Una raccolta di poesie che comprende un lavoro di vent’anni.
Giuseppe Lazzaro, professore di matematica e scienze a Trieste, ha racchiuso in un’opera in bianco e nero un percorso poetico che ha visto nascere, evolversi e continuare a crescere un linguaggio di immagini, spesso geometriche, matematiche e surreali, che hanno trovato spazio d’espressione attraverso la poesia.
Cosa ti ha portato a decidere di pubblicare in un’opera sola tutta la poesia di questi vent’anni?
È un tentativo di spiegare che cosa ho scritto in questi anni, in modo da rendere visibile e chiaro sia a me che a chi deciderà di leggere, il mio cambiamento dentro la poesia. Non ho disposto le mie poesie in ordine cronologico, ma le ho lasciate sparse, vaganti, in modo da permettere al lettore di coglierne gli stili diversi, e per farlo penso ci voglia una certa sensibilità nel capire la diversità tra una poesia e l’altra. Inoltre mi piace l’idea di poter aprire una pagina a caso senza avere un senso di obbligo dall’inizio alla fine.
Ma la cosa più importante che mi ha portato a decidere di pubblicare un libro è che le mie poesie fossero ufficializzate.
Leggendo alcune delle tue poesie sorge spontaneo per un lettore che non ti conosce chiederti quali siano i tuoi maestri.
Quando ho iniziato a scrivere le prime poesie in realtà non conoscevo moltissimo i poeti.
La mia poesia, o la spinta verso essa, nasce più che altro dal cantautorato. Quando avevo sei e sette anni, mi capitava di sentire in casa le canzoni di De Andrè e De Gregori e questo mi ha portato spontaneamente a capire che per me la poesia era ed è una questione di suono e di ritmo. Adoro De Gregori e molta della mia poesia si rispecchia nel suo modo di scrivere canzoni, che poi non sono altro che autentiche poesie. È onirico, surreale. Un visionario. Come piace a me.
C’è stato un cambiamento della tua poesia nel corso di questi vent’anni?
Certo. Per evolvere le mie poesie ad un certo punto ho sentito l’esigenza di attingere ai grandi poeti come Montale per esempio, ma le principali fonti della mia ricerca in realtà sono state Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni e Guido Ceronetti.
Qualche autore straniero?
Principalmente ho sempre scelto poeti italiani perché posso cogliere le sfumature del linguaggio, il mio. La lingua italiana mi appartiene e quando si tratta di poesia è tutta una questione di sfumature che spesso, pur conoscendo la propria lingua madre, risulta difficile capire. Mi affascina moltissimo l’aspetto surreale delle poesie ed è quindi fondamentale che riesca a leggere la lingua per poterla interpretare. Ora che ho pubblicato infatti so che devo lavorare ancora di più.
Cosa pensi dell’attuale poesia? Ti capita di sperimentare la poesia contemporanea per capire i cambiamenti?
Non ne so molto, sono onesto. Nelle librerie non vendono quasi nulla di poesia contemporanea. Per leggere qualcosa di attuale bisogna attingere al web e scovare così nuovi poeti di nicchia, alcuni molto interessanti, ma allo stesso tempo terribilmente confusi tra l’ammasso di miliardi di altri poeti che tentano di scrivere e farsi conoscere. Vedo un tentativo continuo di emergere da parte della poesia, ma resta ancora qualcosa di sottobosco, probabilmente perché è un’arte molto complessa, ardua e va sviluppata tanto attraverso la lettura.
Bè, anche la prosa ha le sue caratteristiche complicate che, come dici tu, vanno limate e ampliate con molte letture. Cosa mi dici a proposito della prosa?
La prosa e la poesia sono due mondi completamente diversi! In comune hanno solamente le parole, la carta e la penna. Io, per esempio, non sono in grado di scrivere prosa, cosa che invece trovo più facile per un narratore scrivere in poesia.
In questo senso riconosci un limite alla poesia?
No, ne riconosco un’autenticità. Il limite lo riconosco in me in quanto non capace di produrre prosa. Al massimo riesco a scrivere prosa poetica, ma c’è pur sempre della poesia all’interno. Moltissimi scrittori di prosa hanno scritto poesia, e bella poesia anche. Invece ci sono pochi poeti che hanno scritto prosa o che ci hanno provato. Probabilmente è il tipo di approccio che una delle due (prosa e poesia) richiede e sicuramente quello della poesia è più romantico. Quando dico romantico non intendo cuore-amore, bensì poetico appunto, sospeso, sufficiente a se stesso.
Che cosa c’è di così urgente da dire per te che non possa non essere scritto?
Bè, la mia famiglia, l’amore e il lavoro sono gli argomenti che non posso evitare di incastrare tra la penna e il foglio. Ma la cosa assolutamente più importante per me, anche se non so se risponderà alla tua domanda, è non inseguire per forza la poesia, ma scrivere nel momento in cui mi accade qualcosa. La cosa peggiore per un poeta è avere un’illuminazione e non poterla buttare giù, anche solo in bozza per poi riprenderla e magari trasformarla in qualcosa d’altro. Non è per forza necessario avere una poesia da scrivere, ma una bozza di un’illuminazione è veramente necessaria per permettere all’animo di un poeta di sentirsi a posto con se stesso.
Ci sono delle poesie a te più care in questa raccolta?
Si, assolutamente. Ferro è molto importante perché parla di mia nonna che scappa da un campo di sterminio nazista per tornare nel suo paese. Quindi qua come vedi torna di nuovo il tema della mia famiglia. Poi c’è l’Aereo, che è più una poesia affettiva perché piace a tanti miei amici ed è a libera interpretazione. È priva di punteggiatura, è surreale e drammatica.
Le persone che ti hanno accompagnato in questo obiettivo?
Provo un grande riconoscimento per Roberto Srelz, direttore di centoParole Magazine, che mi ha permesso di poter pubblicare il mio libro attraverso la vostra testata, che tra l’altro reputo molto seria e valida. Poi c’è Raffaela Ruju, grande poeta, che stimo moltissimo e nutro un affetto profondo. E poi c’è Giulia Marsich, che soltanto leggendo le poesie è riuscita a concepire il disegno della copertina. Un disegno che io adoro.
Cosa mi dici della scelta del titolo?
È la fusione di idee di due miei amici. Infatti una buona parte delle mie poesie è fatta di quello che le persone mi danno, è qualcosa che si alimenta continuamente da altre forme.
Molta della tua poesia è concentrata assiduamente sulla matematica e geometrica. Che cos’hanno in comune nel tuo vissuto queste due “madri”?
Ci tengo a sottolineare che non è nella metrica che esiste la correlazione tra le due. Almeno non per me. La correlazione esiste nel momento in cui ragioni per assurdo: è una questione di giochi logici che creano dei meccanismi molto efficaci per la mente di un poeta. La matematica è molto affascinante proprio perché puoi ragionare all’infinito come con la poesia. Mi piace molto la poesia Galleggiando perché parlo di un asintoto. L’asintoto non toccherà mai l’asse ed è qualcosa di estremamente drammatico, oltre che poetico.
Francesca Schillaci © centoParole Magazine – riproduzione riservata