Mentre bevo un caffè in prossimità della sede operativa di ITS International Talent Support, ho tutta una serie di pensieri che mi attraversano la testa prima di recarmi all’appuntamento per intervistare Barbara Franchin, fondatrice e ideatrice di questa manifestazione.
Il primo è circa la cronica abitudine di Trieste di non riuscire mai a posare la sua attenzione su quello che di positivo si fa ma di riuscire solamente a distinguere i contorni dei vuoti della città.
Dicendo questo non voglio essere un ottimista con gli occhi tappati. In mezzo alle croniche mancanze e alle innumerevoli opportunità ignorate, se non schivate, qualcosa che funziona (e bene) c’è.
ITS è una realtà attiva e forte che ha lo scopo di supportare dalla formazione nelle loro nazioni sino alla fase finale che si tiene a Trieste i giovani talenti della moda e del design.
In ognuno dei suoi quattordici anni di vita, ITS ha dato alla città una copertura mediatica enorme, portando a Trieste, ad oggi, circa 2700 giornalisti da quasi 50 nazioni (dalla ‘A’ di Argentina alla ‘U’ di USA). Tanto per avere una dimensione fisica di tutto questo solo in termini di stampa e Press Area del sito di ITS, è possibile scaricare un documento che rappresenta un riassunto degli articoli che ne parlano e conseguentemente di Trieste stessa: è composto da 318 pagine. Mentre scrivo le chiacchiere medie delle città vertono sulla pedonalizzazione del centro (malvista ovviamente, come la maggior parte dei cambiamenti). Eppure manca meno di un mese al culmine di un lavoro enorme che impegna un gruppo di progetto per più di dieci mesi, partendo ogni anno da zero o quasi.
Il secondo pensiero che affronto riguarda la quantità di luoghi comuni che mi porto dietro sul mondo della moda e con cui a breve, inevitabilmente mi scontrerò.
Il terzo riguarda Barbara Franchin stessa, che conosco da più di vent’anni ma non vedo da almeno quindici.
Ci siamo conosciuti all’interno di Radio Fragola, una realtà di aggregazione e sostanzialmente di autogestione triestina fortemente legata al sociale, che è stata spiumata e irreggimentata da un sistema di equilibri politici che, come spesso accade, non vede di buon occhio le iniziative che vengono dal basso.
Ora Barbara è alla guida di ITS, che potremmo definire tranquillamente una “eccellenza” di questa città; l’immagine di ritrovarmi come intervistatore in uno spinoff de “Il diavolo veste Prada” in salsa triestina, confesso, mi viene in testa.
Ma non è così. L’incontro è da subito tutt’altro che formale e si tramuta in una chiacchierata amichevole. Barbara smette; dichiara chiusa la sua giornata di lavoro, e della mezz’ora concordata con l’ufficio stampa ci si ritroverà a sforare l’ora, davanti ad una finestra da lei spalancata sul mare con un bisogno quasi fisico di un po’ di respiro. È subito chiaro che non è per lei un mare qualsiasi a darle respiro, ma il mare di Trieste. Ha una affetto per la città che ben spiega il tenace attaccamento al principio di trattenere la manifestazione qui, nonostante le richieste da parte di altre città di spostare tutto ci siano, e con garanzie economiche tutt’altro che trascurabili.
Alternando espressioni che tradiscono sul volto una stanchezza che va oltre il lavoro su questa singolo edizione all’orgoglio tenace di quello che è ITS dalla sua fondazione ad oggi, Barbara mi snocciola cifre davvero importanti. Budget di oltre un milione di euro all’anno, perlopiù messi insieme con sponsor privati (partendo oltretutto ogni anno da zero), un archivio di portfolio e materiali che supera i quattordicimila pezzi, una rete di contatti radicata ed estesa che tra aziende sostenitrici e addetti al settore moda e design (e non solo) vede nomi di multinazionali globali.
Ero arrivato con l’intenzione di non cercare di parlare gran ché di quelle che possono essere le difficoltà a far girare tutto senza (troppi) intoppi, perlomeno dal punto di vista dei rapporti con le realtà triestine e in generale italiane, ma ad un certo punto è inevitabile.
La risposta è ovviamente sì: che è difficile, e a tratti scoraggiante. Le dinamiche con cui si viene in relazione non sono sempre lineari e nell’impronta del fare, ma più spesso inserite in logiche di mero controllo che rendono appunto il “fare” molto difficile. Ma ITS e Barbara hanno anche uno spirito battagliero e la convinzione che questo evento sia anche una grossa opportunità, se non un grimaldello per entrare in spazi – fisici o meno – emblematici per la città. Basti come esempio l’edizione che ha avuto il suo culmine all’interno del Porto Vecchio nonostante una quantità di problematiche burocratiche da far venire i capelli bianchi, come la necessità di una autorizzazione scritta per ogni singola persona in ogni singola giornata solamente per l’accesso all’area del porto vecchio.
La chiacchierata si estende all’idea di Trieste che Barbara ha: una città con spazi di opportunità e punti di forza che però restano sparpagliati ed isolati, senza una apparente possibilità di attivarli e metterli in rete. Qui il suo sguardo è sì convinto della cosa e non stanco di difendere questa visione, ma anche un po’ logorato da tutta una serie di intoppi e soprattutto rischi che lei e tutto lo staff di ITS si assumono in prima persona, sfiorando il disastro più di una volta.
Il momento in cui davvero le si illuminano gli occhi è quando parla del suo gruppo. Le premesse erano chiare quando all’inizio mi racconta di come è iniziato questo percorso, subito dopo l’esperienza con Mittelmoda. L’esigenza, anzi, voleva mettere insieme persone per fare cose per altre persone. Questo il primo motivo.
Che il gruppo di lavoro stabile di ITS sia un ambiente molto coeso e forte lo si apprende da dettagli come la “scala dei rischi” che si usa per chi fa parte della staff, e che mette in cima alle priorità il benessere dei singoli collaboratori. Un gruppo in cui si cerca di tenere fuori qualsiasi tipo di competitività e di crescere nelle proprie competenze. Non è un caso se ci sono persone che vengono da esperienze completamente diverse prima di affrontare questa esperienza arrivata oramai alla soglia dei quindici anni. Barbara ci tiene a sottolineare che lei è anche un capo che quando si “incazza” diventa odiosa. Sottolinea anche che non ci tiene a passare per il santone di una comune, ci tiene al gruppo ed al lavoro che il gruppo porta avanti, non l’opposto.
Il secondo motivo per cui ora Barbara è alla guida di ITS è il fascino per la materia che muta e diventa qualcos’altro, che ha sentito molto forte quando ha assistito per la prima volta alla confezione di un abito sartoriale in una situazione di esigenza squisitamente personale. ‘La plasticità della materia’, così mi vien da dire, e lei annuisce.
Parliamo dei luoghi comuni e di quel che s’ignora della moda, di come non sia solamente corpo ma anche uno spazio di enorme creatività espressiva – che non a caso l’arte contemporanea riconosce sempre più come media espressivo al pari di altri strumenti – di una parte di formazione e scouting, la possibilità di portare dei contenuti etici, anche in modo provocatorio, in quello che in genere è conosciuto solo come il regno del fatuo e del lusso. Per ottenere un esempio di questa provocazione in un microcosmo come Trieste, basta fare un rapido sunto dell’edizione di quest’anno. Quest’anno il tema è il futuro, “the future”: futuro, giovani, internazionale, lavoro: tutte parole che a Trieste suonano stonate, se non totalmente fuori contesto.
Scorrendo il Web, mi rendo conto che la presenza di Barbara è davvero sporadica. Ci sono sue foto solamente in momenti di lavoro, ma rare sono quelle di rappresentanza “ufficiale”. Considerando che è riconosciuta non da ieri come uno dei più importanti talent scout della moda italiana e, per ELLE Magazine Italia, è una delle cento donne più importanti della moda nel nostro paese, pare estremamente schiva. Me lo conferma raccontandomi che non ama apparire alle sfilate e neppure assistere, lo fa solamente quando è strettamente necessario. A dimostrazione di ciò riesce anche ad apparire (forse, non ne sono sicuro) solamente in qualche frame nell’intero servizio che CNN ha dedicato a ITS l’anno scorso. A parlare in questo servizio del network di informazione per eccellenza, sono altri.
Con Barbara si parla di molte altre cose, ed emerge costantemente fino alla fine dell’intervista il grande attaccamento a Trieste e la sincera volontà di essere partecipe, se non motore, di un cambiamento di questa città. Intanto ITS c’è – e vale la pena di difenderlo senza troppi ragionamenti così come è.
Dopo avere sforato il doppio del tempo concordato ci salutiamo. Mi resta l’impressione positiva prima di tutto di una chiacchierata con una persona in gamba che non vedevo da tanto tempo, ma anche la considerazione (un po’ più giornalistica) che è un piacere constatare come ci siano persone che cercano di mantenersi fuori da quel complesso calderone che potremmo riassumere come “dei soliti giochi” e predilige il tentativo di creare qualcosa di bello e produttivo, appunto “mettendo insieme persone per fare qualcosa per altre persone”.
Vincenzo Russo © centoParole Magazine – riproduzione riservata