Tra basket e fotografia: Annalisa Borroni

[da www.triesteallnews.it , in versione integrale][di Roberto Srelz]

Da quanti anni giochi, Annalisa?

Da quando avevo sei anni. Adesso ne ho ventotto. Quindi sono, aspetta: ventidue anni di
basket.

Tu sei il capitano.

Si, è il primo anno. Quando me l’hanno proposto, l’anno scorso, pensavo alle
responsabilità nei confronti della società e delle altre giocatrici. Pensavo: ‘Sono la più
anziana della squadra… accidenti, sono anziana!’. L’ho accettato subito; è anche un
riconoscimento, e devo dire che è un’esperienza molto bella.

Che cosa porta una ragazza come te a praticare sport agonistico di squadra?

Indubbiamente la voglia di sfida e competizione, lo spirito di gruppo. Per me, credo,
è stato comunque diverso che per molte altre mie compagne di gioco. Io ho seguito
l’esempio di mia sorella Nicoletta: quando io ho cominciato da bambina, lei giocava già, e
ha giocato fino a pochi anni fa.

C’è molta differenza fra pallacanestro maschile e femminile?

Moltissima. Non nello sport in sé, però la potenza fisica e il tipo di reazione in campo sono
estremamente differenti. Tecnicamente, e tatticamente, basket femminile e maschile sono
allo stesso livello. Ma ci sono livelli atletici, fisici, ai quali una ragazza non può arrivare;
semplicemente non puoi. Questa differenza fisica di base non consente di paragonare il
basket maschile e femminile fra loro.

Femminilità e basket convivono?

Sei tu a scegliere il livello al quale vuoi arrivare. Se scegli una carriera di professionista,
non è facile, perché sai già che per reggerne i ritmi e l’impegno dovrai sviluppare molto
il tuo corpo. Ho visto ragazze vicine al mondo del professionismo, ragazze carine ma
indubbiamente molto … maschili. Non può essere diversamente. Così come sono,
comunque, mi sento bene, e quindi non cambierò.

Quanto dura la carriera di una giocatrice di basket?

Normalmente in ambiente agonistico fino ai trenta, trentacinque anni. Poi, puoi continuare
a giocare quanto a lungo vuoi, se ce la fai: per passione e divertimento. Ci sono
ragazze che lasciano prima, e sceglie un percorso diverso, o la famiglia. La nostra
squadra è formata da giocatrici semi professioniste; come in altri ambiti, la differenza
fra il professionismo e il semi professionismo o la pratica amatoriale dello sport la fa il
trattamento economico. Chi sceglie di essere professionista nello sport deve impegnarsi
sino ad arrivare a un livello, e a un ingaggio, che gli permette di rinunciare a un altro
lavoro e di vivere solo con lo sport. E devi poter vivere bene perché la tua carriera non sarà infinita, sai già che a un certo punto s’interromperà e che poi dovrai fare qualcosa d’altro. In A2 ci sono poche professioniste, in A1 ce ne sono decisamente di più.

Non ci sono gli ingaggi del calcio, nella pallacanestro femminile.

Sono due mondi estremamente distanti, due realtà che non si possono confrontare. C’è
già molta distanza fra la pallacanestro femminile e quella maschile: quella maschile ha
molti più giocatori e tantissimi spettatori. Tuttavia di recente ho visto molta attenzione per
le nostre partite. Credo faccia piacere vedere una piccola squadra non professionista
vincere bene.

Per quante ore t’impegna, il basket, ogni settimana?

Faccio quattro allenamenti la settimana, di un’ora e mezza; poi c’è la partita nel weekend,
una settimana in casa e una settimana in trasferta. Dall’autunno fino alla primavera.

E lavori e studi.

Si. Lavoro durante la settimana, studio, mi piace la fotografia, esco con le mie amiche, sto
con la mia famiglia, con mamma e papà, con mia sorella, con la mia nipotina.

Resta tempo per Annalisa?

Ci sono momenti in cui sono molto stanca e mi verrebbe da dire che corro troppo, che per
me di tempo ne voglio di più; poi penso che anche il basket e tutte le cose che faccio le
faccio per me, e ne sono molto contenta, e quindi va benissimo così.

Sport per tutte quindi. E’ un consiglio per le ragazze?

Assolutamente si. Devo dirti però: sport di squadra. Perché in squadra ti devi adattare,
imparare a essere qualcosa che sta dentro a un insieme più grande, e funziona come
insieme, non come singolo elemento – e devi lasciar da parte il tuo ego, la tua individualità

Hai la tua parola sulla squadra? Per decidere chi fa meglio cosa, chi far giocare?

Quelle decisioni riguardano l’allenatore. Per me, come capitano, tutti i componenti della squadra devono essere uguali … e anche per lui. L’onere di scegliere, però, resta suo; il suo lavoro è più difficile. Io posso scegliere con chi uscire, ma all’interno della mia squadra posso scegliere solo … a chi passare la palla. No, scherzo.

Ma succede?

No, assolutamente no. Non deve succedere.

E il tuo compito è anche evitare che questo succeda?

Ma … si, alla fine anche si. Non nel momento dell’azione, nel momento prima. Quando si forma il gruppo. Io non ho fatto niente, in realtà; è un gruppo già ben amalgamato, una bellissima squadra. Non serve che io faccia qualcosa di più.

Eppure se un allenatore decide di mettere qualcuno in un ruolo come il tuo, ci dev’essere una ragione che non sia solo l’anzianità … quindi non è proprio del tutto vero?

Questo non lo so neanch’io, per dire la verità. Sicuramente ci sarà una ragione. Sicuramente ci provo, è la mia prima volta in questo e provo a farlo bene. Io sono orgogliosa di esser stata scelta per questo ruolo però veramente, non mi costa nessuna fatica, non nel gruppo di cui faccio parte, che è fantastico già di suo. Io sono una di loro, sono come loro. Niente di più.

È violenta, la partita?

Insomma. In qualche occasione.

Ve le date giù di brutto.

Qualche volta. Sempre all’interno della sportività. Per la mia squadra, su questo, posso mettere la mano sul fuoco. Poi naturalmente vedi in certe occasioni comportamenti cattivi, certe volte contro qualche squadra avversaria non è facile.

Porti tutta la tua personalità nel basket. E Annalisa persona chi è?

Annalisa. In continua evoluzione. Non amo stare ferma.

dotART.

Aah. Che bello.

La fotografia. Come ci sei arrivata?

Per puro caso. Nell’anno in cui mi sono laureata, mi era venuto il desiderio di iniziare a far foto più belle, mi è sempre piaciuto far foto. Amatoriali, con la macchinetta … fuori, in giro, così a caso. Mi sono detta: perché no, magari compero una macchina fotografica più seria e mi metto al lavoro per migliorare. Imparo a far foto. La macchina me la regalarono in occasione della laurea e quindi uno dei punti era già risolto, così avevo iniziato a cercare corsi su corsi e ricorsi ed erano tutti già iniziati e non ne facevano altri durante l’anno, oppure costavano troppo – esageratamente troppo. Avevo accantonato la cosa, allora, facevo ma senza capire esattamente che cosa avevo in mano. Poi su Facebook ho trovati i corsi dotART e ho detto: ma si dai, m’iscrivo, tanto se non provo non lo saprò mai se posso fare meglio o no. E … niente. Mi sono iscritta, mi è piaciuto tanto.

In che cosa ti sei laureata?

Storia dell’Arte.

E dotART?

Mi ha subito entusiasmato. In quel periodo lavoravo, ma il mio lavoro non mi piaceva molto, per diversi motivi. Facevo molte ore al giorno, sempre al contatto con la gente, più o meno sempre in piedi. E facevo anche pallacanestro. Risentivo molto dello stress fisico. Eppure, nonostante fossi stanca, quelle due ore dopo il lavoro dedicate alla fotografia erano facili, mi rilassavano e mi tiravano su di morale. Ero contenta, arrivavo a casa sfinita per la giornata lunghissima trascorsa ma contenta. Questo mi ha dato la spinta per continuare. Purtroppo ho una vita frenetica e non il tempo di dedicarmi alla fotografia quanto vorrei; ma il tempo arriverà, prima poi. Guardo tante foto, mi tengo informata, ogni tanto vado a scattarne qualcuna quando riesco. Non sono ancora a un buon livello, però, però … quando avrò tempo … ho pazienza. Sono sicura che avrò delle belle soddisfazioni.

Che cos’è la fotografia, per te?

Una visione del mondo. Personale.

Trasparente o mediata?

Mediata, naturalmente. Soprattutto perché, secondo me, quando desideri fare una foto che non sia qualcosa di banale devi pensarci. Non per forza costruirla, progettarla, no … ma aspettare il momento giusto si. Guardare, guardare, guardare – fino a quando non senti che quell’attimo è il tuo attimo.

Narrativa o artistica, la tua foto?

Narrativa. Ahimé.

Perché dici così?

Perché so di avere una forte componente razionale. Sono sempre stata diligente, non ho mai creato problemi, andavo bene a scuola, ho fatto bene l’università … ero più istintiva, una volta. E questo non è sinonimo di ‘arte’.

Colore o bianco e nero?

Ha-ha. Eh! Difficile rispondere. Forse bianco e nero. Perché sono malinconica.

Il bianco e nero è malinconico?

Si. Per me. Mi ricorda il passato. Lo collego a cose che non ci sono più. A un altro tempo.. Fuori dal tempo. E’ sempre un’altra cosa, il bianco e nero – non rispecchia la realtà, la realtà è a colori. Un sogno. Non so definirlo bene.

Photoshop?

No. Solo per togliere … la patina di grigio.

Sei più dell’idea dei maestri del passato, allora?

Sono più dell’idea che se loro sono riusciti a creare dei capolavori senza Photoshop, pur utilizzando gli acidi, raddrizzando le linee, ma sempre in modo limitato e molto legato alla manualità, vuol dire che puoi fare una buona foto e più di quello anche senza Photoshop. O usandolo nello stesso modo in cui un fotografo di una volta usava gli acidi. Oppure fai un altro tipo di immagine. Che non è il mio modo di intendere l’immagine.

Adesso collabori con dotART anche nell’organizzazione delle iniziative; non più solo partecipante quindi, ma anche parte attiva.

Si. Una cosa in più, nel poco tempo che ho. Mi piace farlo. Ho altre cose prima nella mia vita: lavoro, pallacanestro, la mia vita stessa. E dopo anche l’organizzazione delle attività con dotART. In quest’ordine. Non posso rinunciare alle altre cose o cambiare l’ordine per questo, è brutto forse dirlo ma è la realtà … però mi piace aiutare, essere parte delle attività di dotART. Qualche volta vorrei poter cambiare l’ordine delle cose; però il tempo che ho è quello, e al momento è così. Magari diventerà più importante presto.

L’Ira, per te? Ogni mese, noi parliamo di uno dei Peccati.

L’Ira? Non sono irascibile. Quindi non so bene cosa risponderti … forse è mancanza di razionalità, l’Ira. Perdere il controllo. Per un momento. Una cosa molto legata all’istinto. Fai cose che non vorresti fare, dici cose che non avresti voluto dire. Cose che non pensi, che dici semplicemente per attaccare e fare del male, per punire. Perdita della ragione. Una cosa sicuramente negativa. Credo che tutto quello che influenza la tua mente facendoti perdere il controllo non possa che essere negativo.

Però nell’arte l’irrazionalità è positiva.

Assolutamente si. Ma non è Ira. E’ irrazionalità. Creativa. Positiva. Dipende dall’opera, ci sono opere anche brutte, o posso dire che a me non piacciono. Con l’irrazionalità c’è forse perdita di coscienza, però … è qualcosa che nasce, non qualcosa che distruggi. E già questo, la nascita di qualcosa, ti fa pensare positivo.

Se tu dovessi rappresentare l’Ira in un fotogramma, che cosa faresti?

Non so. Ti giuro! Non mi viene in mente niente. Forse questo: il niente.

E l’Accidia?

Non tutti e sette i Peccati Capitali !

Solo questi due.

Nessuno ha capito bene cosa l’Accidia sia, secondo me. E’ una cosa di altri tempi, del 1500, che cosa può voler dire l’Accidia ai giorni nostri. Forse non ha più alcun senso parlare di Accidia, oggi.

E il futuro di Annalisa?

Roseo! Sicuramente! Sai io credo che la vita sia molto influenzata dalla predisposizione nei confronti delle cose, da come tu ti poni rispetto a esse, agli altri. Se sei negativo, ti attiri addosso negatività.

Prima sport, e poi consiglieresti ai ragazzi di avvicinarsi all’immagine e alla fotografia?

Certo. Ma non ‘prima’ o ‘dopo’. Tutto ciò che stimola a impegnarsi, ad andare un poco oltre alla visione normale delle cose e alla giornata normale è positivo. Va consigliato. Che sia fotografia, che sia pittura. Lettura – perché può essere che le foto tu non le sappia fare, o puoi non saper dipingere, ma leggere sai e quindi: leggi. Fai sport e leggi. Dopo, ciascuno trova una propria strada, naturalmente, fra sport e necessità di creatività, di leggere, di fare qualcosa d’altro. Possono stare assieme, queste due cose, come no; devono stare assieme, ne hai bisogno.

E quindi incontro fra cose e persone anche distanti, e confronto.

Senza il confronto di idee, senza l’incontro tra persone, non si può andare avanti, in nessun modo. Anzi, sicuramente andremmo indietro. La diversità delle persone è cultura. La diversità è positiva; assolutamente.

Chi è Annalisa Borroni, per Annalisa?

Ah, un’evoluzione continua, una donna che non si ferma mai!

Roberto Srelz

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