Ci avviciniamo alla palestra nella quale Arteffetto insegna con discrezione, in silenzio; consapevoli di stare entrando come spettatori in un ambiente molto più intimo di qualsiasi teatro o palcoscenico. A distanza di qualche passo o poco più dalle allieve, la prima cosa che comprendi è che le tue fotografie non potranno essere che altrettanto intime, e che l’ambiente all’interno del quale sei stato ammesso merita la tua massima attenzione, il tuo impegno e una serietà pari a quella di chi sta di fronte a te.
Serietà che non è pesantezza d’animo, ma cortesia e cordialità. L’arte della danza: la danza, una disciplina del corpo e della mente. ‘Severa, ma non repressiva. Lenta nel raggiungimento dei risultati. Spietata, ma confortante.’
Le correzioni sono severe; l’insegnante cordiale ed estremamente preparato. È facile comprendere quanto lo sia, sia sul piano pedagogico che tecnico, anche semplicemente guardando attraverso l’obiettivo della Reflex. La danza è disciplina; come tale va affrontata. Anche dai fotografi.
La danza, spesso, è ‘ignorata’ dalla filosofia dell’arte che gli studenti incontrano nelle università europee. Molteplici, forse, le ragioni; alcuni dicono che la motivazione sia da ricercare nell’esclusione della danza dal moderno sistema d’istruzione alle arti (‘moderno’ ovvero risalente al Diciannovesimo secolo e prima; in quel ‘sistema moderno’, la danza non è compresa fra le ‘Fine Arts’). Altri ritengono che le origini della danza come parte di rituali religiosi e pagani, e la sua successiva continuazione come ‘uso comune’, l’abbia resa parte della vita di ogni giorno, e quindi non propriamente un fatto artistico.
È abbastanza comune leggere che le radici storiche della danza precedano quelle del linguaggio, e che la danza sia emersa come parte dell’evoluzione dell’essere umano come gesto prima della parola. La danza che vediamo negli spettacoli, però – quella sorta di ‘danza teatrale’ fatta con un scopo primario estetico piuttosto che con il fine di intrattenere o assolvere funzioni sociali o religiose – nasce, così come il piacere della lettura per svago, solo con l’emergere del balletto romantico. Questo ‘balletto del 1800’ è ciò che la maggior parte di noi è abituata a vedere. Così come la moda, aspetto che abbiamo affrontato in un precedente editoriale, la danza va vista come qualcosa di più profondo: per una certa parte ha influenzato infatti la cultura e lo sviluppo della società.
Quando una rappresentazione di danza utilizza simboli culturali (ed è difficile, se ci pensiamo, che riesca a sottrarsi a essi – i corpi in movimento hanno sempre uno o più significati per coloro che li guardano, e questi significati sono parte della cultura di chi assiste), il messaggio autentico degli stessi spesso non può essere avvertito a meno che non venga prima tradotto . C’è un ruolo per l’impegno dell’apprendere, c’è un ruolo per l’abilità tecnica e c’è per la riflessione nell’analisi delle esperienze artistiche.
Nel profondo, nel buio, si annida l’antica, perniciosa idea che lo scopo ultimo della danza sia quello di soddisfare, in chi guarda i corpi, interessi molto diversi da quelli artistici – e che quindi la danza sia qualcosa di molto più adatto alle sale da ballo volgari e popolari che alle sale da concerto degli aristocratici. E, siccome una tendenza dominante nella danza occidentale è stata quella di mostrare principalmente il corpo femminile (o il corpo femminizzato), talvolta di metterlo ‘a disposizione’ degli sguardi maschili, c’è stato anche chi ha associato la danza al ‘basso’ e al corporeo più che all’ ‘elevato’ e culturale.
E poi, un secondo problema. Se l’insegnamento del balletto classico poteva essere considerato accettabile, persino consigliabile alle bambine e alle giovani delle famiglie più altolocate (perlomeno come strada attraverso la quale apprendere il portamento e la grazia), la cultura europea l’ha spesso definito, alle volte reso, ‘non adatto’ ai ragazzi, preoccupandoli fortemente con necessità di conservare una sorta di immagine ‘mascolina’ (‘virile’) ed evitando di insegnare e far praticare loro un interesse e un arte che richiedeva l’indossare abiti aderenti e il muoversi in modo armonioso.Molti scrittori – come chi scrive, formatosi come la maggior parte degli scrittori e giornalisti presso istituti dove la presenza maschile nella popolazione degli studenti era predominante – eccettuati alcuni fra i più giovani, hanno poca o nessuna esperienza di prima mano della danza; così, il parlare di danza, o l’assistere a un balletto, a una rappresentazione, non viene neppure in mente quando si pensa a che cosa sia e che cosa significhi l’arte.
La musica inizia. Accade sicuramente qualcosa di interno e di intuitivo, nelle allieve, nel momento in cui l’insegnante fa un cenno o da’ qualche indicazione: un’indicazione che, comprendiamo, segnala all’allieva che deve ascoltare la musica in maniera diversa, che forse deve sentire il suo corpo in maniera diversa – pensare e sentire quella differenza nel suo corpo (nel braccio che si solleva; nel movimento della schiena). Pensiamo, però, che questo abbia anche una forte componente d’apprendimento: è l’insegnante che ha detto di fare così, che ha spiegato il perché, e le allieve usano quell’esperienza a servizio della loro propria esperienza di danza. Questo diviene il loro lavoro, la loro pratica – e richiede, in quel momento, un coinvolgimento totale: come fa una ballerina, come fa un ballerino a muovere quel braccio esattamente in quel modo, esattamente attraverso quello spazio ed esattamente nel tempo preciso richiesto dal compositore e dal coreografo?
Lo stesso processo è certamente presente anche in un alto ballerino che esegue lo stesso pezzo, ma non può mai essere identico, perché il filtro dell’individualità, delle esperienze personali, e delle emozioni e sensazioni trasferite al corpo che danza e a chi assiste non può mai essere identico fra due persone. Immagino che il balletto di due ballerini di pari capacità individuale che si siano formati alla stessa scuola e con lo stesso maestro possa essere molto simile ma non sarà mai uguale. Come una stessa immagine vista attraverso occhi differenti, catturata da due diverse istantanee e da due diversi fotografi, uno dei due ballerini non vorrà e non potrà essere l’altro. Nella danza non si rifletteranno solo le capacità del corpo, il lavoro dell’insegnante, l’apprendimento, la pratica, la cultura, le convenzioni – ma anche il ballerino stesso, il contributo del quale sarà fondamentale. E questo è stupendo.
Una parte considerevole e significativa della nostra storia ha visto manifestarsi le funzioni comunicative ed espressive della danza in modo molto importante. Questo è un aspetto particolarmente interessante, che può dare qualcosa di palpabile allo spettatore rispetto alla pittura e alla scultura, che sono arti nella manifestazione delle quali – di fronte allo spettatore – l’artista non è normalmente presente. La realizzazione dell’opera – di un quadro – non è vista direttamente e può quindi essere percepita in modo distaccato e contemplativo, più controllabile; lo spettatore può decidere per quanto tempo guarderà, dove si metterà per guardare l’opera, quali particolari ricercherà e via dicendo.
La danza è movimento e quindi espressione attraverso il pensiero e il conseguente movimento del corpo e della persona che pensiero e corpo vengono in quel momento a costituire; non è quindi solo materializzazione di pensieri e concetti.
Qualcosa di simile al movimento della danza si può forse trovare nella pittura astratta (come in Mark Rothko). La danza che è arte intesa per essere compresa e apprezzata dal pubblico ha il beneficio di collegare le intenzioni di chi la crea e di chi la pratica; in questo modo, l’esperienza dell’arte danza include quindi la soddisfazione reciproca dell’artista e del pubblico.
La danza è qualcosa di umano, che l’uomo comprende, guida: è una parte piena, ricca, interattiva – una parte della vita che è piena di significato. La danza è forse la più informale delle arti, essendo nel suo contesto espressivo molto meno rilevanti le questioni dell’autenticità dell’opera; non ha alcun senso pensare di collezionare danze che dipendano da certificati d’autenticità compilati da esperti del settore.
La danza è reale, non illusoria e non è necessariamente una trasformazione o trasfigurazione del reale. L’esperienza che inevitabilmente, e per la maggior parte non intenzionalmente, viene trasmessa a chi guarda durante l’osservazione di una lezione di danza è rilevante. Il fotografo che sta in disparte e osserva, in questo caso, è un ottimo recettore, e si rende conto di come la danza possa essere intesa come espressione . Nella pratica dell’arte essere un interprete, in questo senso, non è essere un traduttore: l’interpretazione, com’è stato dimostrato, è una parte acculturata, intrinseca della percezione di ciascuno – e nessuno può evitare, se messo di fronte a un’opera d’arte o se spettatore di un balletto, di interpretare secondo la sua cultura. La fotografia sarà poi la massima espressione di questa impalpabilità e interpretazione, perché senza che il momento creativo sia direttamente visibile, vorrà suggerire una realtà che realtà non è – e che, allo stesso tempo, era realtà nel momento in cui è stata catturata, ed è realtà immortale (Roland Barthes, Georges Didi Huberman).
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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