Tutto inizia con dei postumi. I postumi di un incidente. Una piccola Smart parcheggiata su un palco,
abbandonata, solitaria. Una musica straniante va in crescendo mentre le luci stroboscopiche
richiamano i lampeggianti del soccorso stradale. Ma è tutto un sogno, un incubo. Dall’auto si
intravede ora la sagoma di una donna, che si risveglia di soprassalto. Scende dall’auto barcollando
sui tacchi alti e, ancora scossa, si guarda attorno.
Poi è un attimo e si riprende: “Vuoi fumare? Marlboro, Marlboro…” chiede verso il pubblico
diffidente con aria languida prima di concedersi una sigaretta. È così che inizia Kassandra, un
monologo di poco più di un’ora in atto unico, in cui la protagonista – interpretata da Roberta Lidia
De Stefano – passa dalla prosa in un inglese elementare, intervallato da tocchi di francese, italiano e
greco antico, alla musica elettronica a tratti veloce e a tratti più struggente creata dal suo synth; per
regalare al pubblico un sali e scendi di emozioni con risate ora allegre, ora amare.
Il suo marcato accento est europeo assieme alla sua narrazione di tristi memorie legate alla guerra,
suonano familiari e attuali, ma la guerra a cui si sta riferendo la misteriosa sex worker è un’altra. La
donna vestita con mini gonna in pelle e pesantemente truccata si presenta come principessa di
Troia.
Una principessa che ha visto bruciare il suo mondo, che ha perso tutti coloro cui teneva e che viene
sottomessa da un popolo che, almeno nell’immaginario comune, si è abituati a considerare estraneo
alle barbarie e portatore di civiltà. La Kassandra che sale sul palco non corrisponde però allo
stereotipo di vittima: è una donna robusta, dalla voce imponente, che con tenacia fugge la
malinconia grazie alla musica, in particolare degli Abba.
Quello della prostituta è solo un travestimento. Un modo che la nostra eroina ha per reinventarsi e
per riappropriarsi di una narrazione che le è stata strappata, inutile sottolineare infatti quanto sia
forte la scelta del regista di dar voce a un personaggio che non solo appartiene agli sconfitti ed è una
donna, ma è anche la voce condannata da Apollo a rimanere inascoltata. Come una Madame
Sosostris del ventunesimo secolo, Kassandra è un personaggio doppio, che rimanda sia alla sua
elevata posizione data dall’antica nobiltà e dal suo enigmatico potere; sia allo squallore suburbano e
alla claustrofobica vita tutta raccolta nella sua automobile. Di fatto l’automobile, che funge da quinta
vera e propria dove il personaggio si cambia il costume, resta lì per tutta la rappresentazione, come a
voler suggerire: temi la morte per asfalto.
A proposito di costume, non si può non ragionare sulla calza maglia indossata dalla performer per
simulare un travestimento da Bux Bunny, al fine di combattere l’amarezza del suo destino: lo
spettacolo intero è un inno alla forza e alla volontà di sopravvivenza. Una sopravvivenza sofferta, di
chi è ultimo tra gli ultimi, di chi è escluso solitamente sia dai libri di storia (le donne), che dalle grandi
opere d’arte (Cassandra e il popolo troiano).
Tuttavia, Cassandra è un personaggio mitologico che sta riscuotendo maggior successo in tempi
recenti, rispetto al passato e la fortuna di tale figura non è destinata a diminuire nel breve periodo.
Basti pensare all’interpretazione che ne dà Elisabetta Pozzi in Cassandra 2012 o del tempo divorato
in uno spettacolo di teatro fisico, coreografato da Gatti e con le musiche composte da D’Angelo,
dove il mito non è soltanto narrato ma ripreso per suggerire i le tragedie del nostro tempo. Pozzi e
Blanco sono simili nel loro sapiente uso del monologo e della scenografia minimalista, così come
entrambi tingono lo spettacolo di atmosfere macabre. Eppure, Pozzi resta più onirica, atemporale. La sua pièce registra picchi continui di tragicità contrapposti alla leggerezza di alcuni momenti presentati dalla riscrittura di Blanco. Anche l’uso della musica è diverso: se in Cassandra 2012 troviamo una musica di puro accompagnamento, necessaria per dare ritmo alle ballerine presenti sulla scena, in Kassandra al contrario la musica spezza il racconto e si interseca con esso, creando dei veri e propri intermezzi, che per quanto piacevoli da udire, non risultano funzionali al proseguimento dell’opera. Un punto comune a livello tematico tra le due rappresentazioni resta il modo di raccontare l’estrema passione con cui l’eroina lotta contro il proprio destino, pur avendo la certezza della propria impotenza.
Le leggi della forza, della guerra e del capitale, costringono Kassandra a divenire schiava. Un destino
di cui Blanco evidenzia l’universalità: la prostituta pertanto altro non è che una metafora, un gioco,
che racchiude la più ampia condizione umana, inseguita costantemente dallo spettro della morte. Di
fatto, lo spettacolo si conclude in modo circolare, con il decesso della schiava contemporanea, come
a voler precisare che non basta prevedere – o ricordare – le disgrazie per evitare che accadano.
Giulia Gorella