Gabriella Pison

L’inverno e il Natale: la poesia di Gabriella Pison

Gabriella Pison Nadia PastorcichLei è un medico; quando si è avvicinata al mondo della scrittura e in particolare a quello della poesia?

È da moltissimi anni che scrivo. Tutto è incominciato a otto anni quando a scuola, per Geografia, avevamo da fare un album con tutte le regioni d’Italia, e per ogni regione mettevamo una cartolina che rappresentasse un capoluogo, o una cittadina. Quando ho finito l’album dovevo fare la copertina e allora ho disegnato l’Italia; mi pareva un po’ scarna e, guardando bene la cartina, mi è venuta in mente una cosa che mi aveva detto mio padre: lui mi aveva raccontato di un amico, che si chiamava Glauco, e mi aveva spiegato che Glauco significava azzurro. Ho avuto questa intuizione e ho iniziato a scrivere una poesia sull’Italia che iniziava così: “Questa Italia dal glauco mare … ”

È stata la prima poesia che ho scritto e sono rimasta folgorata da ciò che ero riuscita a comporre; negli anni ho continuato, fino al periodo dell’università, quando ho smesso perché medicina mi impegnava tantissimo ed ero molto appesantita dallo studio. Poi, da vent’anni a questa parte, ho ripreso a scrivere tanto, e scrivo sempre di più.

Quali sono le sue fonti d’ispirazione?

Quand’ero giovane l’amore, adesso soprattutto la natura, ma anche l’analisi introspettiva: le sensazioni di qualsiasi tipo, il mio sentire. Il mare e le montagne sono spesso presenti nelle mie poesie. Quest’anno, infatti, ho vinto il primo premio del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna proprio con una poesia a essa dedicata. Anche il mare mi emoziona molto: quando lo vedo mi sconvolge in maniera incredibile. Ora mi concentro soprattutto su temi introspettivi; quando scrivo sull’amore, è in chiave molto molto ironica.

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IL FANTASMA DEI NATALI PASSATI

Un debito di giorni introvabili
di ore rubate alla malinconia
per meravigliarmi ancora di un altro Natale.
Spacchetto l’albero dal suo scrigno di cartone
Rinviene
Profuma
Della lievità di chi l’ha posseduto
Delle sue memorie ancora conservate nel talco
Che si fanno festa oggi per me.
Un carillon arabescato di sorrisi
Delinea il profilo di gingilli colorati
Qualcuno sbrecciato
Protetto dal Tempo come un minuscolo fragile tesoro
Una miriade di piccole luci
Sospese tra fiocchi di neve.
Tutto uguale come una volta.

( Tutta un’altra cosa)

Una scatola col coperchio stropicciato
Un firmamento di nastri scintillanti
Le scritte in stampatello irregolare
Baffi di stilografica
E forse qualche lacrima dolceamara di questa mattina.
Indugio sui riflessi di campane in cristallo
Tra il muschio che a tratti
Si sfrangia sotto le mani
E nega alla mente che tutto è già passato

Quanti Natali!

Respiro di ricordi che si propagano

Come scintille di miele
E l’anima ferita
Si delizia e gioisce
Di questa magia.

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Ho letto alcune sue poesie e trovo che il suo stile sia molto semplice, lineare, chiaro.

Le trovi semplici? Mi fa piacere. Molti mi hanno detto invece che sono un po’ troppo ermetica. Io la parola la butto come se fosse una pennellata di colore; ovviamente, deve avere un suo peso. Tante volte riduco anche l’uso del verbo, lascio proprio che ci sia un susseguirsi di parole e basta.

Io le ho trovate belle, proprio perché, anche se manca il verbo, ci sono delle parole chiave che scatenano delle emozioni. Le trovo molto musicali.

Sì, certo. Io ti ho mandato alcune mie poesie tra quelle che mi sono più simpatiche, a tema natalizio o comunque legate a questo periodo invernale. Ripeto, io cero di dare delle pennellate …

Crea quindi una sorta di “quadro”?

Sì, sì. Io cerco di riuscire a trasmettere, nell’immediatezza, una sensazione. La mia più grande soddisfazione è quando qualcuno mi dice: “Ho letto la poesia e ho vissuto in qualche modo quello che hai vissuto tu”.

Quindi, se dovesse paragonare le sue poesie ad una corrente artistica, quale sarebbe?

È una domanda … faziosa, per certi versi, perché siccome io amo gli impressionisti, risponderei che mi sento impressionista. Magri, invece, qualcuno potrebbe dirmi che sono più espressionista. Io mi sento impressionista per queste mie pennellate di parole, ma dal punto di vista letterario mi sento ermetica. Però queste sono solo etichette …

C’è qualche scrittore che predilige in modo particolare?

Neruda è il mio mito, mentre D’Annunzio è il mito di quand’ero giovane e che comunque continua ad essere per me irraggiungibile, un’ispirazione. E poi mi piacciono tanto i sudamericani come Alejandra Pizarnik –  una poetessa che è morta suicida, giovane. Sono poeti che hanno un ritmo molto musicale, poi sono tanto passionali, carnali: nelle mie poesie sono abbastanza passionale e mi piace trasmettere proprio quelle sensazioni.

Con le sue poesie cosa vuole esprimere?

Con le mie poesie voglio innanzitutto liberarmi, le trovo catartiche; sono una sorta di autoanalisi. Mi piace molto esprimere passionalità, che è una cosa che magari nella mia vita comune non riesco a fare, e allora cerco di farlo scrivendo; ma anche la mia grande rabbia. Entrambe sono delle cose che non esprimo normalmente, e con la poesia trovo questo… escamotage, elegante, per sfogarmi.

In modo artistico.

Esatto, esatto.

Aspetta l’ispirazione oppure scrive ogni giorno?

Dipende dal periodo: tempo fa giravo con il registratore, finché non mi si è guastato, e registravo sempre quello che mi veniva in mente, anche quand’ero in macchina, poi andavo a casa e mettevo giù ciò che avevo detto, cambiavo, sistemavo. Generalmente ho l’abitudine di mettermi a scrivere magari venti minuti ogni giorno; scrivo anche racconti e quindi, soprattutto con essi, devo un attimo fermarmi, riflettere. Con le poesie è più facile. Diciamo che cerco di dedicare, ogni giorno, mediamente un tempo breve, ma fisso, alla scrittura. Poi, nel fine settimana cerco di riempire tutto il mio tempo scrivendo.

I racconti sono sempre sulla natura?

No, no racconti tutti Fantasy, al novantanove percento. Adesso, infatti, sto scrivendo un libretto di brevi racconti su Lubiana, assolutamente Fantasy, che mi diverte un mondo. Comunque sempre un po’ particolari. Sono proprio fantasie.

Quindi i personaggi sono reali, non sono mostri?

No, anche qualche mostro. Sia Fantasy che fantasia. Fantascienza no.

Quando scrive le poesie segue uno schema o lascia che siano le sue emozioni a parlare?

Massima libertà. Fino a qualche anno fa non mettevo neanche il titolo, adesso si. Ma no, non seguo nessuno schema.

Quindi non s’impone una determinata rima, una metrica?

No, no, assolutamente. Già il mio mestiere da medico mi porta a dover seguire orari e regole, quindi nella mia poesia c’è il massimo della libertà.

Perciò libertà pura.

Per la poesia sì, sto solo attenta a non ripetere delle parole più volte. Naturalmente quando scrivo racconti è diverso: devo impostarli in un certo modo.

Secondo lei come è vista la poesia in questo decennio? Viene valorizzata, apprezzata?

È l’arte più vituperata che ci sia. Secondo me la poesia è sempre stata considerata l’ultimo rifugio. Quanta gente compra libri di poesia? Poca, e così era anche trenta, cinquanta anni fa. Ma oggi c’è una grande voglia di riabilitarla; io sono in contatto con molti poeti di tutta Italia, poeti importanti, e c’è il desiderio di farla emergere. Sì, abbiamo recuperato i grossi poeti, ma di nuovi importanti non ne conosciamo. Vedo che qualche casa editrice che frequento cerca di stimolare anche gli scrittori giovani a scrivere poesie; noto che c’è la volontà di cercare in qualche modo di portare avanti il discorso, ma anche i grossi nomi hanno difficoltà a pubblicare le loro opere. Naturalmente, pagando, si può pubblicare qualsiasi cosa, però non dovrebbe essere così.

La poesia è vista come un qualcosa di maligno, di negativo. Ancora oggi il poeta è visto come una persona strana, ambigua.

Alla fine la poesia è un modo immediato per scrivere ciò che si prova, fissare le proprie emozioni con poche parole, mentre il racconto è più lungo; la poesia dovrebbe essere più valutata, è una sorta di messaggio.

Esatto, però le persone, a volte, sono prevenute nei suoi confronti. Forse perché una volta era considerata elitaria, un’arte per pochi, mentre la pittura era più facilmente fruibile da tutti e più immediata. La poesia, invece, è stata sempre messa in un empireo.

Le poesie di Prévert hanno avuto un successo enorme, perché erano di una grande immediatezza; secondo me, lui è stato un poeta che ha parlato molto ai giovani, probabilmente perché parlava dell’amore. È riuscito a cogliere l’attimo e a tramettere qualcosa.

Quando è entrata a far parte del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna?

Sono entrata nel GISM due anni fa, nel novembre del 2012, e nel 2013 sono diventata accademico – ciò per me è stato un grande onore. Faccio molte cose con gli altri membri della delegazione di Trieste, tra i quali c’è anche Spiro Dalla Porta Xydias. Recentemente una trentina di noi soci ha scritto il libro “Il grande cuore dell’alpinismo”. Ognuno ha contribuito con pezzi storici, filosofici e chi era alpinista ha scritto pezzi relativi alla sua attività di alpinista; ci sono anche delle foto dei nostri soci fotografi. Il libro – pur essendo molto settoriale – ha avuto un grande successo, perché in poco tempo è stato venduto un numero sostanzioso di copie. Questo libro parte dalla storia dell’uomo, dal cristianesimo, dall’ebraismo, dall’islam, dalla patristica. Nella foto che c’è in copertina si vedono dei piccoli puntini, che sono degli omini, che stanno andando sul Monte Bianco – anche questa foto è di uno dei nostri soci.

Allora lei hai conosciuto Spiro Dalla Porta Xydias nel 2012?

Lo conoscevo di fama, ma di persona l’ho conosciuto un anno prima, per motivi medici. Poi, pian piano è iniziata quest’amicizia, che continua ed è assolutamente produttiva. Qualche giorno fa ho presentato il suo libro “La Ragazza”, e sono contenta di come sia sia svolta la serata. Grazie a Spiro sono riuscita a parlare in pubblico, cosa che prima rifuggivo. Lui vorrebbe che io parlassi a braccio, ma ho ancora bisogno di un supporto scritto.

Spiro è un mito; pieno di energie.

Sì, fa sempre mille cose… non so come faccia. È piacevole star con lui nella sua piccola casetta dove si crea un’atmosfera bellissima. Tempo fa, al teatrino del ricreatorio Toti, aveva fatto uno spettacolo teatrale di Sartre a porte chiuse; oltre a fare la regia, si era anche occupato delle luci. Lavorava e si muoveva con disinvoltura come se avesse trent’anni di meno; era completamente trasformato.

Ha progetti per il futuro?

Io scrivo sempre. Mi piace partecipare a certi concorsi di poesia e quindi continuerò a farlo. Quest’anno ho vinto il premio Brancati a Catania e sono andata a ritiralo volentieri. Il mio sogno è quello di poter scrivere avanti. Si dice che i poeti scrivono quando sono tristi, io se sono triste difficilmente mi metto a scrivere, quindi, nel mio caso, questo luogo comune va sfatato. Io scrivo quando sto bene con me stessa, perciò spero di continuare con la scrittura.

Mi piacerebbe scrivere un libro di cucina con le vecchie ricette che ho raccolto, ma prima vorrei pubblicare questo libro di racconti Fantasy di cui ho già parlato.

Più o meno, quando sarà pronto?

Penso per Pasqua. Poi ho scritto un musical per una compagnia siciliana. Una piccola parte è già stata mandata in scena quest’estate e nell’estate del 2015 farò uno spettacolo itinerante in giro per la Sicilia con questo mio musical.

La ringrazio.

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centoParole Magazine nei prossimi giorni avrà il piacere di allietare i suoi lettori con una serie di poesie a tema natalizio-invernale della poetessa triestina Gabriella Pison, di cui vi abbiamo proposto l’intervista.

Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata

1 commento su “L’inverno e il Natale: la poesia di Gabriella Pison”

  1. E’ bello essere entrati in questa intervista nel mondo della poesia. Io dico che dentro di noi siamo tutti un po’ poeti: è il saperlo estrarre che non sempre è semplice. La poesia nasce dalle emozioni, e quando arriva non la puoi frenare, deve traboccare fuori, invadendo, come una lava, la carta o lo spazio che abbiamo a lei riservato su un computer. La poesia è come dipingere, ed in questo mi trovo pienemente d’accordo con Gabriella Pison. Le parole sono simili a pennellate che danno colore e forma ai sentimenti. Alla fine, rileggendo i versi, ti sembra di vedere, con gli occhi della fantasia, un bel quadro, cui poi poni, alla fine, la tua firma.
    In effetti scrivere poesie non porta un ritorno economico. La poesia è un’arte nobile, ma anche povera e si nutre di ciò che al giorno d’oggi, ma forse non solo oggi, scarseggia di certi valori, che invece sono fra i più importanti, quelli dell’anima e del cuore. Se entri in una libreria ti accorgerai a stento del reparto dedicato ai libri di poesia. Esso è sempre troppo ristretto ed angusto. Diciamo che è uno spazio per pochi, per privilegiati, ed i poeti in cuor loro, a dispetto della considerazione degli altri, si sentono tali, perché loro alla poesia credono.
    Gabrilella Pison nomina fra i suoi poeti preferiti Neruda, D’Annnnunzio e Prévert. I primi due decisamente passionali, di quella passionalità che la Pison dice di riversare nei suoi versi, e della quale trova non riuscire a viverla completamente nella realtà della vita.
    Credo questa sia la caratteristica di molti poeti: trasferire nella poesia quello che si sente di essere e che non si riesce a realizzare nel quotidiano. Nella poesia tutto ciò può effetrtivamente succedere, ed in essa il poeta trova la propria recondita realizzazione.
    Tutto ciò lo è anche per me, che pure, nel mio anonimato, mi diletto a scrivere delle poesie. Mi trovo in ciò piuttosto affine alla poetessa Gabriella, ai suoi gusti, al suo modo di essere.
    Un’intervista questa, condotta da Nadia, che per tanti fattori ho quindi vissuto anche come un po’ mia.

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