Roberto Dudine: emozione nella pittura

 

Roberto Dudine, nato a Torino nel 1961, è architetto, professionista e pittore di fama apprezzato dalla critica e dal pubblico. Roberto Dudine ha un legame molto importante con Trieste, città nella quale ha lavorato e dove opera tuttora; lo incontriamo a Bologna, in via Farini, presso la Galleria Farini di Grazia Galdenzi. Galleria Farini è un punto di presenza rilevante per l’arte italiana ed esporrà da settembre 2014 le importanti opere di Steve Kaufman, il ‘Principe della Pop Art’, assistente di Andy Warhol presso la ‘Factory‘.

Il tuo genere di pittura, Roberto, si definisce ‘Iperrealismo pittorico’ o ‘Superrealismo‘; una riproduzione della realtà che talvolta parte da un’immagine fotografica e poi la trasforma o le trasferisce più forza, interpretandola. Deriva dalla ‘Pop Art’, ma non ne ripropone lo spirito critico o satirico: è rappresentazione e non interpretazione artistica.

Si, è così. Anche se, come percorso artistico, il mio desiderio è quello di slegarmi sempre di più dall’iperrealismo pittorico, da questo ‘Superrealismo’, per avvicinarmi a un realismo più consono alle mie opere, nelle quali in fondo c’è una ricerca fra il figurativo e l’astratto. S’intravede già un po’ un cambiamento di rotta nel mio modo di dipingere, negli ultimi lavori; un cambiamento di ricerca.

Roberto Dudine Superrealismo nell'arteMolti dei tuoi lavori sono interpretazioni di un immagine di donna, e visioni dal soggetto erotico. Da dove traggono origine?

Inizialmente mi sono ispirato molto a Jack Vettriano, poi fortemente personalizzato in un mio percorso di crescita dell’interpretazione di quel soggetto erotico che mi inizialmente mi aveva attratto. Con una pittura molto più ricercata e più raffinata. Con scene inedite, che raccontano una storia. Questo è quello che cerco sempre di fare: raccontare una storia, identificare come punto focale del mio lavoro un soggetto come punto d’origine di un filo logico d’intrattenimento per l’osservatore. Nei miei primi lavori, la composizione era più dettagliata, più accademica, adesso sta cambiando, è molto più emozionale. La ricerca dell’emozionale è stata comunque sempre presente.

Vieni spesso a Trieste?

Si e ci ho vissuto in tempo recenti, sono venuto a Trieste sei anni fa; sono nato e ho studiato a Torino, Trieste è la città d’origine dei miei nonni. Sono un architetto, a Trieste ho partecipato a più progetti e uno di questi è stato la ristrutturazione della Galleria Tergesteo, alla quale ho lavorato con Francesco Cervesi e con il padre Giovanni; un progetto molto importante. Poter vedere da zero la ristrutturazione, intera, di quel palazzo neoclassico – il palazzo neoclassico per eccellenza a Trieste – è stata un’esperienza straordinaria. Il mio impegno come architetto si è poi concluso nel 2010, e ho poi aperto, sempre a Trieste, uno studio di pittura.

Roberto Dudine alla Galleria Farini di BolognaLa ristrutturazione della Galleria Tergesteo è stata veramente bella. Non trovi, però, che rispetto a prima manchi qualcosa? Non trovi che sia ancora priva di quell’anima attiva, di quel brio che aveva prima?

Forse adesso il Tergesteo a Trieste è diventato un punto un po’ frettoloso di passaggio; manca quel qualcosa, come dici tu – come ad esempio il bar di un tempo, che catalizzi l’attenzione all’interno e faccia rimanere ‘nella’ struttura, com’era un tempo, piuttosto che solo passarci attraverso.

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Qual’è stato il tuo percorso formativo?

Per primi il Liceo Artistico e la scelta accademica, a Torino, dove sono nato. Poi i miei genitori mi hanno detto (parliamo di fine anni Settanta): “Ma, Roberto, non è che poi facendo il pittore, d’ispirazione classica come piace a te, avrai difficoltà a trovare un posto, una possibilità di lavorare?”
Era una preoccupazione molto comprensibile, portava in sé tutta l’esperienza del Dopoguerra e di chi era arrivato da lontano dopo aver perso tutto. Torino era la città in cui chi aveva lasciato tutto poteva trovare di nuovo un’opportunità: si arrivava con la classica valigia di cartone legata con lo spago, che vedi nelle foto e nei film del Neorealismo italiano; scendevi dal treno sapendo di aver lasciato dietro di te una vita intera ma di avere ancora una speranza di far fortuna … qualcuno ci è riuscito. E allora mi sono detto, tenendo ben presente quell’esperienza e sollecitato anche un po’ dagli amici, che una scelta più orientata al lavoro avrebbe potuto essere l’architettura. Eppure non ho fatto subito l’architetto, dopo gli studi ho fatto l’imprenditore, ho lavorato nel campo della stampa industriale di testi e documentazione, collaborando molto con FIAT. Un’esperienza partita da zero ma che è andata molto bene, e che ha cambiato la mia vita: era un lavoro in un settore di nicchia che veniva ricompensato molto bene, e seguiva un modello che prevedeva di terzializzare i lavori che richiedevano conoscenze e tecnologie specifiche. FIAT, per questo modello, ha fatto un po’ da pilota in Italia; è stato poi riproposto in moltissime altre aziende, in molti altri gruppi industriali.

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Quindi non dipingevi più.

No no, non ho smesso. Durante questo periodo ho sempre coltivato la passione per la pittura però non avevo il tempo di svilupparla nel modo che avrei voluto: la mia era una piccola azienda, che impegnava comunque più persone e richiedeva attenzione, e il tempo che mi rimaneva non era sufficiente. Però la passione c’è sempre stata, non mi ha mai abbandonato. Avevo dipinto, negli anni Ottanta, anche qualche opera ispirata alla Pop Art americana: ho prodotto anche dei ritratti, vendendone in Italia ma anche all’estero. Una di queste mie opere è a Zurigo ad esempio. Negli anni Ottanta la Pop Art era molto sviluppata negli Stati Uniti, la sua patria, naturalmente – ma anche in Italia: Mimmo Rotella come suo esponente molto amato, ma non solo. Il mio professore e il mio mentore è stato Giuseppe Penone.

Attorno al 2002, 2003 ho dismesso la mia attività imprenditoriale; era cambiato il contesto economico, e non era più lo scenario giusto nel quale operare. Ho fatto quello che avevo sempre pensato di fare: innanzitutto l’architetto, a Trieste – ma la mia passione, appunto, non era l’architettura quanto la pittura, e quindi ho ripreso a tempo pieno.

Galleria Farini d'arte contemporanea BolognaAprire uno studio d’artista è stato difficile? Da un punto di vista economico.

Non è mai facile. Ho avuto modo di aprire lo studio grazie al supporto di un amico imprenditore triestino appassionato di arte, che mi ha proposto un progetto e un buon contratto. Mi permetteva di dipingere e produrre e opere per tre anni, coprendo sia il tempo che i costi per i materiali, per poter poi arrivare a un’esposizione delle opere e alla loro commercializzazione. Una sorta di mecenatismo in forma moderna in ottica d’investimento, un’opportunità molto bella. Alla fine di questo periodo di tre anni, nel marzo dell’anno scorso, c’è stato un cambiamento; alcuni progetti, anche a causa della crisi, si sono fermati. Tanto è cambiato in un tempo molto breve, e le difficoltà economiche hanno imposto di iniziare a realizzare, di far ritornare gli investimenti. Occorreva decidere come andare avanti, come proseguire, ed è arrivata un’opportunità che io non credo casuale, e abbiamo aperto questa galleria, la Galleria Farini, della quale vorrei parlarti assieme a Grazia.

Grazia Galdenzi Galleria FariniGrazia, anche il tuo è stato un percorso d’arte, il punto d’arrivo di un percorso d’arte già iniziato altrove?

Mia madre dipingeva da quand’era ragazza, era maestra di acquerello ed era molto appassionata d’arte, per cui la mia famiglia ne era pervasa. Ho una produzione immensa di mia madre, che ora sto sistemando, e dipingo anch’io, ma a livello minore. La motivazione della mia decisione è stata l’aver seguito completamente il percorso di Roberto.

Roberto aveva partecipato all’esposizione ‘Arte sotto i portici’ qui a Bologna; la titolare di questa piccola galleria aveva visto i miei quadri, erano stati apprezzati ed aveva deciso di prenderli in conto vendita. Dopo qualche mese aveva comunicato l’intenzione di vendere la galleria a causa del sovrapporsi di altri impegni; a quel punto abbiamo deciso un investimento comune per acquistarla, vista l’occasione molto buona e la posizione a Bologna – siamo a fianco di una galleria d’arte storica bolognese esistente dal 1967, la più importante della città, che catalizza spesso l’attenzione degli appassionati e i collezionisti. Così ho fatto, ed è stata inaugurata la Galleria Farini, nella quale adesso stiamo parlando; mi sono detta, ‘facciamolo. Tentiamo’. Abbiamo smesso con i mercatini su strada e abbiamo avviato qualcosa di nuovo, di più ampio.

C’è stato un buon riscontro presso il pubblico e i clienti?

Molto buono. Abbiamo iniziato questo progetto con qualche timore, perché comunque aprire una galleria d’arte in questo momento che non è facile è sempre un po’ fonte di preoccupazione. Pian piano però le cose si sono sviluppate. Non abbiamo ancora una clientela storica, naturalmente: contiamo molto sulle opportunità nuove e sulle persone che passano e che vedono i nostri quadri. Li apprezzano, e li acquistano. Tant’è che anche alcuni dei clienti che visitano le gallerie più importanti hanno acquistato opere anche da noi: via Farini è una via molto prestigiosa a Bologna e abbiamo un passaggio molto importante. Le opere che proponiamo sono interessanti e di qualità, i prezzi sono molto più modesti di quelli delle gallerie principali ed è una buona opportunità anche per un investimento oculato.

Com’è lavorare con l’arte nei mercatini di strada?

Icons of Pop Art: Then and NowÈ molto duro. La preparazione è complessa e poi, appena iniziato, è già tutto finito e bisogna spostare tutto. Il mercatino di strada ti dà visibilità però non è lo spazio di cui ha bisogno l’arte: l’arte ha necessità di una collocazione stabile che abbia il giusto respiro e che sia visibile, altrimenti la gente non la nota, non passa e soprattutto non si sofferma. A meno che non ci sia veramente un grande nome nell’esposizione: il nome, comunque, fa sì che tu lo segua. Però chi non è ancora emerso fra quei grandi nomi, senza le gallerie, non avrebbe uno spazio. Galleria Farini è un piccolo spazio, che può ospitare venti, venticinque opere: facendo una scelta di alta qualità, proponendo un solo artista di fama come faremo ora con Steve Kaufman, si raggiunge un livello eccellente. Questa è la nostra idea progettuale d’evoluzione.

L’attività ora sta funzionando molto bene, abbiamo molti artisti che vogliono esporre da noi e ci sono stati tanti eventi rilevanti. Per ogni evento creiamo un catalogo con le opere dell’artista, un catalogo di buona qualità: per gli artisti è molto importante, ogni artista ha bisogno di un curriculum e il catalogo costituisce un documento.

Tu sei di Bologna, Grazia?

Io sono marchigiana, di Jesi. Abito qui a Bologna da più di dieci anni. La mia vita oramai è qui.

Steve Kaufman

Roberto, con Steve Kaufman ritorni quindi alla Pop Art.

Si, con grande piacere. È comunque una corrente artistica che mi ha sempre entusiasmato. Andy Warhol è sempre stato un artista di riferimento per me, e Steve Kaufman non lo è da meno. Se vogliamo avere opere di qualità, Steve Kaufman presentato qui a Bologna rappresenta qualcosa di molto importante per una clientela che è informata e molto esigente. Guardando alcune delle opere di Kaufman non posso non ricordare la Factory di Andy Warhol e le cose che mi avevano entusiasmato: trovo la stessa piacevolezza d’immagine, l’influenza di un maestro straordinario – quindi il suo valore storico – e anche un’analogia di soggetto che poi Kaufman ha sviluppato in maniera autonoma con risultati straordinari.

Chi è per te Andy Warhol?

Andy Warhol è tante cose ed ha rappresentato un punto d’evoluzione nell’arte visiva. Ti basti pensare all’utilizzo della macchina da stampa nell’arte, ad esempio. Come tu sai, la maggior parte delle opere più importanti di Warhol sono riproduzioni fatte attraverso l’utilizzo nell’arte di tecniche di stampa molto sofisticate; riprese, poi, manualmente. E poi l’impiego da parte di Warhol, come soggetto, degli oggetti ‘di massa’, degli oggetti ‘popolari’ più noti del consumismo. Ma non solo oggetti: anche personaggi. Coca-cola, Marilyn Monroe. Gli anni Sessanta, il Sogno e il boom economico.

Andy Warhol di Jack MitchellAl di là della sua pittura  – ci sono stati comunque altri artisti che assieme a lui hanno creato il movimento ‘Pop’, la ‘Pop Art’ – il suo modo di porsi. Quel modo molto eclatante di Warhol essere e di farsi vedere in pubblico; per lui la cosa più importante era distinguersi, differenziarsi. Potrei accostare nel mio modo di vedere Andy Warhol e Salvador Dalì, il maestro del Surrealismo: entrambi avevano fatto dell’arte la loro vita in una misura talmente profonda da essere inscindibile. Arte è vita, vita è arte: questa è stata la cosa che mi ha colpito di più.

Roberto DudineI tuoi lavori, Roberto, sono molto fotografici.

Una peculiarità sono senz’altro le inquadrature, che potrebbero essere certamente definite fotografiche. Quasi cinematografiche. L’uso della luce in maniera teatrale – la luce usata tanto e a mio piacimento, e non sempre in risposta a leggi o realtà fisiche. Quando voglio far risaltare un soggetto, immagino di avere la figura principale illuminata da una luce rilevante che però non è quella principale della scena. Talvolta questa luce è anche un suggerimento che aiuta a immaginare, come ti dicevo, una storia. L’interpretazione rimane comunque all’osservatore.

Sono soggetti di fantasia o sono modelle?

Sono soggetti reali che io vedo e ai quali io mi ispiro. Le composizioni sono inedite, create da me.

Nelle tue opere c’è quasi una tendenza al monocromatico. All’uso di un numero molto ridotto di colori.

Molte mie scene sono quasi monocromatiche, è vero, con un colore di fondo che è un seppia più che un nero. Questo fa risaltare molto le luci e soprattutto, nella mia fantasia, aiutano a inserire queste scene nel contesto degli anni Quaranta e Cinquanta, sottolinea un’atmosfera retrò. Questo è il motivo.Roberto DudineCerco di creare degli elementi nei quali il soggetto viene sempre celato. I luoghi, per me, sono quasi insignificanti: quello che è importante è il rapporto fra i personaggi che rappresento, e cerco di metterli come nel fotogramma di un film. Ecco, vedi, qui il bar nel quale si svolge la scena fra i due personaggi non è importante, potrebbe essere anche il bar sotto casa oppure, e ho anche pensato di rappresentarla così, potrebbero esserci solo l’uomo e la donna, senza contesto – completamente nel nero. Il luogo di per sé non m’interessa, aiuta solo a dare una profondità, forse a suggerire qualche altra interpretazione. Lui guarda la donna in modo voluttuoso; lei, consapevole di essere osservata, ha un’espressione che fa capire che sa dell’attenzione, ma che è padrona dei suoi sentimenti e della situazione. Questo è ciò che mi interessa: il rapporto emozionale fra i due soggetti. È quel rapporto emozionale a costituire il quadro; non il contesto. È quasi un astratto.

Il titolo dell’opera è importante?

È indicativo. È una traccia di quello che io penso. Mi piace comunque pensare che sia l’osservatore a creare il collegamento, a capire: non voglio guidare più di tanto. Non punto sul virtuosismo pittorico, ma sulla potenza, sull’intensità del messaggio emozionale. È quel messaggio che può trasformare una buona opera in un’opera d’arte.

Ti definiresti un professionista dell’arte? 

Si. Riflettevamo, assieme all’amico con cui ho iniziato il mio progetto qualche anno fa, sul fatto di essere alla fine dei produttori e venditori di emozioni. È vero. Tutto, se è desiderato, sentito, può avere un valore.

Pensi che l’arte possa essere una professione?

Si. Anche se molto complessa. E anacronistica, se vogliamo, in questo momento. È come fare il cantante, come fare il compositore. Viverci? Gli appassionati, il pubblico ti compra un quadro; ma devi riuscire a creare quell’emozione che sta alla base e che quell’appassionato, quel pubblico sente.

Galleria Farini di BolognaIl valore dell’opera è anche soggettivo, quindi.

Assolutamente. Esponiamo, talvolta, dall’informale – dall’astratto – al figurativo più stretto, senza preclusione alcuna. E vediamo come le reazioni cambino a seconda di un sentire particolare e come sia comunque l’opera che trasmette emozione a riscuotere successo. Gli ingredienti di quell’emozione … sono difficili, molto difficili da definire. È l’artista a trasmettere uno stato dell’anima.

Il figurativo, naturalmente, è di natura immediata, molto più semplice da comprendere. Diverso è l’informale, difficile da leggere e per il quale occorre una buona preparazione. Eppure molte persone – io ti parlo di un livello di conoscenza dell’arte medio-basso – acquistano comunque un’opera informale, pur non avendo una preparazione adeguata; è esclusivamente l’emozione a guidare la loro scelta.

Come vedi te stesso in questo mondo d’arte nel quale hai scelto di vivere?

Le difficoltà oggettive comunque ci sono. Non basta, oggi, essere un bravo artista, e non basta la tecnica; occorre molto di più. Occorre un percorso professionale preciso, occorre credibilità: c’è bisogno di costruire una buona rete di contatti e non è trascurabile la necessità di mezzi finanziari.

Purtroppo, senza i mezzi finanziari, non si va da nessuna parte; è necessario esserne consapevoli, anche se può sembrare brutto dirlo. Ma i mezzi finanziari occorrono e occorre fare le mostre, perché le tue opere non possono stare in uno studio, se le tieni in studio nessuno le vedrà mai. Le mostre, le gallerie costano, ed esporre non è economico. L’arte è un mondo difficile: se un ragazzo o una ragazza mi dicessero che vogliono fare il pittore di professione, l’artista – glielo sconsiglierei, a meno che non ci siano in loro veramente tanta forza d’animo e motivazione. O meglio, forse non glielo sconsiglierei, ma metterei molto, molto bene in chiaro le difficoltà che dovranno affrontare. Anche se sei bravissimo, i meccanismi del mondo dell’arte possono convergere in altre direzioni e tenertici fuori, sempre e comunque. Per farti un esempio esporre in una galleria che abbia un certo nome può essere la chiave che permette al talento di emergere, ma l’esposizione in una certa galleria può esserti concessa solo se vieni presentato e se materialmente hai la possibilità di pagarti le spese e i cataloghi. E devi fare almeno cinque, sei – meglio dieci – mostre l’anno! solo così riesci a raccogliere le critiche autorevoli di cui hai bisogno e il curriculum corposo con cui puoi presentarti ad altri. I pittori professionisti sono, alla fine, una piccola minoranza; molti affiancano alla loro passione un’attività professionale diversa.

Il 30 luglio Mozart State II 1997, opera molto importante di Steve Kaufman, entra a far parte della collezione permanente del’Internationale Stiftung Mozarteum, il museo e casa di Mozart a Salisburgo. È la prima volta che un artista americano ottiene questo privilegio. 

Si. Sono ancora in stretto contatto con Trieste, con Alberto, e con grande piacere. Il nostro progetto assieme ad Alberto Panizzoli e a Steve Kaufman Art Licensing è quello di avere la Galleria Farini come punto di rappresentanza, di presenza delle opere di Steve Kaufman a Bologna e nel nord Italia; dedicheremo questo spazio interamente a lui, ricollocando le opere degli altri artisti in un altro luogo che stiamo predisponendo. È un’onore e un piacere personale: mi rendo conto che pur essendo Steve Kaufman non ancora molto conosciuto in Europa, si tratta di un artista che ha fatto un percorso personale e professionale molto importante e che ha sicuramente contribuito in maniera rilevantissima alla Pop Art. È molto appassionante.

Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata

Profilo Facebook Galleria Farini – Arte Contemporanea è in via Farini, 26/d a Bologna. 

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