Model Matea Abicic

Ritratto

ritratto-di-marilyn-monroe

I lineamenti. Sembravano dipinti dal pittore più meticoloso, dall’artista che non accetta sbavature. Aveva dei lineamenti perfetti, non esisteva una sola imperfezione. In tutto quel disegno.

Il viso pallido, la carnagione pulita: si espandeva in modo uniforme, dalla fronte fino alla base del suo lungo collo bianco. Gli occhi: languidi, truccati, marcati da una linea nera che usciva dal contorno delle palpebre, appesantite dal rimmel troppo forte. L’azzurro risaltava sfuocandosi in grigio, in bianco ghiaccio, guardando da un punto fisso, senza muovere nulla. Quando s’immergeva nei suoi misteriosi pensieri, la bocca, carnosa, scarlatta, rimaneva lievemente socchiusa, e tracciava un contorno singolare tra le labbra e i denti.

Avrei potuto riconoscerla ovunque. Anche a occhi chiusi, nel buio o nella luce, anche se avesse tinto di rosso i suoi corti capelli biondi e ne avesse tagliato i ricci. L’avrei riconosciuta toccandola, facendo scivolare il dito dalle sopracciglia elegantemente curate, proseguendo giù sulla linea del suo piccolo naso, per soffermarmi poi sul dettaglio più struggente. Il suo neo, leggermente più in alto della bocca. Le regalava grazia, femminilità; accentuava il suo essere accattivante al punto tale da desiderarla più di ogni altra cosa.

Attraverso il suo candore donava al mondo l’immagine della sua tristezza. Si poteva sentire la sua inquietudine, osservandola nei suoi sorrisi, nel suo modo di fumare, nel suo modo di apparire al mondo su un palcoscenico di finzioni, dove tutti i suoi fantasmi scomparivano. Il suo pubblico non riusciva a vederli. Ma lei urlava. Urlava la sua disperazione nelle risate, nelle interviste, nelle pose. Chiedeva al successo di aiutarla a superare i limiti delle sue scelte.

Ha urlato per anni. Nessuno l’ha mai sentita.

 

Francesca Schillaci
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