Robert Doisneau è il rappresentante più illustre della “fotografia umanista” ovvero di quella sensibilità visiva che pone l’accento sulla condizione disagiata dell’uomo all’ interno del movimento sociale.
Si getta nella cruda e autentica realtà delle strade di periferia, una dimensione nuova, che all’epoca veniva concepita come scomoda. Sceglie di utilizzare la fotografia per dare voce alle sue idee.
Nasce il 14 aprile del 1912 a Gentilly, un sobborgo di Parigi che segnerà profondamente la sua estetica e il suo modo di guardare le cose.
Da ragazzo studiò litografia all’ École Estienne. Venne poi assunto all’età di ventidue anni, dopo aver lavorato come assistente dello scultore Andrè Vigneau, presso le officine della Renault di Billancourt come fotografo industriale.
Il contesto culturale in cui si trova ad agire guardava con ostilità e incomprensione a questo genere di produzione artistica ma Doisneau animato dalla voglia di guardare le cose da un punto di vista non convenzionale, persuaso del valore non solo artistico dello scatto, vuole donare nuova dignità alla fotografia occupandosi in primo luogo di soggetti che non avevano nessun valore commerciale.
“Quando ho iniziato” , racconta il fotografo, “questo mestiere era nel migliore dei casi un ingegnoso dilettante la cui attività era tollerata a patto che si accontentasse di restare ai margini delle vere corporazioni. Quanto ai Signori della Cultura Ufficiale, quelli non scherzavano: bastava accennare alla fotografia che li si poteva vedere, dimentichi delle antiche contese, formare quadrato e marciare compatti.”
La curiosità era il suo motore d’azione, con gli occhi fissi sulla strada e su ciò che vi faceva capolino, si aggirava per i vicoli dei quartieri popolari di Parigi alla ricerca di quella quotidianità casuale e sorprendente. Cercava di imprimere frammenti di un mondo dominato da una forte carica umana di cui voleva provare l’esistenza, egli infatti dichiarava:
« Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. »
Nei suoi scatti è possibile osservando con attenzione ricreare quel velo sottile di voci, suoni e gesti che ci rimandano al momento in cui sono stati strappati allo scorrere del tempo.
Egli fa della sua fotografia “un piccolo teatro” come ha affermato più volte nel corso della sua carriera. Infatti non si limita a ricercare e immortalare la vita reale, ma mira alla rappresentazione della realtà come gli piacerebbe che fosse.
Le sue foto non sono mai istantanee riprese all’improvviso. Sono, invece, piccole ricostruzioni in grado di restituire l’essenza perfetta di quei momenti confusi che rischiano di rimanere nascosti nell’imperfezione della realtà.
Esempio perfetto, lo scatto che ritrae due innamorati mentre si scambiano una dolce effusione difronte all’ Hotel De Ville.
Lui, Jacques Carteaud attore datosi alla viticoltura.
Lei, Françoise Bornet attrice rimasta legata all’ universo cinematografico.
Il fotografo è infatti rimasto colpito dal gesto di tenerezza tra questi due giovani attori, incontrati per caso ai tavolini di un caffè, così ha chiesto loro di replicarlo il giorno seguente.
L’intento di Doisneau era quello di impedire al tempo di scorrere, si può dire che in questa sua foto è riuscito a far diventare quel bacio il simbolo stesso della giovinezza, dell’amore e della gioia di vivere.
La sua voglia di scattare nasceva spesso come la continuazione di un sogno,la racconta così:
“ Mi sveglio un mattino con una straordinaria voglia di vedere, di vivere. Allora devo andare.” Quindi se anche a voi è mai capitato di sentirvi così, affrettatevi perché “se si lascia passare del tempo l’entusiasmo, il bisogno, la voglia di fare svaniscono.”
Valeria Morterra © centoParole Magazine – riproduzione riservata