Musica al bar: parlare dell’ovvio sapendo di non sapere

Articolo di Luca Tolazzi 

«Seguitemi: magari nessuno di noi ha un visione perfettamente chiara di qualcosa, ma quello è convinto d’avere una certa visione, e non ce l’ha; invece io, siccome una visione non ce l’ho, neppure presumo. […] in ciò di cui non ho chiara visione, neppure presumo di vedere chiaro.» È attraverso queste parole di Socrate riportate nell’Apologia, opera scritta da Platone che, durante la terza liceo, tentavo invano di fare colpo sui professori nel bel mezzo di un’interrogazione; questo, poco prima di essere rimesso al mio posto con un severo ma meritatissimo due, generando l’ilarità dei miei compagni di classe. È una bella frase, densa di significati. Insomma, la tipica frase che tutti conoscono e che potrebbe benissimo essere stampata nei foglietti dei Baci Perugina: la saggezza risiede in colui che sa di non sapere.
Ci pensavo pochi mesi fa: mi trovo in un bar, con amici musicisti e musicologi e, alla radio, passa l’ultimo successo Trap. Alcuni ragazzi al banco, molto giovani e molto ubriachi, cominciano a fare casino, a cantare a squarciagola, sbattendo i pugni sul legno del bancone. Fra i membri della nostra compagnia c’è chi è particolarmente divertito dalla scena e chi, invece, scuote la testa imprecando contro ‘quei bifolchi e la loro musica commerciale’. Inutile dire che l’episodio genera commenti disparati che sfociano presto in un dialogo sopra e oltre i massimi sistemi del mondo: temi e discorsi complessi di arte, filosofia e storia, bisticci su date e opere di compositori sconosciuti e sottogeneri dei sottogeneri dei generi musicali ‘che al mercato mio padre comprò’. Passa qualche ora così e, alla fine, ci rendiamo conto di essere soltanto dei ragazzi qualunque seduti a un tavolo di un bar, non molto diversi e molesti dagli ubriaconi canterini.
Ma perché ho raccontato queste cose apparentemente scollegate fra loro, vi starete domandando. Sono dell’idea che, parlare di musica, o di arte in generale, sia veramente complesso. Pensateci: non esistono versioni più o meno giuste di intenderla, ma esistono contesti entro cui alcune di queste visioni risultano più autorevoli di altre…un ovvio macello! Eppure, da oggi, mi trovo qui: a scrivere di dubbi legittimi, a instaurare un dialogo con ciascuno di voi. Perché la verità è che di musica non ci capisco molto neanche io (che l’ho studiata e continuo a studiarla). Perché non cambio compagnia per una volta e ci proviamo noi, insieme? Prendiamo quei discorsi che fanno scuotere la testa agli accademici e quelli che fanno venire mal di testa a chi non conosce e ne parliamo pacificamente. In fin dei conti, non stiamo cercando una cura per una malattia mortale o la soluzione alla pace nel mondo: stiamo solo parlando di cultura.
Mi preme tuttavia partire da una premessa fondamentale, se siete d’accordo (anche perché questa volta non ci sono professori armati di ‘due’ che potranno impedirmelo): ognuno di noi ha maturato determinate convinzioni, determinati gusti e preferenze, che ci rendono unici e che determinano chi siamo e in cosa crediamo. Prima di cominciare, quindi, voglio mettervi di fronte a un piccola sfida, nella speranza di uscirne tutti vincitori: siamo in grado di mettere in dubbio tutte le nostre credenze? Siamo in grado di crescere ascoltando pareri contrastanti? Siamo capaci, in altre parole, di ‘non sapere’, lasciando le nostre credenze a casa? Spero la risposta a questi quesiti sia positiva… in tal caso, ci rivedremo presto in questo piccolo spazio che mi è stato concesso. Di cosa parleremo? Beh…cominciamo dalle cose semplici: penso che mi ordinerò una birra. Tu cosa prendi?

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