Nell’articolo “Poetessa del colore: la vita di Anita Pittoni” abbiamo ripercorso la sua vita; ora, invece, cercheremo di capire il suo stile, i materiali da lei utilizzati, in poche parole: la sua Arte.
Innovazione è il termine più adatto per descrivere i lavori di Anita, lavori che inizia a creare, intorno agli anni Trenta. Ed è proprio in quegli anni che in Italia molti artisti sono impegnati nelle ricerche e sperimentazioni d’avanguardia, con un’accurata attenzione verso le novità che provengono dal resto d’Europa; essi, inoltre, sostengono un linguaggio più libero. Le tante tipologie del loro lavoro (cinema, architettura di interni, musica, fotografia, etc.), le forme provocatorie, i linguaggi non sempre figurativi che si basano su un gusto “artigiano”, tutto questo crea le basi del design italiano.
Per Anita Pittoni il Futurismo, l’Astrattismo e il Costruttivismo sono alla base del suo linguaggio espressivo.
Oltre l’innovazione, per Anita, anche la creatività gioca un ruolo importante: segue sempre il suo impulso creativo, per creare modelli unici, originali, ed eleganti.
Inoltre realizza anche tanti bozzetti per abiti, figurini per balletti e spettacoli teatrali, si occupa di moda e di arredamento, e dirige un laboratorio per l’esecuzione delle proprie creazioni. Ma oltre ciò scrive anche poesie e racconti; insomma, è un’artista a trecentosessanta gradi.
Il ricamo, la maglia e la tessitura a telaio rappresentano il punto di partenza della sua carriera, del suo percorso espressivo.
La Pittoni rinnova i motivi decorativi, l’uso dei colori e dei materiali; per di più sostiene il valore dell’artigianato, e del lavoro femminile. È contraria alla moda di massa, e ai prodotti scadenti a basso costo; invece incoraggia le piccole botteghe.
Anita dipinge, a tempera o ad acquerello, bozzetti raffiguranti gilet da uomo, bluse; il tutto utilizzando colori accesi e contrastanti tra di loro. I suoi motivi decorativi si avvicinano molto alla sperimentazione futuristica e alle tavole di Depero.
Negli arazzi, Anita usa la lana per la trama e copre l’ordito di juta con zone di colore, in modo da formare il disegno, utilizzando una tecnica antichissima, già in uso in Germania nel XV secolo, e anche nel Caucaso, per tappeti di uso popolare. I suoi arazzi non sono semplici oggetti “decorativi”, bensì fonti di emozioni.
I pannelli, invece, sono realizzati accostando pezzi di panno cuciti con punti fitti su un canovaccio di supporto. E grazie alle tinte forti, i suoi lavori, risultano davvero molto espressivi.
Sostenitrice delle materie prime nazionali, decide di utilizzarle per i suoi abiti; abiti innovativi, creati usando fibre di canapa e juta, lavorate insieme alla lana e a filati metallici – sino ad allora, nelle creazioni femminili di alta moda, si usavano solamente la lana e la seta: non venivano presi in considerazione altri tipi di filati.
Le sue creazione sono realizzate con ago, filo e stoffa, che vengono usati come pennelli e colori; Anita è la poetessa del colore. Nel 1941, Maria Lupieri dice che la Pittoni dipinge con filo, lana e spago come il pittore mescola e fonde le tinte sulla tela.
Inoltre, le sue creazioni sono funzionali con l’ambiente e, quando vengono indossate, costituiscono una pittura in movimento. I suoi abiti vengono definiti “vera moda italiana”: sono pratici, originali, e confezionati con i filati nazionali; spesso la struttura dei suoi capi è dritta o a sacco. Interpreta, in modo nuovo, il lavoro a maglia: le sue creazioni propongono intrecci di filati non tradizionali, per una moda sportiva e allo stresso tempo raffinata. Le stoffe risultano morbide, cascanti ed elastiche, grazie all’agganciatura ad anello, e grande novità dell’epoca…non si stropicciano! La caratteristica del suo lavoro sta nell’alta qualità dell’esecuzione tecnica riconoscibile nella precisa confezione, nell’assenza di cuciture, nell’intreccio regolare delle filature, e nei motivi decorativi, davvero originali. Ogni suo capo di vestiario viene studiato e realizzato ad hoc, per il cliente che lo commissiona.
I cartamodelli costituiscono la parte essenziale del lavoro di Anita; i modelli vengono tracciati a penna stilografica su fogli di carta quadrettata; sui quali annota i nomi delle committenti, chi esegue il manufatto, il materiale, il numero di ferri o di uncinetto, il tipo di punto, e la data di consegna del lavoro; e alcune indicazioni per le lavoranti: i cali, gli aumenti, le misure, il numero di giri, il tipo di rifinitura, e gli eventuali bottoni. Fissa, inoltre, un piccolo campione dei fili da usare. La lana, il cotone, e la seta vengono lavorati insieme a filati come la juta, la canapa, la ginestra, oppure accostati a raion, bobalan, tritalfil, lanital: assolute novità. Inoltre abbina fibre di diverse grammature a oro, rame o acciaio, realizzando così capi meravigliosi, espressivi.
Anita Pittoni cerca sempre sfumature e accostamenti particolari, e, per arrivare al colore da lei immaginato, fa tingere le fibre alla ditta Carniel di Trieste.
“Non esistono colori brutti. Ogni colore è bello in sé. Esistono brutte o belle composizioni coloristiche. Il colore acquista il suo valore quando è contenuto nella forma, intesa anche come proporzione. Un colore che “stona”, se artisticamente dosato può costituire la parte più vivace della composizione”. Anita Pittoni,1933
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata