Corinne Clery: mi sono innamorata del teatro

NadiaPastorcich2.jpg

3 donne in cerca di guaiSta andando in scena in questi giorni, al Teatro Bobbio di Trieste, lo spettacolo “3 donne in cerca di guai” – tratto da “Les Amazones” di Jean-Marie Chevret – con la regia di Nicasio Anzelmo, che vede come protagoniste principali tre grandi donne: Corinne Clery, Barbara Bouchet e Iva Zanicchi.

Martine (Iva Zanicchi), dopo tanti anni di matrimonio, viene abbandonata dal marito e si ritrova di colpo sola, arrabbiata e triste. A tirarla su di morale sono le sue due amiche Micky (Barbara Bouchet) e Annie (Corinne Clery) che vengono a stare da lei.
Annie è un po’ folle e non accetta il passare degli anni, continuando a fare ciò che ha sempre fatto, con la convinzione che tutti gli uomini cadano ancora ai suoi piedi, mentre Micky è forte, decisa, capace di far ragionare le altre, ma anche lei con quale fragilità.
Ogni tanto, a far loro compagnia, è Mirò (Giovanni Di Lonardo), il vicino di casa; ma a cambiare la loro “nuova” vita e l’equilibrio che si era creato, è l’arrivo di Guillaume (Nicola Paduano), il giovane figlio di una loro amica, che risveglia nelle tre donne le emozioni più sopite. Si ritrovano così a contendersi il giovane, per poi capire che è assurdo ciò che stanno facendo, anche se, alla fine, una telefonata le farà cambiare nuovamente idea.
A rendere questa pièce ancora più divertente e “famigliare” sono stati alcuni riferimenti alla città di Trieste: ogni tanto, durante lo spettacolo, si sente parlare di ‘mulo’ (ragazzo), ‘gibanica’ (dolce tipico), e Iva Zanicchi intona “Trieste mia, che nostalgia…”.
Tutte e tre, pur non essendo prevalentemente attrici teatrali, si sono dimostrate molto abili, brave e cariche di energia.

centoParole Magazine vi propone una chiacchierata con Corinne Clery.

Corinne Clery. Ph NadiaPastorcichCosa si ricorda dei suoi esordi?

Il primo film che ho fatto è stato l’ Histoire d’O: un film erotico di altissimo livello. Era stato tratto dall’omonimo romanzo (di Pauline Réage. n.d.s), un libro molto conosciuto in Francia. Il film fu molto criticato: a qualcuno era piaciuto e ad altri no. Questo film forse l’ho fatto con un po’ d’incoscienza, ma io sono francese, e per di più parigina: su certi argomenti, in Francia, all’epoca, eravamo un po’ più avanti. Ero abituata ad andare in spiaggia in topless e ci andavo con mia madre, quindi il fatto di spogliarmi non l’ho visto come un problema: questo tipo di pudore non l’ho mai avuto. Quando me l’hanno proposto, ero già sposata, separata, con un bambino e mi stavo per risposare. Il mio futuro marito non se la sentiva di dirmi di non farlo, perché, essendo proprietario di molte sale cinematografiche importanti in tutta Italia, sapeva già che lotta c’era per avere quel film, prima ancora che fosse uscito. Così mi ha detto: “Guarda, se tu lo fai, io son contento”. Mio padre pure non ha obiettato: “No tesoro, guarda tu non sei mai volgare, quindi fallo, non ti preoccupare, sono sicuro che farai una bella cosa”. Quindi non ho trovato nessun ostacolo davanti a me. Io, in realtà, non volevo fare cinema e perciò in un certo senso “speravo” che qualcuno mi dicesse di non fare questo film, invece poi tutto è partito. È stata un’esperienza stupenda: i due produttori sono stati come dei papà per me; e il regista – con il quale siamo tutt’oggi amici, e che poi è diventato anche il mio testimone di nozze – era come un fratello. Era come stare in una grande famiglia; non c’era nessun voyeurism, non c’era nessun imbarazzo; anche se molte cose si vedevano in primo piano, devo dire la verità che io non ho sentito tutto questo come un problema.
Però, poi, mi sono detta: “ È il primo e l’ultimo film che faccio, perché tutto sommato non mi piace tanto l’ambiente”.

E invece, alla fine….

E come si fa… Poi mi hanno proposto il mio primo film italiano: “Bluff” con Celentano ed Anthony Quinn.

Ecco, che cosa si ricorda di quel film?

Delle risate continue. Inizialmente doveva esserci un’altra attrice al posto mio; in Sardegna, incontrai il regista che ‘s’innamorò’ di me – tra virgolette, perché era un grande amico di mio marito. Così loro hanno deciso di cambiare tutta la storia e sono diventa una delle protagoniste. Quanto abbiamo riso! S’inventavano ogni giorno qualcosa di nuovo, io non sapevo mai nulla. Troppo divertente!

Le musiche erano di Lelio Luttazzi; l’ha mai conosciuto?

No, non l’ho mai conosciuto, o forse non me lo ricordo. Non sapevo molto, allora, del cinema italiano, non conoscevo molte persone. Comunque in quel film ci sono stati dei momenti esilaranti fra di noi. Con Anthony Quinn e Adriano Celentano avevamo un rapporto meraviglioso; quest’ultimo viveva con la moglie Claudia in un albergo e venivano spesso a cena a casa nostra, poi alla domenica si andava tutti a casa di Anthony. All’epoca, durante i tre, quattro mesi delle riprese, eravamo diventati una vera e propria famiglia – come è successo anche adesso in teatro con questo lavoro “3 donne in cerca di guai”: siamo insieme dal due gennaio. Per mesi si diventa una famiglia e allora tutto è meno pesante, perché questo è un mestiere molto faticoso: anche se uno sta male deve andare in scena, come è capitato molte volte anche a me, quindi, il fatto di riuscire ad avere dei buoni rapporti con i colleghi aiuta molto.

Lei è stata una delle Bond Girl a fianco di Roger Moore. Che effetto le fa ora, dopo tanti anni, pensare di aver fatto parte di questa lunga serie di film così famosi?

Nessuno (ride). Io sono un po’ strana. Quando mi hanno proposto di fare “Moonraker – Operazione Spazio”, siccome non dovevo essere la protagonista, ma la co-protagonista femminile e non sapevo bene cosa avrei dovuto fare, all’inizio non volevo accettare. Mi sono detta:“No, io non voglio essere un numero”, ma poi mi convinsero. La protagonista era Lois Chiles, una bellissima attrice americana: quella che aveva fatto “Il Grande Gatsby”. Poi ci sono stati dei problemi con la produzione e alla fine non è stata lei, bensì io, a rappresentare il film in tutto il mondo e devo dire che è stata un’esperienza meravigliosa.

E com’era Roger Moore?

Meraviglioso, un signore, con questo humor inglese… era sposato con Luisa, una bellissima signora italiana, che aveva un figlio della stessa età del mio, quindi, dovunque andavamo per la promozione, ci portavamo dietro i nostri figli, che erano grandi amici. Fare James Bond è come fare un film dentro un film: è un’organizzazione incredibile. Mio figlio recentemente è stato l’assistente del produttore a Roma del nuovo film su James Bond e anche se lavora spesso per grosse produzioni, questa di Bond è stata una cosa incredibile. Sono esperienze veramente uniche.

Con anche grandi attori …

Sì, mi è capitato più volte di lavorare con grandi nomi, basti pensare ad Anthony Quinn stesso, e a molti altri attori italiani importanti. Ma devo dire che non ho mai subito il fascino dei grandi nomi, neanche da ragazzina. Se però poi, questi grandi attori, oltre ad essere bravi, sono anche per bene e si dimostrano colleghi meravigliosi, allora sì, ti rimangono nel cuore. Tornando a James Bond, Roger Moore è stato un tesoro, sempre, sempre, sempre.

Lei ha fatto il film “Il Mondo di Yor” con la regia di Margheriti, un film di fantascienza…

Sì, era lunghissimo.

Com’era, all’epoca, girare un film di fantascienza?

Era incredibile, incredibile! Abbiamo girato in Turchia, dove siamo rimasti per più di tre mesi e poi abbiamo lavorato altri due mesi a Roma. È stato proprio un grossissimo sforzo di produzione: si partiva dall’Età della Pietra per poi finire nello spazio – era un film per ragazzi. C’erano dei mezzi incredibili. I mostri erano a grandezza naturale e venivano mossi meccanicamente, un grandissimo lavoro! Bello, anche se difficile fisicamente. Noi venivamo lasciati sulla montagna in mezzo al nulla, con questi mostri e dovevamo abbatterli; c’erano delle lotte continue e alla fine, con una navetta spaziale, finivamo nello spazio.
Durante le riprese di questo film, avevamo la sveglia alle quattro di mattina e alle cinque e mezza eravamo già sul set: bisognava incominciare a girare con le prime luci del giorno, all’alba. Comunque mi sono divertita molto: sono una persona piena di vita anche oggi, quindi figuriamoci tanti anni fa. Avevamo duecento comparse che, in base a delle ricostruzioni storiche, erano state tutte vestite con delle pelli di daino. È stato un lavoro lunghissimo, con dei mezzi pazzeschi! Margheriti era un signore adorabile. Anche qui è stato tutto bello; io vado sempre d’accordo con tutti, quindi è difficile non andare d’accordo con me, però all’epoca ero anche molto ribelle – lo sono ancora oggi che sono una signora grande, una donna grande (ride) – però ci siamo divertiti. Mi sono proprio divertita!

Lei ha lavorato anche con Antonello Falqui …

Sì, con lui feci quel famoso streeptease al rovescio (ride)

Esatto! Com’era Antonello Falqui?

Era un tesoro! Quella dello spogliarello era stata una sua idea ed io ero molto stupita, perché era per lo show di sabato sera su Rai Uno, ma lui mi disse: “Se ti va di farlo…”, ed io risposi: “Certo, che c’è di male”.

Ma per quell’esibizione ha dovuto fare tante prove?

No, io non amo molto fare le prove e meno ne faccio, meglio sto. Ovviamente bisognava coordinarsi con i ballerini, si doveva lavorare sui tempi; insieme a me c’era un ballerino che mi portava delle cose, quindi era necessario calcolare tutto bene. Ci avrò messo un pomeriggio o anche meno, ora non ricordo. Io faccio tutto così, non è che mi scervello molto, non è che c’era da scervellarsi tanto per fare quello. È stata una cosa molto, molto carina, ed è rimasta nella storia della Rai.

Com’era la televisione una volta, com’è quella di adesso? Quale preferisce?

Sicuramente quella di una volta, non c’è dubbio. Anche di sceneggiati ne ho fatti tanti; ne feci uno lunghissimo che si chiamava “Benedetta e Company” per Rai Uno. Si lavorava con calma, in tre mesi, tutto era ben scritto, ben organizzato, con un buon budget, con il truccatore di alto livello, la produzione di alto livello, mentre adesso è tutto sciatto.
Ora devo fare un cameo per un film, inizialmente mi avevano detto che lo avremmo fatto in tre giorni, poi sono diventati uno e mezzo. Questo per far capire come funzionano le cose; adesso tutto è così. Ho fatto “Incantesimo” per due anni, i ritmi erano da operaia: si girava dalle otto di mattina e a quell’ora bisognava già essere pronti e truccati, sapere tutte le scene, e si finiva alle sette di sera. Mamma mia, veramente una fabbrica. Finita la giornata di riprese, ti cambi, torni a casa e vai a studiare le battute per il giorno dopo.

Non si rischia di perdere umanità e passione?

No, questo no. Pensa che quando arrivavo sul set – ci andavo con la mia macchina: non volevo parlare con nessuno alla sette di mattina – i tecnici mi ricevevano con un: “È arrivato il sole!”.
Sono ancora amica, con alcuni di loro. I rapporti non si misurano, sono empatici, e noi attrici, secondo me, abbiamo il dovere di comportarci correttamente con le maestranze: senza di loro non si lavorerebbe bene. Io ho sempre un rapporto molto stretto con chi è dietro le quinte.

Beh, mi sembra giusto!

Sì, assolutamente, ma sapessi quanti non lo fanno…

Sì, però, quando manca quest’empatia, si vede, secondo me…

Anche secondo me. Chi vede la nostra pièce “3 donne in cerca guai”, ci vede così come siamo.

A proposito, com’è lavorare in questo spettacolo dove siete tutte e tre delle grandi donne?

Siamo un trio fantastico. A questo spettacolo, ci lavoro da un sacco di tempo. È un progetto che ho cercato di realizzare otto anni fa, ma allora non ci sono riuscita. Avevo comprato i diritti e li avevo portati in Italia, ma i produttori mi avevano detto che il tema non era attuale e che in l’Italia non avrebbe funzionato. Poi ho ripreso i diritti nel 2014; prima ci ho lavorato da sola, poi anche con il regista – anche a lui piaceva questo testo. Abbiamo chiamato la produzione e poi abbiamo cominciato a pensare alle attrici. Inizialmente, oltre a me, dovevano esserci Catharine Spaak e Marisa Laurito – infatti in alcune locandine sono rimasti questi nomi. La presenza della Spaak era definitiva, anche se alla fine c’ha mollati; mentre la Laurito aveva dato l’ok per mettere il suo nome, ma con riserva. Catharine Spaak è stata sostituita da Barbara Bouchet; conosco Barbara da più di trent’anni, all’inizio avevamo pensato a lei, ma avevamo saputo che stava facendo un’altra cosa in teatro. Poi un giorno, ho deciso comunque di chiamarla, e lei ha accettato.
Per quanto riguarda Marisa, sapevamo già dall’inizio che la sua presenza era incerta. Lei è stata molto corretta e mi ha chiamato dicendomi che, a causa di altri impegni, purtroppo, doveva rinunciare allo spettacolo. Così Tania Corsaro, la produttrice, mi ha detto: “Che ne dici di Iva Zanicchi come sostituta della Laurito?”, mi è sembrata un’idea geniale; poi Iva ha accettato e tutto è partito.

Secondo lei, quanto è importante sapersi mettere in gioco anche in un’età più matura?

È fondamentale! Se no, una fa l’impiegata. L’attrice deve sempre mettersi in gioco, secondo me. Poi c’è sempre tanto da imparare.

La donna, secondo lei, era più agevolata una volta o oggi?

Oggi, oggi. Intanto oggi la gente vuole vedere commedie con le donne e poi, adesso, viviamo in un mondo dove le donne hanno un ruolo importante come quello degli uomini, se non di più, perché spesso fanno le mamme, le nonne – io sono mamma e nonna – fanno le attrici, fanno tante cose insieme.
Adesso ci sono tanti ruoli per donne, soprattutto in teatro. Io mi sono messa a fare teatro quindici anni fa per caso: mi avevano chiamata chiedendomi se volevo fare uno spettacolo teatrale, e io mi sono detta: “No, non lo posso fare, non mi sento pronta”, ma, essendo molto impulsiva, alla fine ho risposto: “Ma sì, lo faccio”. Poi sono partita in Africa, per un lavoro per Retequattro e mentre stavo lì, ho pensato: “Oddio, ma che follia! Che cosa ho detto! Ho accettato di fare teatro, ma non ne sono proprio in grado”. Poi, mentre stavo facendo una fiction con Marco Columbro, dove c’era anche Erika Blanc – un’attrice teatrale – ho cominciato a studiare con lei teatro e ho veramente capito quanto sia stata folle ad aver accettato, così su due piedi. Fino all’ultimo momento ho detto: “Che follia, che follia”, poi quando tutto è stato fatto, e tutto è andato bene, mi sono innamorata del teatro. Il teatro ti prende… è come un amore, e io voglio farlo.

Si dice che dietro a un grande uomo ci sia una grande donna; ma secondo lei quanto una donna ha bisogno dell’uomo?

Sempre di meno, purtroppo – ma non voglio dire che sia una brutta cosa. Io adoro gli uomini e adoro la figura maschile, che è molto importante. Ho avuto per quindici anni un marito che è stato un grande uomo – ora da cinque anni non c’è più – e non mi ha mai ostacolata, anzi è stato presente, anche se faceva tutt’altro lavoro. Però, i tempi sono cambiati, e la donna è sempre più indipendente. Quindi, quella frase, è un po’ antica.

È già stata a Trieste o è la prima volta che ci viene?

Ci sono già stata una volta, circa una ventina d’anni fa…

Come mai era venuta qui?

Ero venuta per una convention al Palazzetto dello Sport e non ho visto niente; stavo in un bellissimo albergo, che si trova nella vostra famosa “Piazza Grande” (Piazza dell’Unità d’Italia n.d.s.). Quella volta sono stata portata lì, poi portata alla convention, e riportata in aeroporto. Non ho visto niente. Oggi non si poteva uscire a causa di questa bora, quindi, domani, se sarà bello, farò un giro. Comunque, so che Trieste ha una sua storia, ma purtroppo, per ora, ho visto solo quella piazza.

Lei prima ha detto che il cinema è arrivato nella sua vita un po’ per caso. Quindi, che cosa voleva fare da giovane?

Io facevo la fotomodella e avevo smesso da un paio di mesi, perché volevo viaggiare. Avevo un contatto che mi ha proposto di fare dei libriccini di viaggi per “Les Éditions Hachette” – che sarebbe tipo Rizzoli in Italia. Per fare questo lavoro, andavi in giro per una settimana al mese, con una piccola troupe, un fotografo, una persona che trovava i posti.
Volevo fare questa cosa qua, perché così, una volta al mese, me ne andavo, viaggiavo, guadagnavo molto bene e stavo anche a casa – avevo già un figlio di sette anni. Questo è ciò che volevo fare, se no, avrei fatto l’arredatrice, assolutamente.

Ha un sogno nel cassetto?

Un sogno nel cassetto ce l’avevo tanti anni fa, e ho cercato di realizzarlo: era un film, che volevo produrre, ma non è stato possibile, perché tutti stavano dietro agli stessi diritti. Era una storia vera di una ragazza francese (Béatrice Saubin n.d.s) di buona famiglia, che viene messa in prigione in Malesia e condannata a morte per una cosa che non aveva fatto: un traffico di droga. Il ragazzo cinese di cui si era innamorata le aveva dato – a sua insaputa – una valigia contenente droga.
È stata una storia che aveva smosso tutta la Francia e anche tanti attori e attrici avevano sfilato in difesa di questa ragazza, che alla fine è stata salvata. È stata una storia incredibile che mi aveva molto colpito. Adesso, il mio sogno nel cassetto, è quello di continuare a fare teatro fino alla fine. Voglio lavorare fino alla fine!

Ringrazio Corinne Clery per la piacevole chiacchierata.

Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata

Immagini correlate:

Share this post

One Reply to “Corinne Clery: mi sono innamorata del teatro”

  1. cesare ha detto:

    Un’altra simpatica conversazione di Nadia con Clorinne Clery, attrice francese di squisita classe ed ancor oggi di raffinato charme. Massima la sua disponibilità discorsiva, simpatica la sua esposizione con episodi importanti della sua vita di attrice cinematografica, televisiva e teatrale.
    Queste interviste sono interessanti perché possono servire anche da ottima guida per ragazzi e ragazze che volessero intraprendere la carriera di attori. L’esperienza delle persone intervistate può riuscire molto utile in tal senso. Il lettore è comunque sempre interessato perché conoscendo il protagonista, può apprendere di più di lui dal punto di vista professionale, ma soprattutto umano, e cioè ciò che vi è dello stesso, come si suol dire, “dietro le quinte”.

Lascia un commento

scroll to top