Considerato uno tra i più innovativi architetti contemporanei, il giapponese Toyo Ito nasce nel 1941 a Seul, nella Corea del Sud. Tornato giovanissimo in patria, si laurea in architettura nel 1965 e, pochi anni più tardi, fonda a Tokyo il proprio studio professionale: l’Urban Robot che solo successivamente prenderà il nome di Toyo Ito & Associati.
Ito inizia la propria carriera con piccole costruzioni, case e padiglioni, nei quali perfeziona il proprio stile ispirato dalla natura, “dall’aria, dall’acqua e dal vento”. I suoi edifici si innalzano leggeri come risultati di un’estetica minimalista che vuole coniugare la ricerca tecnologica, l’impiego di materiali innovativi e una fervida creatività.
“Nel corso della sua carriera, Toyo Ito è stato in grado di produrre un corpus di edifici che combinano innovazione concettuale ed esecuzione superba. Creando straordinarie architetture per più di quaranta anni, Ito ha realizzato biblioteche, case, parchi, teatri, negozi, edifici per uffici e padiglioni, ogni volta riuscendo a estendere le possibilità dell’architettura. Un professionista dal talento unico, Ito ha portato avanti un percorso di scoperta, derivato dal riconoscere le opportunità presenti in ogni commissione e ogni sito”. ( Lord Palumbo, presidente della giuria Pritzker Architecture Prize 2013 )
Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive e a grandi concorsi internazionali, tra i quali quelli per la Maison de la culture du Japon a Parigi (1990), per la biblioteca dell’Università di Parigi (1992), per l’ampliamento del Museum of Modern Art di New York (1997) e per il Centro per le arti contemporanee di Roma (1999). Tra i vari premi e riconoscimenti ricevuti troviamo: il premio dell’Istituto di Architettura Giapponese per la casa Silver Hut (1986); il premio della città di Kumamoto per lo Yatsushiro Museum (1991) e per la Yatsushiro Fire Station (1996); il premio Interarch ’97, medaglia d’oro dell’Unione degli Architetti della Bulgaria (1997); il premio intitolato ad Arnold W. Brunner dall’American Academy of Fine Arts (2000); il World Architecture Award East Asia per la Mediateca di Sendai (2002). Tra le principali opere recenti: l’installazione Helath Future all’Expo 2000 di Hannover; la Mediateca di Sendai (1997-2001); un padiglione d’alluminio a Bruges, in Belgio (2000-02). Tra i progetti in corso di elaborazione: l’ospedale Cognacq-Jay a Parigi; la M-Hall a Matsumoto, Nagano; la torre degli uffici Mahler 4 ad Amsterdam.
Inoltre definendolo un “creatore di edifici senza tempo,” la giuria del premio Pritzker ha menzionato Ito per avere “infuso nei suoi progetti una dimensione spirituale e per la poesia che trascende tutte le sue opere”.
L’idea che si cela alla base del suo metodo di progettazione vuole esprime soltanto il suo personale desiderio di creare, unito ad un senso di libera relazione fisica.
La levità “ariosa” per cui è noto Toyo Ito è sintetizzata in ognuna delle forme in cui i progetti architettonici si concretizzano.
Possiamo dire che la filosofia progettuale di questo artista sia usare immagini che raffigurano un’ architettura in movimento nel bel mezzo dell’epoca elettronica.
L’architettura di Ito gioca sui contrasti tra peso e leggerezza, contenitore e contenuto, trasparenza ed opacità. Egli esplora la contrapposizione fra tali realtà, ed analizza il dualismo insito nella nostra fisicità: il nostro corpo è la combinazione di un corpo fisico primitivo e di un corpo ad alto contenuto informativo che esiste nello spazio virtuale fatto, appunto, di informazioni.
Come rilascia lo stesso Ito in un’intervista:
“L’architettura è legata da diversi vincoli sociali. Ho progettato le mie architetture, avendo sempre bene in mente la possibilità di realizzare spazi più confortevoli, riuscendo a liberarsi da tutti i vincoli, anche soltanto per un po’. Tuttavia, quando un edificio è completato, divento dolorosamente consapevole della mia inadeguatezza, e questo sentimento si trasforma in energia per la prossima sfida. Probabilmente questo processo dovrà continuare a reiterarsi in futuro. Perciò, non potrò mai risolvere il mio stile architettonico e non sarò mai essere soddisfatto delle mie opere”.
Valeria Morterra © centoParole Magazine – riproduzione riservata