L’interazione tra due mondi come la città, lo spazio urbano e la natura ed il mondo degli adulti e quello dei bambini appaiono come binari paralleli intoccabili, non destinati ad incontrarsi.
È invece grazie al progetto “Tribox”, sviluppato da Marianna Ne, Michael Oggionni e Veronica Petrogalli all’interno della Scuola Primaria “Novaro Ferrucci” di Milano, che si ha modo di smentirsi e stupirsi, osservando come realtà così lontane si possano avvicinare tramite una collaborazione ad opera di ragazzi giovani, attenti a temi d’interesse attuale. Ho avuto così modo di chiacchierare con Marianna e Michael, due dei ragazzi che hanno sviluppato e curato il progetto.
Raccontatemi di voi e del vostro progetto.
Siamo laureati alla Facoltà di Design di Interni presso il Politecnico di Milano: all’interno del corso “Ape-agricoltura per la città” tenuto dal professore Davide Fassi, abbiamo trattato l’ambito degli spazi pubblici, sviluppando un progetto intitolato “Da cosa nasce cosa”, tra settembre del 2013 e febbraio del 2014, il cui obiettivo era di far emergere la spontaneità della vegetazione urbana. Nella zona di Bovisa erano presenti delle aree abbandonate, delle sorte di discariche a cielo aperto: in questo contesto il nostro scopo è stato quello di ricreare degli spazi conviviali, assieme a delle culle del verde.
Da questo progetto sono nati successivamente i nostri progetti di tesi di laurea, il cui punto di partenza comune era l’agricoltura urbana e la biodiversità in città. In seguito ci è stato proposto un progetto inerente all’agricoltura in città: la scuola elementare si era messa in contatto con l’orto conviviale del Politecnico, per poter sviluppare ed ampliare il loro orto scolastico.
All’interno dello spazio dell’orto, abbiamo sfruttato le pareti alla stregua di giardini verticali, le quali sono ben esposte al sole e possono ricevere l’acqua piovana. A tal fine, abbiamo voluto installare delle lamiere raffiguranti i vari paesaggi, sulle quali vengono applicate dei vasi tramite l’uso di calamite, divenendo così possibile la creazione di un layout finale.
Sono state inoltre realizzate dai bambini delle “insect house”, applicabili su lamiere, le quali permettono agli insetti di usufruire dei materiali, cercando riparo o formando nidificazioni: i bambini possono così portare in un secondo momento le casette in classe per studiare meglio questi tipi di fenomeni.
Sempre con lo stesso intento, abbiamo creato dei vasi mobili, rimuovibili e che i bambini possono portare in classe per le varie attività: i bambini stessi hanno decorato i vasi disegnando le verdure che raccolgono e che conoscono. Inoltre hanno creato delle borsette utilizzando dei teli in PVC, usate per coltivare all’interno e che possono essere tolte e riappese sulle pareti con l’applicazione di ganci.
Quali sono state le vostre ispirazioni per poter realizzare questo progetto?
Abbiamo voluto concentrarci sul tema del gioco e di progettare a misura di bambino: sulle lamiere si possono attaccare e staccare i vasi, realizzando qualcosa che può essere portato in classe o a casa. Abbiamo voluto sfruttare l’attività di riciclo per liberare la fantasia, basandoci sul concetto di dinamicità, di un orto in continua evoluzione. Volevamo portare qualcosa di un po’ più artistico e che fosse replicabile in altre realtà: le lamiere divengono così un supporto grafico, con la possibilità di poterle verniciare, riprendendo un po’ la street art; le calamite a gancio possono essere usate per inserire informazioni sulle coltivazioni.
Cosa vi ha dato maggior soddisfazione nella realizzazione del progetto?
Ci ha dato soddisfazione vedere i bambini più partecipi all’interno dell’orto: progettando e costruendo assieme, il bambino si sente più vicino a ciò che ha fatto lui per primo. Abbiamo visto una maggiore attenzione da parte dei bambini, i quali nella fase di realizzazione del progetto, facevano domande e chiedevano spiegazioni.
Come pensate che il vostro progetto possa rapportarsi all’interno di un contesto urbano?
L’orto botanico è importante poiché diviene un centro per le relazioni umane, mettendo assieme grandi e piccini. Porta in sé dei valori educativi: fare qualcosa dall’inizio alla fine, comporta un senso di soddisfazione e di maggior responsabilità nei confronti di ciò che si consuma, scoprendo la realtà ed i tempi della natura, oltre all’attenzione e alla cura che va’ data.
Si viene a conoscere così anche il ciclo vitale dei prodotti, trovando i cibi adatti ad ogni stagione. Si scoprono nuovi ortaggi: avendoli seminati e cresciuti, si è più propensi ad assaggiarli, assaporando gusti nuovi. Gli orti urbani quindi vanno a coinvolgere la popolazione, portando ad una maggiore comunicazione ed interazione.
Dopo questa conversazione si guarda, come con gli occhi di un bambino, a questi progetti ed iniziative con sincera curiosità, pronti ad imparare e ad apprendere qualcosa di nuovo, volgendo al tempo stesso lo sguardo al futuro, verso una realtà più verde, fatta di maggiori interazioni umane ed ecosostenibile.
Letizia Bevilacqua © centoParole Magazine – riproduzione riservata
(foto dell’autrice)