Ipofotografia. Un certo qual modo di guardare.

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Ipovisione. Ipovedente. Questo il termine che la nomenclatura dell’invalidità civile dà al mio modo di guardarmi attorno.

” …L’ipovisione è una condizione di acutezza visiva molto limitata, che ha notevoli conseguenze sulla vita quotidiana; può essere causata da vari fattori, siano essi congeniti o acquisiti …”

Vincenzo Russo ipoFotografiaDetto in soldoni, non sono cieco, ma a suo tempo ho corso il serio rischio. Di quel periodo mi restano tutta una serie di “bruciature alla retina”, che mi fanno percepire le cose che guardo come se il mio cervello tirasse troppo gli ISO della mia fotocamera. Sono perennemente accompagnato dal “rumore” nel mio guardarmi attorno.  A questo aggiungo anche l’essere daltonico.

Il quadro generale non è decisamente quello di un falco.

Mi sono riavvicinato da poco alla fotografia, eppure ricordo che da piccolo mi piaceva parecchio. Mio padre mi mise in mano una Voigtlander ‘Vito B’ 35mm e un rullino Ilford in bianco e nero da trentasei pose, e mi porto con sé in una breve gita aziendale in Veneto. Fu splendido. Mi ero divertito anche a scegliere che foto fare, senza bruciarmi tutta la pellicola in scatti inutili. Io, ragazzino spesso pigro e impaziente, scoprivo la cura di cercare una immagine, valutarla e catturarla. Il risultato di quel rullino fu a tratti discutibile, ma almeno due o tre scatti erano belle foto, e mi avevano dato una grande soddisfazione.

Poi per tutta una serie di motivi mi sono allontanato pian pianino dalla fotografia. E poi la malattia, e i miei occhi che distinguevano improvvisamente troppi pixel e troppe aree non definite del mondo attorno a sé. Da un danno alla retina non si guarisce, e non ci sono occhiali che tengano; e, pur essendo io davvero una talpa, riesco a fare tutto senza problemi. Mi sono abituato a vederci così; la distanza da una pagina stampata è diminuita, e la percezione delle forme ha preso il sopravvento sulla ricerca dei dettagli.  Così è il mio vedere quotidiano; senza troppi problemi, ma con dei limiti evidenti.

Invalid Displayed Gallery

Cinque anni fa, un ritorno di fiamma; la fotografia, di nuovo lei. Un sentimento dapprima leggero, poi via via sempre più intenso. Le prove, la prima macchina digitale, la ‘Bridge’. Poi ’ingresso nel mondo delle Reflex, e via via di più, sino all’acquisto, sudato, di una “full frame”. Il pieno formato anche per me.

E, senza rendermi conto dell’immediatezza con cui accade, mi ritrovo ad aggiungere, al mio particolare modo di guardarmi in giro nella vita di ogni giorno, quell’essere staccati, o troppo dentro la realtà del visibile di chi ama la fotografia. Ho notato su di me, trovando consolazione in appassionati che mi confermavano questa modalità, che chi ha questa passione cammina spesso guardandosi attorno in direzioni inutili al semplice camminare od orientarsi. Spesso rallenta per poi riprendere un passo normale. A volte lo vedi strizzare gli occhi come a cercare di inquadrare qualcosa meglio, magari inclinando leggermente la testa. E tutto perché qualcosa colpisce, viene valutato immediatamente come possibile scatto e, a volte, come delusione di non avere con sè una macchina fotografica per catturare un momento a volte irripetibile.

Vincenzo Russo ipoFotografiaNella mia difficoltà a cogliere i dettagli di quello che si apre di fronte al mio sguardo, ho quasi inevitabilmente, pur senza accorgermene, spostato la mia attenzione sulle linee, sulle forme.

Cammino, e distinguo i netti contorni del marciapiede come una linea netta, prospettica, che non ha bisogno di particolari dettagli per essere inquadrata in un contesto. Vedo attorno a me colori a cui ho difficoltà a dare un nome, ma che riesco ad apprezzare nelle loro diversità, come se vivessi circondato da una serie di gradazioni di un unico multiforme colore. Praticamente sono prossimo al vedere in gradazioni di grigio, come nel falso mito dei gatti, o nella realtà della prima cattura dell’immagine di un sensore. Iniziare ad andare in giro con una macchina fotografica, e successivamente costruire ed ideare delle immagini per poi poterle realizzare, mi ha portato oltre questa mia particolare interpretazione della realtà.

Camminando e (spesso) soppesando quel che vedo come possibile fotografia, evito la caccia al particolare. Vedo i contrasti delle linee che percepisco disporsi a formare diagonali e vie di fuga, ma le sfumature leggere sono indistinte, e in qualche modo poco importanti. Di una figura umana che attraversa il mio sguardo non noto i dettagli, i tratti o l’espressione, ma lo inserisco nel contesto come silhouette, un’ombra scura o chiara in cui qualunque cosa possa distinguersi lo fa per un contrasto violento. Come una donna in completo scuro con una grossa borsa bianca sulla spalla.

Giovanni Fattori particolareScrivendo, mi rendo conto di come io sia rimasto sempre colpito dalla pittura di Fattori e di altri macchiaioli, e capisco ora un po’ il perché.

Vedo contorni e linee di contrasto, lo slancio delle forme e le nuvole, che danno forma al cielo e in cui vedo un fuoco violento divampare quando il sole cala, nell’ora in cui la luce taglia in due l’idea di piatto e traccia i contrasti di cose e pensieri con la calligrafia delle ombre. Anche quando mi accingo ad affrontare un ritratto, lo lascio sospeso, a galleggiare non completamente distinto, a trovare un po’ di armonia in un mare che lo fa dondolare, per accordarsi con la mia idea di realizzare qualcosa che sia bello, almeno per me. E se mi concentro su di un singolo dettaglio tutto il resto scivola nella nebbia.  Non ho la capacità di mantenere dettaglio e contesto in un unico sguardo, e di conseguenza uno dei due sarà sempre per me una sorpresa in una mia foto.

Sospendi il dettaglio per prendere coscienza del contesto; sospendi il contesto per enucleare un dettaglio. E la fotografia ti regala una stupenda sintesi di una cosa che nella realtà non riesci a fare.

Una settimana fa circa, il mio capo redattore, e soprattutto amico, se ne è venuto fuori con questa proposta di articolo che riteneva tagliata apposta più che sulla mia esperienza sulla mia sensibilità. Come si vede, se si vede così? Come s’immagina una foto?

E mi sono ritrovato a riflettere sul mio modo di vedere, fisicamente, e di conseguenza anche interiormente. Cosa che non avevo mai fatto con la dovuta attenzione, vuoi per una certa superficialità nei confronti di certi miei aspetti, vuoi perché distratto da altre problematiche. Forse anche perché chiunque ha una sua modalità di percepire la realtà fisica, ed essendomi abituato agli occhi che ho non mi ritengo così lontano dalla media del consorzio umano, anche se in realtà lo sono.

Vincenzo Russo ipoFotografia“Com’è fare fotografia, per una persona che vede come te”?

La domanda; curiosa, sincera. Fra amici, fra foto amatori, e per nulla insensibile; rivolta, poi, a me stesso. Ne è venuta fuori una serie di spunti che in una certa misura mi fanno capire perché ami così tanto il bianco e nero e detesti usare un ‘macro’, ma anche la soddisfazione di capire che tenere in mano una macchina fotografica mi ha aiutato a realizzare delle immagini in cui non avevo la minima tentazione di riprodurre la realtà (cosa peraltro impossibile in qualsiasi fotografia per chiunque). La certezza di interpretare già quello che vedo mi ha fatto sentire libero di trasformare la realtà con energia a volte forse eccessiva nei miei scatti, portando alla luce quanti più contrasti possibili, quanta più ombra posso.

Probabilmente anche di me stesso.

 

Vincenzo Russo © centoParole Magazine – riproduzione riservata

 

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2 Replies to “Ipofotografia. Un certo qual modo di guardare.”

  1. Serena Bobbo ha detto:

    (commento inviatoci dal lettore Cesare)
    Trovo questo articolo di Vincenzo Russo molto interessante e soprattutto aperto
    ad un nuovo modo di vedere, nella difficoltà visiva che lo ha colpito. Apre le porte
    non alla rassegnazione, ma insegna come, in ogni difficoltà, occorra ricavare modi
    per reagire, adeguandosi a nuove forme di convivenza con fatti che possono essere,
    come quello descritto, anche degenerativi.
    La vista, lo sappiamo, è molto importante e può modificare il nostro modo di vita,
    incidendo anche sul morale e la personalità di un individuo. Vincenzo Russo apre a
    noi una porta di una nuova possibilità nel saper osservare le cose, vedendole non
    più nei particolari, ma nelle linee principali, rendendo la sfumatura di un’ immagine
    elemento principale per osservare della stessa aspetti nuovi, nonché cromatici,
    quasi impensabili. E, detto da un fotografo, questo è molto importante, riuscendo
    pure di aiuto per tutti coloro che vedono diminuita e limitata la possibilità di vista
    così detta normale.
    Cesare

  2. Serena ha detto:

    (commento inviatoci dal lettore Cesare)
    Trovo questo articolo di Vincenzo Russo molto interessante e soprattutto aperto
    ad un nuovo modo di vedere, nella difficoltà visiva che lo ha colpito. Apre le porte non alla rassegnazione, ma insegna come, in ogni difficoltà, occorra ricavare modi
    per reagire, adeguandosi a nuove forme di convivenza con fatti che possono essere,
    come quello descritto, anche degenerativi. La vista,lo sappiamo, è molto importante e può modificare il nostro modo di vita, incidendo anche sul morale e la personalità di un individuo. Vincenzo Russo apre a noi una porta di una nuova possibilità nel saper osservare le cose, vedendole non più nei particolari, ma nelle linee principali, rendendo la sfumatura di un’ immagine elemento principale per osservare della stessa aspetti nuovi, nonché cromatici, quasi impensabili. E, detto da un fotografo, questo è molto importante, riuscendo pure di aiuto per tutti coloro che vedono diminuita e limitata la possibilità di vista così detta normale.
    Cesare

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