Uno dei fenomeni che nell’ultimo periodo ha preso sempre più piede è quello dei live show in streaming sul web: un concerto viene trasmesso in diretta sui canali personali scelti dall’artista mediante il pagamento o meno di un compenso. Un esempio di questa pratica è quello adottato dai Berliner Philarmoniker che, attraverso la propria “digital concert hall” (letteralmente “sala da concerto digitale”), mette a disposizione un numero considerevole di contenuti in streaming (in questo caso anche in differita), previo pagamento di un abbonamento. Il proliferare di questo tipo di piattaforme paragonabili a Netflix o altri servizi di streaming è da analizzare con particolare attenzione: data la situazione mondiale che stiamo vivendo negli ultimi mesi dovuta all’emergenza sanitaria (e conseguentemente economica), il digitale si sta rivelando una possibilità di sopravvivenza per molti settori grazie a dinamiche già consolidate come lo smartworking. Non solo: a livello sociale e interrelazionale la tecnologia ci permette di restare, parafrasando un noto hashtag, “distanti ma uniti” in un momento come questo. A questo punto, ci sono tutte le condizioni per porsi qualche domanda: qualora la ricrescita del mercato dello spettacolo sia, come ci si aspetta, altrettanto lenta di quella di altri settori, possiamo dimenticarci degli spettacoli, dei concerti, delle performance dei nostri artisti preferiti così come le conosciamo? Il futuro post-Coronavirus per i concerti dal vivo è lo streaming? In altre parole: siamo davvero pronti alla “smart-performance”?
Cominciamo con una rassicurazione: la performance dal vivo c’è e ci sarà sempre. Può sembrare un’ovvietà, ma è bene precisarlo fin da subito. È vero: oggi siamo sempre più spesso abituati al mondo della registrazione musicale (analogica o digitale fa poca differenza). Tuttavia, il mondo della performance dal vivo è sempre un punto molto forte della diffusione musicale. Non è un caso che le tournée siano ancora oggi la fonte di guadagno principale degli artisti, più delle royalties, più delle copie di dischi vendute. E non c’è solo l’aspetto economico, ma anche quello più “emozionale”: l’energia dell’esibizione dal vivo è imparagonabile a quella catturata su un disco. L’aura, come la chiamava Walter Benjamin ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, non è una cosa che può essere vissuta al di fuori del momento stesso, reale, vivo. Si può tranquillamente affermare che l’hic et nunc, il “qui e ora” del momento performativo è la vera essenza della musica stessa (anche se Glenn Gould avrebbe da dirci molto su questa osservazione, ma questa è un’altra storia). Vogliamo mettere sul banco della nostra analisi prove più pratiche che filosofiche? Basta osservare come, a distanza di un secolo dall’invenzione della registrazione musicale, le performance dal vivo siano rimaste forti e indipendenti, senza essere relegate a consumo di nicchia: per fare qualche esempio, il Festival di Woodstock (elevato addirittura a manifesto della controcultura) o il Live Aid o la moltitudine di concerti dei singoli artisti dai Beatles a Springsteen e oltre. Se è vero che la musica eseguita dal vivo non è giunta al canto del cigno (e molto probabilmente non vi giungerà mai), dall’altro lato non possiamo non prendere in considerazione i mutamenti che ci saranno nelle modalità di concepire e vivere una performance musicale pubblica. Cambierà davvero qualcosa o sono solo supposizioni senza senso?
Rispondere a questa domanda è molto difficile non essendo dotati della sfera di cristallo. Tuttavia, non possiamo non ignorare che stiamo vivendo un cambiamento profondo nell’assistere alla performance dal vivo che è già cominciato molto tempo prima dell’epidemia e della quarantena: social come TikTok e piattaforme come Twitch oggi, al pari di Instagram e YouTube ieri, hanno aperto nuove possibilità alla manifestazione dei propri prodotti artistici e relativo supporto (anche economico, come nel caso delle donazioni dei fan o delle sponsorizzazioni dei contenuti); orchestre e fondazioni come quella dei Berliner mettono a disposizione contenuti originali curati secondo la propria direzione artistica permettendo anche a chi vive fisicamente lontano dalla sala da concerto di assistere in tempo reale a una prima mondiale di un’esecuzione; artisti come Taylor Swift creano veri e propri concerti dedicati esclusivamente al pubblico di determinate piattaforme (nel caso della Swift, Amazon); gruppi come Elio e le Storie Tese o i Metallica mettono a disposizione sui propri canali social concerti storici e, spesso, anche introvabili (un articolo con un elenco di queste iniziative a livello mondiale dall’esplosione del COVID-19 si trova qui). In altre parole, stiamo già vivendo la smart-performance. Lo possiamo vedere con i video virali sulle chat WhatsApp dei vari flash mob, con le dirette Instagram dei vari artisti che suonano o insegnano a suonare. Il futuro sarà completamente digitale? Probabilmente no, ma stiamo vivendo un momento di profonda mutazione dell’esecuzione così come la conosciamo. A supporto di tale ipotesi, in conclusione, vi propongo un esempio concreto: Netflix non ha fatto sì che le sale cinematografiche sparissero dalla circolazione, ma ha spaccato in due l’industria (da una parte i grandi blockbuster, dall’altra la produzione indipendente; da una parte l’esperienza del grande schermo e del Dolby Atmos, dall’altra la massima fruibilità). Questo nuovo modo di pensare al cinema ci permette oggi di avere un catalogo ampio, incredibilmente denso e altrettanto coeso con la stratificazione della società. Prepariamoci quindi a uno stravolgimento, ma non a una sostituzione completa del mezzo. Funzionerà? Ai posteri l’ardua sentenza.