Signor Warhol, che cosa significa la vita per lei?’
‘Non lo so. Vorrei saperlo’. ‘Sono una persona profondamente superficiale’. (Andy Warhol, 1928-1987, nella foto con Edie Sedgwick e Burt Glinn)
‘Signor Kaufman, cos’è per lei la cosa più importante’
‘Restituire. Tutto qui. Ricordare ciò che ero, e restituire un po’ della fortuna che ho avuto’. ‘Ho avuto una vita intensa e bellissima, non pensate a me con tristezza’. (Steve Alan Kaufman, 1960-2010)
La Pop Art fu l’arte della ‘cultura popolare’ – della cultura resa disponibile a tutti; fu il movimento d’arte figurativa che meglio rappresentò il senso d’ottimismo portato dal benessere seguito al boom economico del Dopoguerra, degli anni Cinquanta e Sessanta. Coincise con la globalizzazione della musica (con il nascere dei miti della ‘Pop Music’) e della cultura giovane, miti impersonati dai Beatles e da Elvis Presley. La Pop Art era sfacciata, divertente, ostile alle altre forme d’arte, nemica degli artisti ‘non-Pop’. Ricomprese in sé numerosi stili di pittura e scultura provenienti da molte nazioni; ciò che gli esponenti del movimento ‘Pop’ ebbero tutti in comune, però, fu l’estremo interesse per i Mass Media – per la produzione di massa (di testo, di fotografie, di opere realizzate attraverso la serigrafia, di musica … ) e per la cultura di massa stessa.
La parola ‘Pop’ fu utilizzata per la prima volta, in un contesto d’arte, a metà degli anni Cinquanta dal critico britannico Lawrence Alloway; descriveva,nelle sue intenzioni, una ‘nuova arte’ nata dall’immaginario collettivo popolare. Alloway, assieme ad altri, era stato fondatore, all’ ICA (Institute of Contemporary Arts) di Londra, di un gruppo di artisti, architetti e scrittori indipendenti interessati a esplorare nuovi approcci alla cultura figurativa contemporanea – artisti che divennero poi i precursori della Pop Art inglese.
La Pop Art negli Stati Uniti ebbe un’evoluzione differente. L’American Pop Art era sia una reazione contro l’Espressionismo Astratto che una forma di sviluppo dello stesso. L’Espressionismo Astratto era stato il primo movimento artistico americano a ricevere un riconoscimento globale, ma, a metà degli anni Cinquanta, molti intellettuali e artisti d’oltre oceano avevano preso a considerarlo eccessivamente introspettivo ed elitario. L’American Pop Art, quindi, evolveva da esso come tentativo di invertire quella tendenza reintroducendo l’immagine quale elemento strutturale del dipinto, strappandola all’oscurità dell’astrazione e riportandola alla luce del mondo reale. Era un modello già sperimentato: Pablo Picasso, seguendo l’esempio di Georges Braque, aveva fatto qualcosa di simile quarant’anni prima, proprio nel momento in cui aveva temuto che il suo modo di dipingere fosse diventato troppo astratto.
L’allestimento di ‘Icons of Music: then and now’ alla ‘Casa della Musica di Grado (Gorizia). Nei primi tre giorni la mostra, organizzata dal Comune di Grado e da ‘American Pop Art’, ha avuto più di mille visitatori.
Il tratto d’unione fra l’Espressionismo Astratto e la Pop Art fu quindi l’opera di due artisti americani proprio degli anni Cinquanta: Jasper Johns e Robert Rauschenberg.
L’uomo che tutti identificarono (e identificano) con l’essenza stessa della Pop Art fu però, senza dubbio, Andy Warhol; inizialmente disegnatore, grafico e artista commerciale che traeva i suoi soggetti dalle immagini del mondo della cultura di massa (pubblicità, fumetti, giornali, televisione, cinema …), Warhol incarnò lo spirito popolare americano ed elevò le sue realizzazioni al livello di arte museale: utilizzando immagini di personaggi famosi e prodotti da supermercato che riteneva ricchi di un’intrinseca banalità e quindi molto interessanti, Warhol intuì il valore del loro esser stati estrapolati dal contesto e privati d’emozione e significato proprio grazie all’esposizione di massa. Sovvertendo i valori dei critici d’arte dell’epoca e dell’ ‘establishment’, e così attraendo l’interesse di grandi pensatori, anche in Europa, come Roland Barthes, Warhol espresse questo ‘fascino della banalità’ attraverso una serie di opere che andò dalla zuppa ‘Campbell’ alle celebrità dell’epoca come Marilyn Monroe.
‘Icons of Music: then and now’, la mostra che presenta alla ‘Casa della Musica’ di Grado quindici grandi opere dell’artista statunitense Steve Kaufman, costituisce un’ottima occasione per avvicinarsi alla Pop Art ‘al di là di Andy Warhol’, guardando molto da vicino le opere di un artista affermato – Kaufman – che proprio di Warhol era stato allievo e assistente. La mostra, in programma fino al 14 settembre, ha avuto nei primi giorni più di mille visitatori e prosegue nel cammino ideale di avvicinamento del grande pubblico italiano alla Pop Art iniziato con gli eventi legati alle opere di altri grandi esponenti del movimento e rinnovatosi con le mostre dedicate a Steve Kaufman a Trieste e a Modena (‘Icons of Pop Art: then and now‘).
Anche le icone della musica (Mozart, Beethoven e tutti i grandi protagonisti di allora e di oggi) di Steve Kaufman si inseriscono, infatti, nel contesto del ‘mito’ e dell’ icona’. Il confrontarsi con questi miti del passato (ma anche del presente: Michael Jackson, nonostante la sua prematura scomparsa – John Lennon, Elvis Presley sono fortemente parte del nostro vivere quotidiano) fu per Kaufman un processo naturale. Warhol si era spostato dagli oggetti alle persone, dalla ‘Campbell Soup’ (ripresa comunque anche da Kaufman, su richiesta della stessa ‘Campbell’) al mito di Marylin (nessun altro artista riuscì al pari di Warhol a tradurre l’emozione della famosa frase con cui Marilyn, nel 1960, aveva definito sé stessa in un’intervista a ‘Marie Claire’: ‘Sono un prodotto artificiale’). Kaufman proseguì l’opera di Warhol ma sentì il bisogno di un contatto più personale con quelle icone della musica, del cinema e dello spettacolo che l’avevano affascinato. Sentì un bisogno, quindi, di nuova personalizzazione.
Dopo Warhol, infatti, Kaufman è il più fedele di tutti nel ritrarre Marilyn spogliata del velo di buonismo con cui era stata avvolta dopo la sua morte. Questi due maestri della Pop Art – Warhol e Kaufman – sottolineano con i loro dipinti un fatto inoppugnabile: non si potrà mai conoscere la Marilyn reale, ma solo la sua immagine.
Se per Warhol l’assunto fondamentale era il pessimismo nei confronti della società americana (nessun essere umano potrà mai conoscere un altro essere umano: per Warhol, Marilyn è un modello trasparente dei meccanismi del dominio dell’immagine sull’anima; l’utilizzo da parte di Warhol di una sola e unica immagine dell’attrice per le trenta serigrafie prodotte fra il 1962 e il 1964, la foto promozionale di ‘Niagara’, lo sottolinea). Il divismo: terrificante, semplice, inafferrabile, seducente: i divi sono concetti e immagini, e non persone reali. Kaufman fa un passo avanti: il pessimismo non domina affatto la sua vita, ma anzi la stessa è una continua ricerca di nuovi stimoli e in quell’immagine che vede davanti ai suoi occhi (il ritratto di Frank Sinatra, ad esempio, di fronte al quale l’anziano cantante si commosse) cerca nuovamente l’anima.
Warhol declinava il suo modo di vedere sé stesso in modo estremo; mentre Kaufman, più giovane di lui – suo giovanissimo assistente alla ‘Factory’ – era un artista impegnato, pieno dalla sua umanità e troppo consapevole delle complessità delle vicende della vita per poterle trascurare – Warhol creava il personaggio dell’idiota, del buffone, mascherandosi in esso. Steve, troppo impegnato a vivere, non smetteva comunque di trascorrere notti intere a tentare di convincere l’ufficiale di polizia di turno a rilasciare ‘uno dei ragazzi’ che aveva tolto di prigione e portato nel suo studio; Andy rispondeva alle domande dei giornalisti solo con ‘Yes’ o ‘No’, oppure ‘Not for me’, ammantandosi d’infantilismo, ingenuità, disinteresse, passività.
Se Warhol intuiva, sul finire degli anni Sessanta, l’inizio del dissolvimento del ‘reale’ rispetto all’immaginazione, e aveva iniziato ad analizzarne le ripercussioni proiettandole nell’esame delle conseguenze del dualismo fra cronaca e mitologia – Kaufman rafforza ancora di più questo confronto e pone la mitologia a contrasto con la storia contemporanea – dove ‘storia’ è anche storia dell’arte. La contemporaneità si dissolve nel passato, la tensione si trasforma in normalità e pratica di ogni giorno. È lo svuotamento dai contenuti per consolidare la citazione, l’illustrazione del già illustrato: la rappresentazione dei miti della musica, della televisione, dell’arte stessa in un avvicinamento a essa che sembra contraddire la volontà che la Pop Art aveva all’origine – l’eliminazione della soggettività del segno artistico.
La vera sorpresa, il vero mistero nell’arte di Andy Warhol coincidono, in fin dei conti, con la rivelazione del quotidiano – senza affrontare, senza nulla fare di più; in Steve Kaufman, troviamo la consapevolezza di ciò che sta oltre quel quotidiano, e un desiderio sia di guardare indietro che di evolvere, di continuare; un cammino prematuramente interrotto, nel 2010, dalla sua scomparsa.
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata