“A volte penso che in questo nostro tempo fare dell’arte è una pazzia, la civiltà meccanica allontana ogni giorno di più l’uomo dalle cose dello spirito, lo rende freddo e insensibile”.
Tristano Alberti, lo scultore di cui già precedentemente abbiamo tracciato la vita (Tristano Alberti: vita di uno scultore a Trieste), sottolineò con queste parole la sua visione del mondo dell’arte del suo tempo. Lette oggi, queste parole fanno ancora riflettere, e sollevano il dubbio che le cose, dopotutto, da allora non siano cambiate.
Alberti riteneva che la cosa più difficile, ma necessaria per la sopravvivenza dell’arte – quella forma espressiva che anima la vita di molte persone – fosse andare sempre avanti, per la propria strada, e continuare ad esprimersi con ogni mezzo e in qualsiasi circostanza. Nonostante le otto ore di lavoro giornaliero, e talvolta sacrificando il resto, Tristano trovava sempre il tempo per esprimersi attraverso quel materiale che modellandolo si trasforma, e suscita emozioni a chi l’osserva. Cosa poteva, e cosa può esserci, di più grande della spontaneità di un artista che rifiutava ogni forma di moda e di schema, per dare sempre spazio all’immaginazione, alla discontinuità, creando così ogni volta dei lavori originali, unici, dove il suo stile si evince perfettamente?
Anche se negli anni Cinquanta, nel Dopoguerra, è in voga l’arte astratta e informale, Alberti non rompe il suo legame con l’arte figurativa, visibilissima già nei suoi ritratti scultorei degli anni Trenta e Quaranta. L’interesse per l’arte primitiva, africana e oceanica emerge da molti suoi lavori.
Sicuramente anche l’atmosfera che si respirava a Trieste contribuì a creare lo stile di Alberti. La situazione artistica locale era diversa da quella che c’era nelle altre città italiane: ciascun artista cercava di stabilire una sua indipendenza stilistica, e pochi erano quelli che si somigliavano, o volevano somigliarsi, nell’espressione.
Pur rimanendo l’obiettivo la ricerca dell’innovazione, dell’originalità, vivendo in un determinato ambiente artistico, a contatto con altri pittori e scultori, era normale che qualche caratteristica espressiva venisse comunque colta inconsciamente e influenzasse il lavoro degli altri colleghi. Perciò, oltre ai grandi maestri dell’arte – come Henry Moore, Pablo Picasso, Pericle Fazzini, Alberto Giacometti – molto amati da Tristano, anche gli artisti locali quali Marcello Mascherini, Ruggero Rovan, Ugo Carà influenzarono in parte, attraverso le loro sculture, influenzato, l’arte di Tristano Alberti: un esempio importante è la “Donna che si spoglia”, motivo del Carà, ma che in realtà appartiene a Mascherini.
Oltre alle opere degli artisti locali esposte nelle galleria della città di Trieste, la partecipazione a mostre a livello nazionale pose l’artista davanti a lavori di altri noti scultori italiani, quali Arturo Martini e Marino Marini. E sicuramente è da loro che Alberti prende ispirazione per i due nudi “Ragazzo al sole” e “Donna distesa” (idee che, probabilmente, già Mascherini aveva portato in città durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale). Nell’opera “Ragazzo al sole” di Tristano si vede un distacco dallo stile mascheriniano e un avvicinamento all’opera “Donna sdraiata” di Henry Moore.
Nella rappresentazione della figura umana, Tristano Alberti non si stacca mai del tutto, durante il suo percorso di ricerca, dalla forma tradizionale; evita infatti di raggiungere un certo estremismo Mascheriniano testo a rendere le figure umane molto semplici, stilizzate, lontane dal classicismo accademico. Le teste scolpite da Alberti negli anni Cinquanta abbandonano un po’ la veridicità dei tratti fisionomici reali per dar spazio a una semplificazione formale, che si avvicina alle forme semplici e sintetiche delle antichità. L’interesse per l’arte primitiva di Alberti aveva già colpito Mascherini negli anni Trenta, portandolo a realizzare un Autoritratto (1932) nel quale si nota un leggera influenza dello stile di Martini; anche Ugo Carà seguirà l’onda del maestro “indiretto” Mascherini. Le opere degli anni Sessanta di Tristano Alberti si espandono nello spazio e si restringono nelle forme, diventando quasi dei sottili fili, che comunque mantengono una certa tridimensionalità.
L’arte di Mascherini, come lui stesso sottolineò in più occasioni, mirava al recupero della classicità in senso anti-accademico, ed entrò a far parte anche della cultura artistica triestina stessa. Alberti cercò, attraverso le sue opere, di creare un fil rouge , un legame tra l’arte del passato e la sua arte, e in particolar modo con la cultura mediterranea. Questa mediterraneità giocò un ruolo fondamentale nella Trieste di allora, divenendo un tratto tipico di moltissimi, se non di tutti, gli artisti che vi risiedevano o si muovevano nel suo contesto. Marcello Mascherini, oltre ad aver portato a Trieste, nel lontano 1926, un po’ di Antinovecentismo – quando, invece, si era in pieno Novecentismo –sperimentò nel Dopoguerra una nuova forma stilistica diffusasi in Italia in quegli anni: l’Astrattismo. Le forme scultoree sono semplici, geometriche, e anche nelle opere dell’Alberti troviamo queste sperimentazioni.
L’arte animale di Tristano prende spunto da Luciano Minguzzi, ma sopratutto dall’arte primitiva. Negli anni Cinquanta, l’artista dà vita a molte sculture a tema animale conferendogli loro una forma semplice, ricca di dinamismo, capace di integrarsi e interagire con lo spazio in cui si trovano; va ricordato il “Gatto” (1950-51). Altre sculture, come “La capra”, la “Giraffa”, prendono spunto dall’arte di Picasso. Non va scordata nemmeno la numerosa serie di ‘Tori’: dalle forme più vicine al reale, si passa, nei ‘Tori’, a una sintesi formale. Anche i ‘Cavalli’ di Alberti raggiungono un’anatomia essenziale, lontana dalle fisionomia reale. Tristano Alberti resta uno scultore triestino che è riuscito a dare sostanza alla scultura; come disse Arturo Martini – conta più la sostanza che lo stile.
“In tutte le mie realizzazioni, non mi sono sino ad ora discostato da quel fenomeno di umanità che solo sa infondere vita alla fredda materia”. (Tristano Alberti)
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Tristano Alberti ha veramente precorso i tempi con la sua dichiarazione, da cui si deduce che si scorgevano i primi segni di crisi dovuti alla tecnologia già nella sua epoca. Poi, ai nostri giorni, le cose sono precipitate, col perfezionarsi delle tecniche virtuali oltre che meccaniche. Ne ha sofferto e ne soffre sempre più il lato spirituale ed “umano” dell’arte. Sono subentrate nuove forme creative, prive di quel quid intimo, peculiare di un tempo andato.