Uno scoiattolo frettoloso
mi taglia la strada
e scompare nel bosco
col suo fare misterioso.
Si interrompe così
quella specie di silenzio
del mio mattino
e mi innamoro
della segreta trama
in ogni cosa.
Una raccolta di quotidianità, un insieme di trame che si cuciono da sole, a piacimento del lettore.
Stanze d’albergo di Angela Siciliano, pubblicato dalla casa editrice Franco Puzzo Editore (2014), è un agglomerato di “attimi” lasciati decantare negli anni, per essere poi accuratamente scelti.
Ancora una volta la precarietà non è più un’etichetta negativa.
Angela Siciliano la erige a valore, definendola importante per una maggior apertura, per accogliere diverse possibilità. La probabilità è la sola cosa che abbiamo e Stanze d’albergo ne porta le prove attraverso racconti messi in poesia, dove i temi conosciuti e già sentiti come la morte, l’amore, la solitudine e la riflessione rompono la banalità dell’abitudine e si modellano nelle mani di chiunque.
Tutti amiamo.
Tutti riflettiamo.
Tutti moriamo.
E soprattutto tutti abbiamo paura.
Ciò che non ci è dato di sapere si traduce nell’ignoto, e l’ignoto si converte in timore.
Angela Siciliano rafforza il concetto di precario, rendendolo autentico nel suo compito: quello di esistere. Non ci resta altro che esistere e per farlo è necessario prima fare i conti con se stessi, avere il coraggio di chiudersi nei labirinti delle proprie inquietudini e lasciarsi travolgere dal terrore, dai dubbi, dall’inevitabile consapevolezza della nostra condizione.
Fatto questo diventa familiare accettare la precarietà.
Stanze d’albergo è diviso in quattro sezioni (Clausura; Hotel Pietrosa Riviera; Precario vivere; Trama e ordito), le quali racchiudono una storia intrecciata tra le strofe, ricordano il dovere di ricordare, l’importanza della riflessione che si trasmette sottoforma di malessere.
Ad un tratto
le parole diventano banali
quasi insidiose
le voci false
i pareri inopportuni.
tutto assume la tonalità
grigio noia con cui si vestivano
certi pomeriggi di domenica
quando ero bambina
Mi sorprende
quasi mi fa vergognare
il non avere niente da dire
il dover stazionare
in un palese silenzio,
in un tacere anche a me stessa.
Incespicare dentro i passi della nostra vita equivale a sorprendersi davanti ai propri attimi: ogni frangente, come l’inquietudine stessa, racchiude un soffio di esistenza, che se non viene vissuto in quanto tale e non come lo si avrebbe desiderato, non si sacralizzerà in un ricordo.
Crepe sulle pareti del quotidiano
veleno nei bicchieri delle promesse
angustia e affanno sui cuscini
amarezza nell’ironia che si increspa
fino a diventare sarcasmo.
L’affanno che caratterizza l’essere umano nel disperato tentativo di trovare un rifugio di fronte alla perdizione, trova saldezza e consapevolezza dentro le parole della Siciliano: se si conosce la propria paura, si può imparare a gestirla. E ad amarla.
Lo stesso vale per una stanza d’albergo: il solo pensiero riporta a qualcosa di assolutamente impersonale, distaccato se non squallido. Arrivare, pagare, dormire, lavarsi e ripartire. E a volte qualcos’altro di più o meno interessante. In quest’opera, invece, anche l’idea immediata che sorge di una stanza d’albergo cambia colore.
Una camera che è stata di tanti, nel pagarla diventa tua per qualche giorno. Chiudere la porta dietro di sé, dopo essere usciti dall’ascensore, definisce la fine del comune per l’inizio del privato, perché anche in una stanza d’albergo proveremo le stesse cose, gli stessi pensieri, avremo gli stessi movimenti e lo stesso respiro che avremmo se fossimo nella nostra di stanza, nel nostro letto, con la sola differenza che gli stessi attimi vissuti in un contesto familiare, fermo, costante e sicuro si raggruppano in un tempo limitato: quello della stanza d’albergo, appunto, che si dovrà lasciare, prima o poi. Una precarietà, quindi, che garantisce la stessa identità.
Buffet, cocktail, divani, posate, letti, porte e finestre.
Il flusso è costante e tra ogni cosa c’è una vita intera che passa, che si sofferma e che riparte.
Un centilitro di autoironia
uno di sana allegria
uno di follia imbrigliata
e poi un pizzico di carezze dolci
uno di parole audaci
e un cucchiaino di voglie chiare
una spruzzata di coraggio ponderato
e un’ombra di esperienza già pagata.
E cosa ne sarà di tutto questo flusso? E il costante vagare nella precarietà?
Nient’altro che il ricordo, per quanto semplice possa sembrare. Per paura di dimenticare, ci si appiglia a qualunque cosa, si storpiano i momenti, raccogliendone in altri, senza chiederci che cosa ne sarà stato di un oggetto, una persona, di un momento. Noi vogliamo ricordare quello che ci ha arricchito a quel tempo, diventando i fantasmi delle nostre stesse paura. E non c’è niente di più affascinante e desolante che questo.
Siamo noi i fantasmi.
continuiamo a vivere e vederci
nei luoghi che abbiamo lasciato.
Poco ci importa se quel sentiero
è ora soffocato dalle erbacce
se quella stanza ha cambiato funzione
e da camera da letto ora è salotto.
Non importa se tutto l’edificio è stato abbattuto
e quel viottolo ora è una strada asfaltata.
Noi siamo ancora lì
dove le cose sono rimaste come erano
ad arredare il nostro dentro.
E allora ognuno trova il proprio riscatto, raschiando suoli e sporcandosi le mani per ottenerlo. A volte facendosi del male, a volte ignorando il tutto. Angela Siciliano ha scelto la scrittura. La poesia. E attraverso la sua esperienza racconta agli altri la loro stessa vita, che come la sua trovano alla fine il gesto più comune: osservare un orologio e scegliere se prepararsi all’ignoto o lasciarsi meravigliare.
Non resta allora che essere sempre pronti
oppure lasciarsi sorprendere ovunque.
Nota biografica: Angela Siciliano
Angela Siciliano è nata in Belgio nel 1957 da una famiglia di emigrati. Un po’ per curiosità e un po’ per inquietudine ha vissuto in varie zone d’Italia e in Germania. Dopo diversi anni trascorsi in Danimarca è tornata a Trieste, dove ora lavora nel sociale. Il parere positivo di Dacia Maraini su una raccolta di sue poesie rimasta inedita ha incoraggiato l’allora quasi trentenne autrice a coltivare l’interesse per la scrittura e la lettura. Nel 1989 ha vinto, con la poesia Tra una città e l’altra, la prima edizione del Premio Donna – Poesia del Centro Femminista Internazionale di Roma. Nel 2000 ha vinto la quarta edizione del Premio Donna, Eros… e altre donne dell’Associazione Green Tomatoes di Torino, con la poesia La cuoca ginevrina. Nel 2008 ha pubblicato il romanzo Quando l’amore non basta (Ginko Edizioni). Nel 2012 è uscita la raccolta di poesie Tra le dita (Franco Puzzo Editore). Sue traduzioni di alcuni testi di poeti danesi contemporanei sono nelle riviste letterarie La clessidra (2013) e Hebenon (2013).
Francesca Schillaci
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