Giulio, le prime cose tue che ho visto erano un po’ Manga. Molto giapponesi.
Si, ho passato tutto il periodo delle medie, della mia scuola superiore attaccato ai fumetti Manga. La chiamo la mia ‘gioventù Manga’. Per un periodo ho disegnato così, poi ho cambiato stile e mi sono orientato di più verso il disegno occidentale.
Come mai?
Cercavo un realismo che il Manga non poteva darmi. Il Manga era principalmente emozione, io cercavo sì l’emozione, ma anche più realismo nel mio disegno.
Partiamo dalla fine. Hai collaborato alla realizzazione di “Trieste Rosso Sangue“, il fumetto appena uscito.
Si. Ho realizzato metà della terza parte del volume, su sceneggiatura di Alessandro Starace. La storia di Trieste Rosso Sangue non è mia. È la storia, reimmaginata, di un personaggio storico nato e vissuto a Trieste: Odilo Globocnick.
Il fumetto guarda a questa storia da due prospettive diverse, quella della realtà storica – Globocnick è un personaggio reale vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale, uno dei più efferati criminali nazisti, responsabile anche del campo della Risiera di San Sabba – e quella di una sua origine ipotetica, fantasiosa, secondo la quale sarebbe stato un vampiro nato nell’antica Roma e cresciuto gladiatore. Io ho disegnato proprio questa parte, quella del gladiatore. Lino Monaco ha disegnato la parte che si svolge nella Seconda Guerra Mondiale
Prima di questo?
Prima di questo, c’è stata una mia autoproduzione, “Caedes“, in sedici tavole, presentato nel 2010 al primo Fumetti per Gioco a Trieste. Nella seconda edizione ho presentato la mia seconda autoproduzione, “La Rosa e il Lago” su sceneggiatura di Emanuela Andrejasic e Maurizio Petruzzi edito da Esaedro. Ora sto collaborando con Hammerle per un mio fumetto basato proprio sulla storia di Caedes. Vorremmo realizzare la parte iniziale in tre volumi, poi il proseguimento dipenderà dal riscontro del pubblico.
Quando è iniziata la tua collaborazione con Accademia di Fumetto?
Sono stato loro ospite per un paio d’anni. Poi, il secondo anno, nel 2013, durante un incontro con i loro allievi, Mario Cerne mi ha proposto di insegnare. Ho iniziato a lavorare con Luca Vergerio, che conduceva il corso, e l’anno successivo ho avuto un corso mio.
All’Accademia di Fumetto che cosa insegni?
Corso giovani, quindi il primo anno, dai quattordici ai diciassette anni, e corso adulti, dai diciott’anni in poi. L’anno scorso ho insegnato anche Manga. I corsi di base sono sempre divisi in sceneggiatura e disegno effettivo, in modo da affrontare entrambe le tematiche del fumetto.
Ciascun insegnante ha poi il suo modo d’insegnare. Io sono un autodidatta, e sono portato più a trasmettere la parte istintiva, quello che bisogna ‘smuovere’ per riuscire a disegnare. È qualcosa che esula da ciò che bisogna sapere, d’accademico, per disegnare un braccio o una gamba: è più il sentimento del movimento che la tecnica. A meno che non sia lo sceneggiatore a richiederti di impostare il tuo disegno in un certo modo, per avere un certo effetto, se hai libertà nel tuo campo di lavoro automaticamente tendi a mettere nel tuo stile disegno tutto quello che, come persona, conosci.
Hai provato anche a sceneggiare?
Quasi no … per ‘sceneggiatura’ si considera lo scrivere, e di solito io cerco di collegare un testo già esistente con il mio disegno, non scrivo il testo stesso. Quindi non faccio sceneggiatura vera e propria, ma inizio direttamente con lo ‘storyboard‘ – il disegno schematizzato e destinati a fare solo da traccia, e ad aiutare nell’impaginazione. Preferisco realizzare direttamente uno ‘storyboard’ intero e dopo rileggere e correggere. Trovo l’approccio attraverso lo ‘storyboard’ più naturale rispetto a quello attraverso la sceneggiatura.
In che momento la passione per il disegno di Giulio Riosa diventa passione per il fumetto?
Per me, già da bambino, il disegno non era solo un modo per rappresentare qualcosa ma una voglia di raccontare. Il fumetto è stato per me la perfetta unione delle due cose: avevo il disegno come mezzo, e mi piaceva disegnare, e con i fumetti potevo raccontare una storia – ed era il fine. Era il sogno che avevo da bambino che si materializzava sulla carta. Quindi non c’è stato un vero e proprio ‘momento’: la passione c’era sempre stata.
Il fumettista, quindi, è uno scrittore che disegna.
Si. È proprio così. Forse, per certi versi, fare fumetto è più difficile che scrivere: mentre lo scrittore ha in mente, magari, una scena, e deve solo seguire l’istinto e scriverla, il fumettista oltre a seguire l’istinto e ideare la scena deve anche disegnarla. Io non sono uno scrittore, però, quindi queste cose non le so … è solo una sensazione.
Il fumetto viene spesso considerato un’arte di serie ‘b’. Come mai, secondo te?
Di recente, per fortuna, le cose sono cambiate, e non è più così [Milo Manara disegna l’arte – ndr]. Diciamo però che lo è stato per lungo tempo. Il fumetto è sempre stato relegato in uno spazio artistico molto relativo, principalmente a causa del modo di fare cultura del nostro paese. In Italia, fino a pochissimo tempo fa, il fumetto era visto come ‘una cosa da bambini’; ancora oggi, se un adulto dice a un altro adulto ‘io leggo i fumetti’, l’altro gli risponde che è rimasto troppo attaccato alla sua infanzia. Se poi gli dice che legge Manga è ancora peggio. In altri paesi, in Francia ad esempio, il fumetto è considerato un’opera d’arte, che non ha nulla in meno in confronto con qualunque altra forma d’arte esistente. Questo si riflette nell’editoria, e in molti altri campi.
C’è una certa reticenza, da parte dell’editoria italiana e nei confronti del fumetto, ad avvicinarsi a un mondo che non si conosce. Non solo nei confronti del fumetto. Però nel fumetto questo stacco è particolarmente sentito.
Con le scuole Mario Cerne ha collaborato per molti anni. A Trieste, Cerne ha insegnato presso la scuola Kodermaz, poi all’istituto Nordio e in alcune scuole medie, in particolare ricollegandosi a un tema storico, al progetto storico legato all’anniversario della Grande Guerra. In questo modo si imparava la storia attraverso i fumetti, un metodo formativo sperimentato già a partire dagli anni Settanta.
Qual’è il tuo idolo del disegno?
Il mio idolo non è un fumettista. È un’illustratore americano: Wayne Reynolds. È un’illustratore di fumetti Fantasy, e storico, e ha partecipato a progetti molto importanti. È dinamico, cosa che mi piace moltissimo, e in un campo come quello dell’illustrazione Fantasy in cui ora la computer grafica è molto sfruttata, continua a dominare nonostante lavori ancora con china e colori. Utilizza la computer grafica, ma non eccessivamente, e i suoi lavori in bianco e nero in originale sono migliori di quelli successivamente colorati sul computer.
Direi che il Fantasy ti piace.
È la mia vita.
E il computer?
È uno degli strumenti di lavoro che si sono aggiunti, con il tempo, alla mano di un artista.
È difficile da usare?
Come tutte le cose. Bisogna avere pazienza di imparare, impegno e costanza. Dipende naturalmente da software a software, da tavoletta a tavoletta, e il costo di questi strumenti non è un elemento indifferente, influisce sul risultato. Alcune tavolette di fascia più alta hanno lo schermo sulla tavoletta stessa; se ne hai una tradizionale, invece, devi imparare a guardare lo schermo mentre disegni sulla superficie della tavoletta, ed è molto diverso da avere il foglio di fronte. Non è intuitivo come disegnare sul foglio, è un passaggio che avviene in un certo tempo.
Per imparare, al di là dei corsi che, per questo, possono sicuramente darti un’orientamento di base, serve tanta pratica. Il disegno, come tante altre arti, è qualcosa che si impara facendo, sbagliando, rifacendo, e lavorando continuamente. Ripetendo, ripetendo all’infinito e non essendo soddisfatti, fin che il risultato non viene.
Disegni direttamente sul computer, di solito, o prima disegni e poi usi lo scanner per digitalizzarlo?
Dipende dal tipo di disegno. Le cose semplici le faccio direttamente sul computer, disegnando su un livello e poi ripassando o creandone altri. Se devo fare disegni complessi che richiedono molta cura, come architetture, o edifici, preferisco farli su carta. Ho molto più controllo. Disegnare direttamente su computer è un’ottima scelta se devi fare personaggi, volti, o scene non troppo complesse.
Che tecnica preferisci?
Amo il tratteggio, il disegno a china in più passaggi. È una tecnica che si utilizzava molto nel passato: trovi molte illustrazioni della ‘Divina Commedia’ o dell’ ‘Orlando Furioso’. Chine chiare e scure e spessori diversi per dare un senso di spazialità, per creare luci e ombre.
Preferiresti un fumetto a computer o un fumetto in bianco e nero?
Un fumetto completamente in bianco e nero, fatto in tratteggio. Il colore può essere altrettanto bello, ma non sarebbe la mia prima scelta. Io non amo, peraltro, i colori troppo distribuiti. Preferisco le tonalità precise, il rosso, il verde, o l’unità cromatica con solo un colore che emerge sul resto. Il Frank Miller cinematografico.
Dove nasce il fumetto?
Il fumetto nasce dove si ha voglia di raccontare una storia. La primissima illustrazione è antichissima, non è nient’altro che il graffito preistorico – perché, attraverso un disegno, racconta un evento, o un sentimento. Nell’Egitto antico, i geroglifici oltre a essere un alfabeto raccontavano i rituali e i miti. O in Giappone, attraverso i rotoli di carta che raccontavano una fiaba. Raccontare le cose attraverso un disegno fa parte dell’istinto umano. Nell’ultimo secolo il fumetto è diventato qualcosa di più … ‘ufficiale’, e ha iniziato a chiamarsi così come si chiama oggi. Si sono date delle regole a qualcosa che l’uomo sapeva già fare: si sono create delle scuole.
Il tuo sogno?
Diventare un fumettista.
Ma sei già un fumettista.
Essere riconosciuto come fumettista. Lasciare un’impronta.
Il graffio.
Esatto.
Che cosa consiglieresti a chi vuole avvicinarsi al fumetto?
Disegnare tanto e guardarsi molto attorno. Non solo nel campo del fumetto ma in qualunque altro campo. Molti appassionati di fumetto inizialmente sono attratti solo da una delle sue tipologie … mi spiego: chi inizia leggendo Manga vorrebbe continuare a leggere solo Manga, e il fumetto americano è qualcosa, per loro, da snobbare. La stessa cosa vale per chi legge fumetti americani. Non è così: ogni paese ha una cultura e qualcosa di diverso da insegnarti.
Che cosa c’è, secondo te, nel Manga? E nel fumetto americano e in quello europeo?
Il Manga è emozione, sentimento: fin troppe volte il Manga sacrifica il disegno per privilegiare la trasmissione di un’emozione. E i capitoli, le tavole sono costruiti in base a ciò che devono raccontare: il fumetto francese è strutturato invece sulla tavola stessa; quello italiano, a vignette. Nel Manga c’è un flusso continuo, il flusso di un racconto che prosegue ininterrotto; molto spesso, se guardi una sola tavola di un fumetto Manga, essa non ti racconta niente, o quasi niente, perché va per forza vista all’interno di un contesto.
Il fumetto americano, un po’ come la lingua inglese, ha il dono della sintesi. Riesce a riassumere, a emergere subito – a far emergere istantaneamente il suo classico super eroe e trasmetterti un messaggio.
Il fumetto francese, più in generale il fumetto europeo, è qualità. Il fumetto francese ha il miglior disegno in assoluto. Puoi avere di fronte a te un fumetto francese che ha una storia che non ti piace ma del quale t’innamori lo stesso per l’incredibile qualità dei disegni.
Quello italiano, penso a Bonelli, ha ancora qualcosa in più: il realismo. Quasi tutte le vignette dei fumetti Bonelli sono come delle foto: rigoroso, stretto, ma molto realistico, ed è lo stile che sceglierei se dovessi disegnare una storia classica di Agatha Christie.
Poi hai il fumetto dell’America Latina, o quello coreano o cinese, che, come i francesi, curano moltissimo il disegno e spesso sorprendono, come nel caso di ‘Priest’, un fumetto fatto completamente in matita.
Ricordando, sempre, che non si può schematizzare troppo, perché con le Graphic Novels ad esempio racconti un romanzo intero ed esse escono da questi schemi.
Prossimo impegno?
In questi giorni partecipo a un concorso per Lucca Comics in coppia con Ilenia, la mia ragazza.
Ci vediamo a Lucca, allora.
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata
˜
Giulio Riosa nasce a Trieste il 16 febbraio 1988. Fin da piccolo ha avuto una grande passione per il disegno e la rappresentazione. Si è diplomato nel 2007 al liceo scientifico ‘Oberdan’ e consegue la laurea triennale in architettura all’Università di Trieste, dove attualmente frequenta il corso di studi della laurea magistrale. Nonostante il percorso di studi, porta avanti il disegno come hobby, formandosi come autodidatta. Ha vinto un concorso organizzato dal negozio di giochi Fantasylandia e ha partecipato a due edizioni della mostra Artefatto organizzata dal Polo di Aggregazione Giovanile Toti e dal Comune di Trieste. Nel maggio 2010 ha presentato, nel corso della manifestazione Fumetti per Gioco, il suo primo fumetto, un’autoproduzione di sedici tavole: “Caedes”. L’anno successivo presenta una seconda autoproduzione: “La rosa e il lago” nella quale rappresenta il racconto breve ideato e scritto dai cultori di Fantasy triestini Emanuela Andrejasic e Maurizio Petruzzi. Ha collaborato molte volte con la Twilight Comics, prendendo parte al fumetto dell’Errante “Battaglia per l’eternità” scritto da Mario Cerne, ha partecipato alla raccolta delle Pin Up edite da Esaedro per festeggiare i quindici anni della casa editrice. Ha partecipato ad entrambe le giornate de “Le terre dell’Arte”. Lavora all’Accademia di Fumetto di Trieste come insegnante del corso base adulti (primo anno) e corso base giovani (primo anno). Ha prodotto il manifesto per la manifestazione “Fumetti per Gioco 2014” e recentissimamente al progetto “Trieste rosso sangue” edito da Hammerle Editori e Stampatori.