ti piace la gente semplice, il cibo semplice. Io piango quando tu ti trasformi in “una importante donna d’affari” e rastrelli tutta quella grana. E la sera frequenti locali fasulli. Non m’aspetto di certo che tu te ne stia chiusa in una stanza, in preda alla depressione. Niente affatto! Ma non m’aspettavo che tu amassi New York o glorificassi o affermassi che le ci vuole un poeta. Diavolo suona così americano – americanismo della peggior specie.
E’ tutta colpa mia, temo. Forse perché ho detto una volta che non mi andava l’idea di mollare questo studio, tu adesso muovi mari e monti perché io riesca a tenerlo. Ma non è per me – unicamente per me, Anais. È per noi. A che serve questo bell’ambiente, se tu te ne vai per il mondo e cambi il tuo modo di vedere le cose? La persona che voglio non è colei che scrive queste lettere – su carta color champagne e con l’intestazione in rilievo, con una penna in oro, eccetera. Il “tu” che io amo, è quella donna che l’ultima sera mi ha detto: “Non invitare Halasz a cena. Voglio restare sola con te.”
So che tu hai una natura camaleontica, ma conosco anche il saldo, immutabile nocciolo che c’è in te. È questo che voglio. Non danzarmi attorno in un barbaglio di gioielli, alla luce dei riflettori. Come parlavamo a Louveciennes – e mentre parlavamo la finestra era spalancata sul giardino. Quella! Quella! Quella! sei tu e quello sono io.
Louveciennes non è nel dipartimento di Seine-et-Oise. Louveciennes è in te. E lì dobbiamo tenerla, e attorno ad essa possiamo costruire un palazzo, se tra noi le cose vanno bene.
E voglio che vadano bene! Può darsi che io non raggiunga mai il successo mondano, ma posso assicurarti altre ricchezze.
Prima non ti ho mai offerto me stesso così interamente, sinceramente, devotamente. Se non capisci che tutto ciò è perché ti amo, allora non ho altro da aggiungere. Non so se scriverti o meno un’altra lettera dopo questa – finché tu non mi scriva a tua volta qualcosa di profondo e convincente.
Questa lettera e quella dell’8 le ho indirizzate presso Kay Bryant. Il che significa che le riceverai non prima di Natale. Semmai scrivessi al Barbizon Hotel, puoi stare sicura che non ci sarà nulla di compromettente nella lettera. So la faccenda dell’indirizzo del Barbizon. Il grande poeta dev’essere davvero soddisfatto se e quando viene.
Henry
PS Tutto questo mi ferisce di più, molto di più, mille volte di più di quanto possa ferire te.
Anche gli uomini hanno i loro periodi, ma il sangue non smette di scorrere per forza propria. Dentro di me c’è un furibondo fiume che scorre. Non riesco ad arginarlo. Sono profondamente ferito. Credimi – oh, merda! credi, credi! – ma che cosa c’è ancora da credere?
Tratto da Storia di una passione – Lettere 1932-1953, Henry Miller e Anais Nin, V edizione, Bompiani, giugno 2013, Milano
Francesca Schillaci © centoParole Magazine – riproduzione riservata