Si svolge, dal 23 gennaio al 15 febbraio a Bologna presso lo spazio “Car Jeep” della dottoressa Maria Antonia Zambonelli in Galleria Cavour, in collaborazione con Harley Davidson e la Rosini Gutman Collection , la mostra LOVING SAK FOREVER con opere di Andy Warhol e Steve Kaufman. L’idea che costituisce il concept della mostra è di Mario Casali , autore anche del progetto Steve Kaufman Art of Clothing.
Le opere presenti sono selezionate magistralmente dalla Rosini Gutman Collection; il collegamento con American Pop Art, Inc e Steve Kaufman Art Licensing viene coordinato in Europa da Alberto Panizzoli e Gianfranco Rosini. I visitatori potranno entrare in una “bomboniera” in stile Pop Art, nel cuore di Bologna, in forte vibrazione fra tratti, forme, colori. Loving SAK Forever è un’esperienza emozionale più completa di una esposizione d’arte canonica, essendo anche l’inizio di un progetto di ricerca e sviluppo dedicato che continuerà nel tempo e che ha già creato un’asse culturale e creativa fra Bologna, New York e Los Angeles. In Mostra e presso la Galleria Rosini Gutman di Riccione è disponibile un bellissimo catalogo di oltre 270 pagine con circa 300 immagini di Warhol e Kaufman.
In contemporanea alla Mostra di Bologna, in piazza 24 Maggio a Milano, viene esposta una parte della Collezione Rosini Gutman intitolata “Dal Futurismo alla Street Art”, sino al 10 febbraio e dopo tale data sarà spostata al piano superiore, con la sola sezione dalla Pop Art alla Street Art, anche questa con un catalogo di oltre 170 pagine con circa 200 immagini degli artisti in esso pubblicati.
La Collezione Rosini Gutman nasce nel 1999, dall’unione spirituale ed il matrimonio tra Delilah Gutman e Gianfranco Rosini . Incontriamo Gianfranco Rosini, punto di riferimento negli ambiti dell’arte Moderna e Contemporanea, figlio di Annamaria e Pietro, che avevano aperto la loro Galleria Rosini a Riccione nel 1959.
Gianfranco, con Kaufman diciamo Pop Art o spaziamo già su altre correnti?
Pop Art, certo. È sempre Pop Art. Non finisce mai. Secondo me prende le sue radici dal Futurismo. È iniziata a inizio secolo e ha gettato l’idea che le città diventassero spazi museali. Non è ancora successo, ma siamo su quella strada. Quando le idee sono grandi, immense direi, hanno bisogno di tempo, tanto tempo – addirittura finiscono per … non finire.
Il Futurismo e la Pop Art sono molto simili. Io sono convinto che la Pop Art nasca dal Futurismo, con quell’idea di creare le opere per tutti, le opere che escono dal museo. Il concetto futurista di vestirti di tutto ciò che fai nella vita, il cambiamento che portò … e poi è nata la Pop Art. Non uguale al Futurismo ma simile e quindi protesa a cercare all’interno della vita comune le cose più estetiche, e riprodurle per tutti. In maniera artistica. Due concetti similari. O speculari.
Queste due correnti artistiche non finiscono. Dire Pop Art guardando alcune opere di oggi, addirittura, è un po’ diminutivo: è sempre ‘Pop’, però realizzata adesso – l’altra era concepita negli anni Sessanta – sicuramente, nel 2050, esisterà ancora. A meno che, questa società non si evolva in una società così diversa da non permetterti più di avere legami con il mondo materiale e con le idee estetiche della vita. Ma, in qualcosa dove l’estetica sia sostituita da altro, dal viaggiare attraverso il tempo e lo spazio … allora sì, cambierà, ma solo allora.
Un artista che ami più degli altri?
A me piace molto Toccafondo, mi piacciono anche altri artisti che mettono le opere assieme ai video – in un “video frame”. Quello è per me il futuro. Chi viaggia tanto, chi ha un’idea storiografica della vita, riesce così a esprimersi in maniera più completa. Quando viaggi continuamente vivi in un’esistenza che è quasi irreale, è quasi come essere all’interno di un film. Forse questa sarà – lo è già – la prossima arte: poter vedere e godere di video, proiezioni e opere, contemporaneamente. Le opere, comunque, rimarranno sempre: è quel “qualcosa” che sta all’origine, è quel: “da dove parti”.
Il fatto che Andy Warhol sia andato a prendere la “Campbell Soup” al supermercato per farne il suo pasto principale per anni, e poi la ritrae e la fa diventare un’opera … Steve Kaufman, in un certo senso, scegliendo la “Redbull” per ritrarla nelle sue opere, costituisce una continuazione di quel pensiero. Warhol muore nel 1987, Kaufman nel 2010: nel 1987 la “Redbull” non era ancora conosciuta, ed è quindi un rinnovare e un “iconificare” nuove cose. Una continuazione di quella filosofia …
Certo. Ma non solo. Ci saranno altre cose Pop, altre icone. Le cose con cui viviamo – l’automobile, il treno – che a partire dagli anni Sessanta, con la Citroen [Roland Barthes ndr] diventano estetica e segni del tempo. Continuerà, e ci saranno certamente artisti che ripeteranno le opere di un ingegnere, rendendole esteticamente migliori. E rendendole ‘popolari – ‘Pop’ – in modo da farle piacere al maggior numero di persone possibile e di avvicinarle alla gente.
La collezione delle ‘Time Capsules’ (le ‘Boxes’) che nel 2006 è stata ospite di Trieste, al Salone degli Incanti, è stata realizzata con la tua Collezione di Andy Warhol. Fino a quel momento le scatole utilizzate in mostra erano state conservate negli archivi del Museo Andy Warhol di Pittsburgh. Nel 2006, l’esposizione di Warhol a Trieste è stato quasi un elemento di rottura con la tradizione artistica della città, una forte innovazione.
Non solo è stata una mostra bella, ma celebrativa della “Collezione” come esempio. Le ‘scatole’ – ‘The Brain’, il cervello di Warhol: Warhol era andando via dalla prima e più famosa ‘Factory’, e tenendo molto ad i ricordi ed alle opere create in quel luogo, non buttò nulla e mise tutto in delle scatole di cartone, … Warhol, a differenza di quello che alcuni credono, era molto preciso. Un artista famosissimo che ha lavorato con Warhol, Joseph Beuys, disse: ‘bisogna avere il coraggio e la forza di dimostrare al mondo quello che tu hai fatto’. E quindi documentarlo. Warhol, quando andò via dalla Factory, prese tutto quello che c’era, fece mettere in scatole con scritto: ‘foto di Marilyn Monroe 1967’, eccetera … queste scatole, circa 150 (non le avevano contate), partirono dalla Factory e arrivarono nella nuova sede. Nella nuova sede, Warhol disse: ‘No, non dobbiamo aprirle. Era un insegnamento di noi stessi per noi stessi. D’ora in avanti, ogni settimana, ogni mese, … quando avremo documenti e cose che c’invadono lo spazio, prendiamo una scatola uguale a quelle che abbiamo portato dalla Factory, scriveremo che cosa ci mettiamo dentro e la metteremo via. Assieme alle altre. Un giorno, … avremo il nostro archivio materiale.’
Il museo di Pittsburg e la Fondazione Warhol mi hanno fatto questo regalo e mi hanno permesso di prendere tutte le scatole che contenevano materiale concernente le opere che io avevo, le hanno aperte e hanno tirato fuori il materiale che lui ha usato per fare quelle opere: i gioielli, gli oggetti, le foto, le immagini … al museo di Pittsburg c’è una parete immensa – che nel catalogo è riportata – con questo mare di scatole, adesso più di seicento. Scatole che contengono ognuna una parte di ciò che ha stimolato per poi essere utilizzato da Andy Warhol nel suo immenso lavoro iconografico!
A livello concettuale, immagina – già l’idea era bellissima, e anche istruttiva (ora va di moda l’Edutainment – l’intrattenimento unito all’educazione – ed è giusto, perché il metodo migliore per insegnare ai bambini è fare con loro un gioco che li interessi e che insegni loro qualcosa. Anche per insegnare ai grandi). Il concetto, quindi, era già di per sé meraviglioso. Poi entravi dentro il Salone degli Incanti e vedevi questi cumuli di scatole alti sette, otto metri, e dicevi: ‘è una presa in giro, non una mostra, forse devo andare lì e aprirle’. La gente non capiva, non voleva quasi entrare. Tutte le opere esposte erano invece accessibili dal lato opposto a dove entravi: quando ti infilavi nelle aperture in mezzo ai cumuli vedevi che c’era qualcosa, … entravi e in una trovavi le pop star, in una c’era la moda, in una i “Ladies and Gentlemen” (che si truccavano da Pop Star), in una i film … e potevi quindi ammirare alcune delle tematiche scelte per sviluppare i concetti contenuti dalla nostra collezione, che in realtà era molto più vasta. Avevano preso queste sei tematiche e le avevano sviluppate aprendo le scatole con i documenti e gli oggetti utilizzati per realizzare le opere. Una operazione difficilissima e bellissima, perché per accedere al materiale di Warhol, per vederlo, ci vuole tempo. Il catalogo della mostra al Salone degli Incanti è stato realizzato, nella versione da collezione, in solamente cinquecento copie. Avrei voluto ripetere la mostra in molti altri luoghi, … non è un pensiero che ho abbandonato.
Come nasce la tua passione per l’arte?
La mia famiglia ha sempre lavorato nell’ambito dell’arte. I miei nonni, e i nonni dei miei nonni. Nel luogo natale della mia famiglia, tra Campli e Teramo, esistono dei comuni feudali dove ogni comune – come nel Duecento o nel Quattrocento – aveva un compito: il comune dove si realizzavano le campane, il comune dove si realizzavano i piatti di ceramica, quello dove si realizzavano i piatti di rame, eccetera… Questo piccolo feudo dove stavano i miei parenti era quello dei ‘Madonnari’, così li chiamavano, un nominativo un po’ dispregiativo perché erano quelli che facevano da committenti tra i nobili e gli artisti – i primi veri mercanti d’arte. Non sempre l’artista si trovava a suo agio con il prete, o il vescovo, e quindi c’era il committente di mezzo, che riusciva a mediare.
In quelle terre c’erano molti ebrei, Campli è la seconda comunità ebraica più antica d’Italia dopo Roma, e come è noto erano molto bravi a negoziare … anche come retaggio della cultura ebraica e di quella abruzzese, culture che sanno parlare, sanno convincere – perché sono convinti di quello che dicono – quindi le famiglie da cui discendono mio padre e mia madre aveva già nel sangue quella qualità innata. Una volta, ci si spostava, nel corso della vita: si girava l’Italia. Uno dei fratelli di mio padre si è fermato a Roma, uno a Torino, uno in Svizzera. Mio padre era il più piccolo dei quattro e nel 1959, quando arrivò al Grand Hotel di Riccione per una mostra, disse subito: ‘Io mi fermo qui’. Io sono nato a Rimini; a quattordici anni avevo già una galleria d’arte. Potevo permettermelo, perché i miei facevano già quel lavoro e collaboravano con un artista, Massimo Marra, che oggi è il direttore dell’Accademia di Rimini. Da quel momento in poi non ho mai smesso di interessarmi all’arte. L’arte è un “qualcosa” che sentivo, e sento, mia.
Andy Warhol è stato indubbiamente artista ed un personaggio pubblico simbolo della sua epoca: l’arte prima di Warhol è diversa da quella dopo di lui.
Con Warhol ho avuto fortuna… Mio padre mi portava con lui durante i suoi viaggi, quando si spostava per incontrare gli artisti. Io conobbi la contessa Giuliana Romani Adami Donà delle Rose, che organizzava mostre nella sua bellissima casa di Piazza del Popolo a Roma. Simpaticissima e bellissima. Il fatto che organizzasse la mostra di Warhol che era uno dei miei artisti preferiti fra gli americani, mi interessò e andai alla mostra dei “Ladies and Gentlemen” che si svolgeva quasi in contemporanea con quella al Museo di Ferrara,… anche per incontrare Liza Minnelli, che era una delle mie icone, sia della musica che della femminilità – mi piaceva tantissimo, e ancora ricordo il suo abbraccio. Poi andai anche a Ferrara, a Palazzo Diamanti, e da quel momento feci di tutto per comprarmi le cartelle dei “Ladies and Gentlemen”. Certo, era un investimento notevole; però, siccome lavoravo già con mio padre e la mia famiglia, e già avevo una mia piccola collezione, non era oltre la mia portata e potevo iniziare a collezionare Andy Warhol. Quindi iniziai, e vedevo che man mano che andavo avanti con la mia passione per Warhol, altri galleristi e collezionisti in Italia abbassavano la loro attenzione nei suoi confronti, tranne che nel caso dei grandi galleristi, come Leo Castelli, e pochi altri …
Certo. I grandi galleristi, come Castelli, hanno fatto un magnifico lavoro, però – io credo – di nicchia. In Italia, quindi, non c’era un mercato vero di Warhol, e io riuscivo, muovendomi molto, a fare dei “cambi” molto vantaggiosi e a comprare bene, entrando nelle collezioni grazie a mio padre. Molte opere di Warhol erano cadute di prezzo, soprattutto a causa delle polemiche sul fatto che fossero solo “stampe” o su polemiche, secondo me “architettate” apposta sui presunti falsi. E anche perché tante erano serigrafie numerate e quindi considerate stampe. Scambiavo un De Chirico con un Warhol, e io raccoglievo, raccoglievo, e sono arrivato a un buon risultato.
Certo ne avevo la disponibilità: lavoravo con i miei – era il mio lavoro, non era neppure una questione di soldi o di quanti soldi, non acquistavo per metter via, per mettere in casa… Anche se, a dire il vero, avevo iniziato con l’idea di collezionarli per me, … quest’idea era poi cambiata, dopo aver conosciuto Delilah Gutman, che era poi diventata mia moglie. Dopo il decennale della morte di Warhol, anche se non immediatamente, il mercato si era ripreso, subito non aveva avuto un grande valore economico ma dopo dieci anni di mostre ed eventi le aste avevano raggiunto livelli importanti. Io ne avevo alcuni, una quarantina fra grafiche e pezzi unici, e avevo quindi già una “moneta” con cui “scambiare”.
Ho poi sempre venduto, ma invece di diminuire il numero non ho solo venduto, ma scambiato cose importanti prendendone però molte altre in cambio. Ad esempio, quando trovavo un’opera dedicata a Liza Minnelli l’ho sempre comprata, perché era uno dei miei idoli. Vendevo un’opera, e cercavo di prenderne altre dieci. La collezione è partita da una quarantina di opere ed è arrivata a quasi quattrocento. Adesso ne abbiamo circa duecento, e credo sia il numero giusto per poter organizzare delle Mostre con un senso critico o storiografico.
In Italia abbiamo avuto artisti di prim’ordine. Burri , Fontana , Schifano e molti altri… Jasper Johns, Warhol e altri grandi statunitensi, secondo me, hanno sempre tratto ispirazione dagli italiani. Dalla madre da dove sono venuti – quell’Europa, dalla quale ciascuno ha portato in America parte della sua cultura… E poi l’Arte è talmente spirituale che … ricicla anche se stessa … e lo spirituale ha una base alla quale attingere praticamente infinita.
La situazione del mercato dell’Arte, in termini di autenticità delle opere? Ci sono grossi rischi?
Il mercato dell’arte è in fortissima crescita è questo, naturalmente, si porta dietro anche problemi legati alla possibile falsificazione delle opere, ma, se ci si attiene alle normali regole: cioè acquistare da Gallerie che rispondono in prima persona e si evita di comprare in asta se non si hanno le qualifiche per farlo; il problema è quasi nullo, poiché le Gallerie devono rilasciare un certificato di provenienza e garanzia di autenticità che, in caso di problemi, permetta a chi ha acquisito l’opera di ottenere la restituzione dei soldo che ha speso. L’ombra più grossa legata al mondo dell’Arte è il problema di riciclaggio di denaro sporco, ed è necessaria grande attenzione, soprattutto perché molto spesso sono in ballo cifre importanti.
Anche per l’auto-riciclaggio, che è un reato non penale, vi è un forte rischio, ad esempio: un’opera di un associato a un’organizzazione mafiosa, del valore per farti un esempio di venti, viene messa in asta a cento e fatta salire artificiosamente e quella stessa organizzazione la ricompra, riciclando denaro… magari facendola a una società estera vendendola a centoventi e pagando la connivenza di chi l’ha messa all’asta. Ed è tutto riciclato, senza possibilità di recupero. I rischi sono fortissimi.
Qual’è stato l’incontro più importante che hai fatto con un artista?
Sicuramente Mario Schifano. Avvenne in un periodo della mia vita in cui è cambiato tutto. All’inizio degli anni Ottanta, quando ero ancora ‘un ragazzino’, come diceva lui. Io gli rivendevo le sue opere degli anni sessanta e settanta, e lui mi pagava in opere degli anni ottanta… Fare scambi è sempre stata la mia passione, perché di solito si guadagna da entrambi le parti, inoltre ho sempre amato la cultura ancestrale del “baratto” anche perché amo i nativi delle “due Americhe”, … quelli che a causa dei “filmacci hollywoodiani” la gente chiama: pellerossa o indios.
La galleria d’Arte riesce a sostenere l’artista stesso?
È il suo lavoro. Il lavoro della galleria non è quello di ‘fare i soldi’, i soldi si fanno facendo il mercante. Il mercante vende e compra, o svolge la funzione di ‘broker’, quindi prende posizione per conto dei suoi clienti; la galleria sceglie gli artisti, li espone dando la possibilità al pubblico di dire si o no, e questo permette all’artista di sostenere i costi, che sarebbero per lui molto difficili da affrontare. Oggi una galleria può anche decidere di avere il ruolo che solitamente è del mercante, può essere anche casa d’aste, o pubblicizzare sostenendo artisti in cui non crede perché è l’artista stesso a voler investire, ma il suo lavoro principale non è quello – è quello di esporre e di sostenere gli artisti in cui crede.
E gli altri, quelli in cui non crede?
Non li rifiuta. Io guardo tutte le opere degli artisti che mi arrivano. Rifiutare un artista che vuole investire, per una galleria, non sarebbe etico, anche se non crede in quell’artista. Può scegliere di non esporlo, ma può comunque pubblicizzarlo e mediare per lui, vendendolo e facendo un lavoro d’agenzia. È come per un attore. Sei bravo, oppure non sei bravo? Non è mio compito decidere. Se credi nel tuo lavoro, il lavoro d’agenzia per te può essere fatto lo stesso. Se è brutto o bello lo decide il cliente. È un rapporto che nel mondo contemporaneo, comunque, non è più inscindibile. Internet ha cambiato tutto …
In che modo?
Internet e i Social Media, e le fiere fatte come sono fatte adesso, hanno cambiato tutto. Le fiere di adesso sostengono gli artisti facendo lavoro d’agenzia, o fanno allo stesso tempo da galleria, o ancora, fungono da mercanti. Subentrano, quindi, alle gallerie stesse nel loro lavoro, completamente. In più, c’è Internet, a cui si collegano non solo la galleria, ma anche la fiera, e il mondo intero. Nel sito puoi vedere l’artista, puoi viaggiare nello stand, avere un’esperienza estesa o addirittura in una realtà aumentata …
Il proprietario di una galleria d’arte deve rimanere al passo con i tempi: sembra una frase scontata, ma non lo è. Io ho cambiato molto prima di altri, divenendo collezionista e curatore per riuscire ad organizzare le Mostre delle mia Collezione in musei e spazi espositivi pubblici e privati in tutto il mondo, poiché le Fiere non mi accettavano, poiché ho anche avuto la fortuna-sfortuna di combattere il “sistema” legalmente per poi vincere, dimostrando che non solo avevo ragione su molte cose che riguardavano il nostro modo di lavorare ma che anche nel nostro settore esistono la criminalità organizzata e le minacce, e che quando sei minacciato non devi per forza cedere… Dipende da chi sei e da quanta volontà hai, da cosa vuoi fare nella vita. E se tu sei fermo nella tua decisione, … o ti ammazzano o puoi vincere!
Ho conosciuto ‘SAK’, come lo chiamava Warhol, quando era vivo, senza avere l’onore di diventare suo amico… Abbiamo iniziato l’estate scorsa a fare un progetto con Alberto Panizzoli e Diana Vachier, che hanno i diritti di Kaufman. C’è stato subito un feeling positivo con le opere dell’artista, e ora le mostre che organizzeremo mi renderanno l’onore di essere un suo “grande amico” – ora che non c’è più fisicamente, ma è andato ad occupare il posto che gli spettava fra le stesse “Stelle Pop” che ritraeva nelle sue opere.
Kaufman è uno dei massimi artisti fra quelli ancora poco quotati. Mi è piaciuta la sua idea della spiritualità: di artisti simili a lui ce ne sono pochissimi, lui cercava la complementarità. Kaufman e Warhol erano simili. Anche Warhol, per molti aspetti molto controverso, aveva un pensiero spirituale, una grande umanità – nei suoi diari essa traspare pienamente: lui non era lui, era uno strumento dell’Arte. Riusciva a svuotarsi e a lasciar da parte l’ego, facendo così fluire la bellezza che le sue opere contengono.
Tornerete a Trieste con altre mostre?
Certo. Sempre sulla Pop Art. Vorremmo fare una mostra incentrata su Warhol e Kaufman. Il Salone degli Incanti, peraltro, mi era piaciuto moltissimo: secondo me andrebbe allestito come una fiera internazionale di gran livello, con i pannelli altissimi amovibili e le luci regolabili per ogni opera o scultura in osso esposta …
Il futuro del mercato dell’arte in Europa, secondo te?
Molto buono. Non è facile avvicinarsi a quello americano od orientale, certo – però non è neppure così distante. Per quanto riguarda il valore dell’Arte, il valore di tutto … certo, nessuno – o veramente pochi – ti direbbero che non gli piacerebbe essere ricchi. Ma non è solo quello. Pensa al denaro in se, ai famosi ‘soldi’. Che cosa ci fai, con i soldi, con l’oro? Sono solo una moneta. I soldi non hanno nessun valore reale, sono una merce di scambio, e il loro valore è qualcosa che gli viene dato da chi riceve e da chi dà: se io ti do’ dell’oro o dei soldi, io do’ valore ai soldi proprio in quel momento e proprio perché te li do’ e soprattutto tu ci dai valore, perché te li prendi, li accetti. Non c’è nient’altro di intrinseco. E nessun economista può dimostrare che esista un valore intrinseco nella moneta.
L’unica moneta che vale per sempre – e non lo dico io, lo dice la storia – è l’Arte. L’Arte ha un valore intrinseco. Cos’è che ci è rimasto di un popolo dopo la sua scomparsa o la sua trasformazione,… i soldi? Certo, la sua moneta battuta ci è rimasta … ma per il suo valore storico ed estetico, non per un valore intrinseco alla moneta stesa. L’Arte invece può dimostrare un suo valore intrinseco in qualsiasi momento, e questo perché questo valore non gli viene dato da due o poche persone, ma da tantissimi, a volte dall’umanità intera. Ti basti pensare a una cosa: se ti danno una moneta falsa, non te ne accorgi: lo scopri solo quando vai in banca e non puoi cambiarla e quindi non ne accettano il “valore”. Ma se ti vendono un quadro falso, te lo godi lo stesso. Ha un valore suo. E se quell’opera vale cento Euro, mille Euro, un milione, viene deciso da molte persone. La “certificazione” di un’opera d’Arte di valore viene fatta cobn strumenti scientifici ed il suo valore aumenta in funzione di quante persone l’ammirano e decidono che è … un capolavoro… Il valore dei soldi invece non lo decidi tu e nemmeno il popolo. L’Arte rimane per sempre un valore; i soldi, invece, non rimangono, ed hanno un valore che è deciso da pochi indipendentemente dalla volontà dei molti…
E poi, che cosa ne fanno, dei soldi, le banche, i fondi d’investimento … non c’è bisogno che te lo dica io, è sotto gli occhi di tutti: si chiama ‘signoraggio’, dai tempi dei feudi, ed è il ‘signore’ a decidere se tu puoi avere una moneta o no.
Che cosa ne fanno invece dei soldi gli artisti … li usano per vivere e far vivere a chi li circonda una vita migliore … o almeno più belle esteticamente… è anche questo sotto gli occhi ed alla portata della comprensione di tutti: puoi pensare a quale delle due cose sia migliore, e decidere.
Grazie mille, Gianfranco.
È stato un piacere.
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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Negli ultimi 10 anni la Collezione Rosini Gutman di Andy Warhol è stata esposta in molte gallerie e musei, si menzionano: 2000, Gallerie Rosini, Riccione; 2001, Gallerie Rosini, Rimini; 2002, Contemporanea, Forlì; 2003, RipArte, Roma; 2004, MercArt, Lugano; 2004, Montecarlo Art Expò, Repubblica di Montecarlo; 2004 –2005, Palazzo Ràcani – Arroni, Spoleto; 2005, Antico Castello sul Mare, Rapallo; 2005, Magazzini del Sale, Cervia; 2006, Sala d’Exposicions del Govern d’Andorra, Andorra La Vella, Andorra; 2006, Museu Diocesà–Catedral de Barcelona, Barcellona, Spagna; 2006, Sala de Exposiciones Museisticas–Cajasur, Cordoba, Spagna; 2006, Ex Pescheria Museo di Trieste, Trieste; 2006 – 2007, Museo es Baluard, Palma de Mallorca, Spagna; 2007, Museo Colonna, Pescara; 2008 Gallerie Rosini ed altri 25 spazi espositivi di Viale Ceccarini, Riccione ; 2008, Spazio Poltrona Frau, Bologna; 2008 Chiang Kai Shek Memorial Hall, Taipei e 2009 Fine Art Museum, Kaohsiung – Taiwan; 2009 Sala SUMS, San Marino; 2009 Centro Servizi Camerali e Ipso Art Gallery, Perugia; 2009 Centro Servizi Camerali e Ipso Art Gallery, Perugia; 2010, Spazio Poltrona Frau, Arezzo; 2010-2011 Centro Saint Bènin, Aosta; 2012 Palazzo dei Capitani, Ascoli Piceno; “I never Read, 2013 I just look at pictures”, Citta’ di Castello; 2014 “The Wold Fascinete me” Riccione; 2014 “The Wold Fascinete me” Jesolo; Andy Warhol “Forever”, Arezzo, 2015.
Andy Warhol e Steve Kaufman: Dal Futurismo alla Street art, Milano Le Trottoir 2015-2016; YA 2015, Yachting club de Monaco, Montecarlo 2015; Dal Futurismo alla Street art, Milano Solferino 4°, 2015; Forever Andy Wharol Steve Kaufman, Dusseldorf 2015; Loving Sak Forever, Bologna 2016.