Pier Paolo Pasolini reloaded: questo è il tempo in cui attendo la grazia

Da dove cominciare? Quale Pasolini vado cercando? E quale Pasolini speri di trovare, tu che leggi queste pagine? Il regista o lo scrittore? Il teorico italiano o il poeta friulano? Il giornalista o l’insegnante? Oppure semplicemente l’uomo? E ancora, verso dove andare per cercarlo? A Bologna o a Casarsa? A Roma o ad Ostia?
La verità è che a un secolo dalla sua nascita, nonostante i vari studi critici e nonostante le numerose iniziative culturali a lui dedicate (non ultimo il progetto musicale Punks Tal Friul di Alessandro Di Pauli, dove quindici band punk friulane omaggiano lo scrittore, usando come spunto di partenza la sua opera giovanile Turcs tal Friul), Pasolini resta un intellettuale controverso, sfuggente, quasi inafferrabile e perciò sempre estremamente attuale. E dunque via. Via a spulciare tra archivi polverosi, carte ingiallite, vecchie conoscenze ripescate alla rinfusa prima dagli elenchi telefonici e poi dal web. Alla ricerca di lettere, di fantasmi, di un appunto scarabocchiato e poi dimenticato lì.

Ma c’è anche chi ha avuto altri incontri cartacei. Vecchie carte non originariamente destinate alla divulgazione, bensì concepite per essere il nucleo di un’azione successiva, le sceneggiature: strumento per addetti a lavori, indispensabile anche a chi come Pier Paolo sosteneva la necessità di un cinema autentico, che annullasse la dimensione fittizia, come ha lui stesso detto a New York nel 1967 durante un’intervista con la grande Agnes Varda.

E forse è proprio con l’intento di distruggere ogni elemento di finzione che il regista Fabio Condemi, riemerso dalle torbide acque dell’arte pasoliniana dopo aver scovato le sceneggiature, dirige l’attore Gabriele Portoghese nello spettacolo andato in scena nell’autunno del 2020 al Teatro India nella produzione Teatro di Roma, Questo è il tempo in cui attendo la grazia.  In quello che al pubblico potrebbe sembrare un monologo si rivela essere un dialogo multimediale tra la parola recitata e il grande schermo, dove sono proiettate in alternanza immagini e brani delle sceneggiature; quasi per suggerire al pubblico un intreccio tra cinema e teatro, in quello che Condemi definisce in un’intervista “un montaggio di sceneggiature”. Infatti la ricchezza di questo linguaggio, della sceneggiatura come appunto visivo, risiede nel fatto che lo spettatore assiste a qualcosa che già conosce ma che allo stesso tempo gli è ignoto, rielaborando le descrizioni di luoghi e personaggi visti, con aggiunte tratte dal proprio vissuto. Lo spettatore è spinto all’immaginazione anche grazie ai momenti di “vuoto” dello spettacolo, in cui è proiettata solo la non-immagine dello schermo bianco, quasi come una pagina, come in letteratura. Una letteratura che Pasolini trasforma in ponte verso il cinema: si noti come in vari film l’autore mescola sapientemente l’immagine alla parola scritta. Portoghese però ci tiene a precisare che non interpreta Pasolini: dà invece corpo alle sue idee. Lo spettacolo infatti spoglia Pasolini di quell’aurea mistica, quasi da santone, per restituirci l’uomo, nei suoi processi di ragionamento e nelle sue fragilità.

Giulia Gorella

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