Bruce Davidson: la vita è un viaggio

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Le mie foto non sono fughe dalla realtà, ma una contemplazione della realtà, in modo che io possa vivere in modo più profondo.”

Così il celebre fotografo dell’ Illinois Bruce Davidson descrive l’atto attraverso cui imprime sulla pellicola un frammento, un’azione o un’emozione. Nasce il 5 settembre del 1993 ad Oak Park. Già alla tenera età di dieci anni entra in contatto con quel magico gioco che è l’arte dello scatto attraverso l’uso di una Falcon 127 regalatagli dal padre.

Bruce Davidson

“Quando avevo 16 anni” racconta Davidson “mia madre mi convinse ad andare a Chicago per un viaggio, passai tutto il giorno a fotografare nei pressi di Maxwell street. Fotografavo persone : dall’anziana signora russa al ragazzo che lucidava le scarpe lungo la strada.”

Il giovane Davidson trae le sue prime ispirazioni dal Celebre fotografo americano William Eugene Smith che in quegli anni collaborava con la nota rivista “LIFE”.

“Non vedevo l’ora di di aprire il Life” racconta, “ quando pubblicavano uno dei suoi lavori ricordo perfettamente le emozioni che i suoi scatti accendevano dentro di me. Erano brevi storie con diverse strutture narrative, avevano un’ inizio, un nucleo ed una fine.”

Bruce DavidsonLe intenzioni che i lavori di Davidson rispecchiano sono ben diverse però da quelle di Smith, infatti egli non mira a creare delle short stories bensì si limita a lavorare attorno al soggetto intuitivamente, esplorando differenti punti di vista alla ricerca di un emozione tangibile di chi o cosa egli intende rappresentare. Il suo primo incontro con un fotografo in carne ed ossa fu quello con Henry Cartier Bresson, dal quale rimase folgorato. I sentimenti, i ritmi e le sfumature della vita che un fotografo come Bresson riusciva a catturare attraverso i suoi attimi decisivi non potevano che essere percepiti dal giovane Bruce. Il nostro all’epoca giovane fotografo racconta però di non cercare l’attimo decisivo ma anzi, intende le sue opere come insieme di momenti. Questa la caratteristica che attraverso un effetto cumulativo dovuto alla somma delle parti, dà origine alla componente magnetica nei suoi lavori. Le fotografie vanno infatti intese attraverso il significato che assumono all’interno della cornice. Se estrapolate dal contesto perdono il loro sapore, rompendo la coscienza collettiva che mirano a rappresentare. Caratteristica fondamentale per Davidson è il “not thinking”. A suo dire, quando gli veniva assegnato un lavoro per una rivista, non leggeva l’incarico. Il suo motto? Esci, esplora e fotografa tutto ciò che senti il bisogno di fotografare. Sostiene infatti che quello della fotografia sia un processo istintivo che non abbia nulla da spartire con il mondo della logica. L’osservazione della realtà porta Davidson alla sempre più ferma convinzione che ogni persona a questo mondo è sola, nasce tale e muore tale. Ma! e c’è un ma…ciò gli fa capire come l’isolamento sia una qualità fondamentale solo se unita ad un sentimento Bruce Davidsondi amore universale poiché, attraverso la sua fotocamera, spiega:

“ Non cerco di cambiare il mondo, la uso come veicolo dei miei sentimenti. Con la fotografia ho scoperto di poter cambiare me stesso.”

Attraverso il suo insieme di scatti Davidson va alla ricerca delle diverse connessioni tra i soggetti, scava alle radici delle loro solitudini portandole alla luce attraverso un senso di armonia collettiva.Soggetto dei suoi ultimi lavori La “Subway” di NY che diventa la protagonista principale con i numerosi volti dei suoi passeggeri.

“Con l’approdo dell’uomo sulla luna ho capito che stavamo perdendo il nostro punto focale, non dovevamo concentrarci tanto sullo spazio ma bensì su di noi, sulla percezione dell’umanità.”

Bruce DavidsonLa scelta del soggetto è dovuta principalmente all’affinità con lo stato emotivo del fotografo. Chi meglio della metropolitana Newyorkese, un tunnel scavato nell’oscurità, poteva comprendere a pieno la depressione in cui Davidson si era calato?

“Ho trovato una nuova realtà nel colore dei suoi graffiti, negli abiti e nelle espressioni dei passeggeri” che spiccavano in netto contrasto con l’ombra dell’entroterra. Davidson si lascia trasportare con le diverse linee da una parte all’altra della Grande Mela, si abbandona al fascino di questi colori così accesi.

Per me non c’è solo della bestialità nella metropolitana ma anzi come in ogni bestia, c’è una parte di bellezza ed io dovevo esplorarla.”Bruce Davidson

La descrive come un luogo dal fascino pericoloso, non si può mai sapere infatti chi si incontrerà scendendo le scale o chi si accorgerà di noi mentre aspettiamo.Ma trova in essa anche “un’ aspetto spirituale poiché”, racconta, “quando mi trovo sul treno, con un vecchio e barbuto rabbino mentre fuori dal finestrino passano le tombe del cimitero, riesco a vedere guardando le fermate il metro della vita che scorre. Ogni volta che salgo sulla metropolitana capisco che è il posto dove voglio essere, ormai è casa mia.”Così attraverso i Graffiti, la mescolanza di etnie, colori e volti Davidson riesce a testimoniare il fascino di quella che è la realtà di tutti i giorni in cui ogni uno di noi è solo ma mai del tutto.

Valeria Morterra © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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