Una calda e fioca luce illumina la scena. I vecchi binari e le locomotive di un tempo sono lo scenario adatto per lo spettacolo “Verso il deserto….i Tartari!” andato in scena ieri sera, mercoledì 3 agosto, al Museo Ferroviario di Trieste-Campo Marzio, nell’ambito di Trieste Estate.
Ispirato al famoso romanzo il “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, l’adattamento teatrale ripercorre i punti più salienti, partendo dalle pagine finali del libro, per poi ricostruire il passato, attraverso i ricordi di Giovanni Drogo.
“Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente”. Da lì comincia la sua avventura alla Fortezza Bastiani, che domina il “deserto dei Tartari”.
Lo spettacolo è il frutto di un lungo lavoro di Giovanni Boni che ne ha firmato la regia, oltre che ad interpretare più personaggi. Ad accompagnarlo in questo percorso sono stati Lorenzo Acquaviva, nelle vesti di Drogo ed Elke Burul, nella parte della locandiera.
Trasportato su una lettiga da un soldato (Alejandro Bonn), il tenente Drogo (Lorenzo Acquaviva) febbricitante, viene fatto accomodare in una locanda. Una misteriosa figura femminile (Elke Burul) lo accoglie, costringendolo a fare i conti con il passato. Questa strana presenza si rivelerà essere un personaggio significativo.
Drogo, svegliatosi da tremendi pensieri, da quella fatidica frase che si ripercuote costantemente nella sua mente – “Soldato allerta!” – incomincia a rammentare i tempi trascorsi nella Fortezza Bastiani: quei giorni tutti uguali, pieni di speranze, illusioni, che sembrano essere svanite.
Se inizialmente la Fortezza Bastiani non sembrava convincere Drogo, in seguito, quella costruzione abbandonata, in mezzo al nulla, diventa un luogo pieno di fascino, capace di ammaliare chiunque vi ci mette piede, costringendolo a restarvici. E i quattro mesi iniziali di permanenza del tenente diventano un’eternità.
Tutti dovevano sottostare a regole molto ferree, dove “l’abitudine è diventata il turno di guardia – ricorda Drogo […] A poco a poco ho imparato le regole, i modi di dire, le manie dei superiori […] Abitudine era la stanza, le placide letture notturne. Tutte queste cose erano ormai diventate mie e lasciarle mi avrebbe causato pena”.
In un’atmosfera per certi aspetti cinematografica, Lorenzo Acquaviva, nei panni di Drogo, parla con i personaggi che ha incontrato ai tempi della Fortezza. Una corposa voce fuori campo, quella di Giovanni Boni, che successivamente prende forma nelle vesti del capitano Ortiz, dialoga con Acquaviva.
Lo spettatore pertanto si ritrova di fronte ad una sorta di monologo interiore: entra nella mente di Drogo, nei suoi pensieri più profondi, segnati dal tempo.
La potenza della parola che si sprigiona dalla bocca del tenente, fa capire la sopportazione, provata in quei lunghi ed infiniti anni, trascorsi in quel posto solitario, costeggiata da una certa nostalgia e accettazione della situazione vissuta.
Nella mente di Drogo riaffiora il maggiore Matti che gli aveva promesso il trasferimento per motivi sanitari dalla Fortezza, ma al quale, in seguito alla visita medica, Drogo, ormai abbagliato dal potere attrattivo di quel posto, aveva rinunciato.
Il desiderio di lottare contro i Tartari, che Drogo condivideva con i suoi compagni, era incommensurabile. E quando videro da lontano lunghe colonne di uomini avvicinarsi, con sorpresa scoprirono che erano “soldati come noi”. Il sogno sembrava essersi dissolto nel deserto.
Drogo, a poco a poco, si rappacifica con ciò che è accaduto, accettandone la sconfitta. Ricorda Maria, confondendola con quella particolare figura femminile, che sventola davanti ai suoi occhi una piuma, e che, con sguardo ammaliatore, sembra volergli dire qualcosa. La “femme fatale”, infatti, risulterà essere la morte.
Se al primo momento la figura femminile che accoglie Drogo è trasandata, segnata dagli anni, con l’emergere della consapevolezza del passato e del presente da parte del tenente, si fa sempre più bella. Diventa così palese la sua l’identità. Con grande capacità mimica, Elke Burul conferisce un valore aggiunto a questo personaggio, alquanto singolare.
A far visita nei pensieri di Drogo è anche il suo collega, il tenente Simeoni, che egli confonde con la figura femminile. Quasi privo di forze, gli chiede di lasciarlo tranquillo, perché non gli resta più tanto tempo da vivere.
Nel frattempo “la carrozza è già in viaggio. Se si agita è peggio”– enuncia la morte. Il traguardo del tenente è ben evidente. “Tutto è finito miseramente”.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.
Foto spettacolo: Nadia Pastorcich