“I cimiteri non danno pensieri,
sei tu che ti sbagli, se stanco, disperi
E piangi per colmare i buchi dell’assenza,
vive come il pieno la vacanza e non spira mai.”
Sono, questi, i primi quattro versi di una canzone dei Baustelle, dal titolo “Monumentale”.
Questa canzone è tratta dall’ultimo loro lavoro, Fantasma. I Baustelle sono uno dei miei gruppi preferiti del panorama italiano attuale e credo i loro testi siano quelli con la scrittura più raffinata che c’è in giro oggi. Pareri sicuramente soggettivi ed aperti alla discussione, ma il dato oggettivo è che questo sia il loro lavoro più maturo e impegnativo, e non solamente per la banale osservazione che è un disco arrangiato apposta per una orchestrazione sinfonica vera e propria (orchestra di Breslavia), ma perché proprio nella lettura dei testi ci si rende conto che in effetti hanno lasciato dietro a loro il tema che ha costituito fin qui la loro spina dorsale: l’adolescenza.
Dei Baustelle mi piace l’idea di un pop che possa essere particolarmente ricercato fino a sfiorare l’atmosfera delle colonne sonore dei gialli e degli horror italiani degli anni Settanta, una scrittura dei testi altrettanto citazionista (e non solamente di cinema). Ma non si tratta solo di citazioni piazzate là in un esercizio di stile. La ricerca di una scrittura “alta” e densa di senso si fa ancora più ambiziosa, e i risultati si vedono. Le tracce di mostri sacri come De Andrè e, per una sorta di proprietà transitiva della scrittura di canzoni, Brassens e Gainsbourg, si sente potentemente, anche per il fatto che (almeno a me) la voce di Francesco Bianconi assomiglia sempre più a quella del Faber.
Così, con nelle orecchie le note e soprattutto le parole di “monumentale”, si va a fare una bella passeggiata fotografica appunto del cimitero monumentale di Milano. Ho viaggiato leggero e con me ho solo la Canon Mk II con un 85mm di buona apertura, f1.8. Non ho un grandangolare. Non ho pensato che uno spazio grande e ricco di prospettive come il monumentale ne meritasse uno. Fortunatamente la mia compagna Silvia può arrivare a 18 mm col suo zoom. Insieme dovremmo essere meglio in grado di cogliere tutte le sfumature di questo posto. L’ultima nota da interessati alla fotografia (perché il monumentale è posto che ai fotografi offre tanto) è per il clima. Un po’ di nebbia, non quanto ne speravamo ma a fine pomeriggio spunta un sole basso che genera delle belle luci che arrivano trasversali creando ombre e contrasti. E il monumentale è un luogo da e di contrasti. Appena superato il Famedio, con il suo aspetto quasi da castello medievale, si stende d’una pace sospesa tra letargo e solennità il cimitero, nei suoi più di 200.00 metri quadri di estensione.
“fra le mute tombe del monumentale, non c’è Dio e non c’è male, solo vaga oscurità….”prosegue a cantare Rachele Bastreghi.
Ed è proprio questa l’impressione. Passando dalla cripta del famedio e attraverso i porticati, per poi addentrarsi nella parte aperta del cimitero, l’idea di penombra è una presenza impalpabile e continua, anche quando si è alla luce piena. E non credo che sia una questione legata solamente alla natura del luogo in cui ci si trova. Anche nei vialoni più aperti, costellati di pietre tombali di fatture diversissime, fra loro, l’impressione che la luce, più che di faticare ad entrare, entri con maggiore gentilezza e riguardo.
Il Monumentale di Milano è in sé una cittadella. Ha il suo ordinato e presentabile corso principale, una periferia a tratti meno curata e più disordinata, i suoi quartieri residenziali. È una cittadella borghese, perché il Monumentale è il cimitero della vecchia borghesia, prima di diventare un museo a cielo aperto ed un tributo ai cittadini milanesi illustri, che va da Manzoni a Giorgio Gaber, passando attraverso Gino Bramieri.
Ho, camminando con quell’andatura pacata che coglie un po’ tutti in posti come questo, la marcata impressione di percepire l’ansia composta della borghesia d’un tempo. Quella del sentire l’esigenza di raccontare la propria storia familiare, lasciando una traccia visibile e leggibile, tanto quanto lo era la trasmissione dinastica di un titolo e di una storia di cui godeva la nobiltà. Infatti, pur essendo un cimitero cattolico, con una area periferica dedicata agli ”aconfessionali”, i simboli religiosi sono molto meno di quelli dedicati al lavoro o ad altri elementi che caratterizzano le proprie origini o la propria vita. E’ una percezione che gia è forte in mezzo ai viali costellati di pietre tombali e sculture, diventa fortissima in mezzo ai mausolei, costellati di elementi che a volte stupiscono, come ad esempio elementi tipici di un antico egitto un po’ favolistico, o addirittura in un paio di casi all’esoterismo spicciolo di un tempo in cui era di moda frequentare i medium.
Pur da toscani di Montepulciano, i Baustelle hanno una sensibilità per certe sfaccettature di Milano che vanno al di là di una evidente affezione per il “poliziottesco” che i registi del gore hanno spesso ambientato qui. Il Monumentale credo proprio se lo siano girato e respirato un po’, più che visitato. E magari come me hanno intravisto delle persone a passeggiare, magari in coppia, con l’aria di chi avesse semplicemente bisogno di sospendere un tempo o di riprenderselo in un silenzio pacato.
Di mio rimpiango più volte il non avere con me quel grandangolare, perché il colpo d’occhio della parte che si incontra appena entrati, il monumentale è, appena ci si addentra nel dedalo dei mausolei, un luogo che crea prospettive strane e interessanti. Chi è appassionato di fotgrafia architettonica qui può sbizzarrirsi nel caos di scelte architettoniche “ad memoriam”, che tracciano sentieri sospesi tra la compostezza del granito e il caos di un suq.
Questo luogo ha, credo, una bellezza tutta sua che può cambiare molto a seconda del periodo dell’anno. Milano può presentarsi vestita di neve o bagnata da un sole intenso, velkata di nebbia o percorsa da nuvole basse da spleen alla Baudelaire. Quello che può cogliere impreparato un fotografo è forse la differenza tra l’aspettativa di una certa luce e quello che si trova effettivamente a caratterizzare il l’ambiente. Conviene visitarlo con meno aspettative possibili, per poterlo cogliere nel momento e riuscire a far foto che possano avere un carattere preciso, se non addirittura una narrazione. Forse l’idea di farmi guidare da una canzone che amo in questa passeggiata fotografica, mi ha lasciato in testa l’dea di una luce morbida e calda che si può trovare in primavera. Perchè in effetti è la luce che mi trasmette questa canzone.
“Quindi lascia perdere i salotti
coi talenti e le baldracche,
vieni all’ombra dei cipressi
dona amore, al pomeriggio
a chi sospende la sua vita
tra le urne amiche del monumentale,
di realtà e d’irreale, vieni a fartene un’idea.”
Ascoltata e riascoltata è per me alla fine una canzone di amore e rinascita, come per stessa ammissione dei Baustelle, che han dichiarato fra l’altro che è “un invito a ricercare la vera vita laddove per consuetudine la vita finisce, in un gioco del rovescio che trasforma molti degli elementi comunemente considerati “sociali” in simboli di morte del pensiero e dei sentimenti.”
E dopo avere affrontato il Monumentale di Milano con la musica dei Baustelle nella mia testa e la macchina fotografica a rendere più aperto, e acuto il mio sguardo, direi che, per far questo, non c’è luogo migliore.
Vincenzo Russo © centoParole Magazine – riproduzione riservata
I cimiteri non sono luoghi tristi, ma sono vivi dei ricordi di chi ci ha lasciati. In essi possiamo ricontattare i nostri cari e, percorrendo i viali, come nel citato Cimitero Monumentale di Milano, immergerci nella storia di personaggi famosi del passato o più recenti che abbiamo conosciuto, di persona o per fama. Una macchina fotografica ci può aiutare, con i nostri scatti personali, a fissare momenti che poi potremo rivisitare e rivivere nei giorni a venire.