Oggi vorrei fare una riflessione su uno dei fatti più eclatanti della settimana appena passata e vorrei farlo, similmente all’articolo precedente, provando a fare dei ragionamenti per assurdo. La notizia a cui mi riferisco è quella dell’abbattimento di statue raffiguranti personaggi a loro modo significativi nella storia dell’uomo (Cristoforo Colombo, Winston Churchill e Indro Montanelli, giusto per fare qualche nome), un’operazione a tratti “violenta” nonostante la validità delle intenzioni dietro a tale gesto: fino a che punto siamo in grado, oggi, di rinnegare il passato, decontestualizzando le cose e distruggendo, di fatto, gli oggetti? Ma soprattutto: stiamo entrando in una fase di “censura pseudo-intellettuale”, dove la storia viene sacrificata in favore del “politically correct”?
Lungi da me giustificare o condannare questi gesti dal punto di vista morale e politico. Questa è una premessa che voglio fare fin da subito, ond’evitare fraintendimenti. Tuttavia, la domanda rimane lecita: per quanto possa essere un gesto che fa discutere, qual è l’utilità dell’iconoclastia? Qualcuno potrebbe chiedersi perché, in una rubrica dedicata alla musica, abbia deciso di partire da qui, eppure il parallelismo è evidente: se oggi imbrattiamo e abbattiamo le statue, domani potremmo condannare l’opera lirica all’italiana di misoginia («La donna è mobile / qual piuma al vento / muta d’accento e di pensiero» canta il Duca di Mantova nel terzo atto del “Rigoletto” di Giuseppe Verdi) e accanirvici, corretto? Può sembrare un parallelismo forzato, eppure le ragioni dietro al possibile boicottaggio di gran parte della tradizione operistica italiana sono giustificabili tanto quanto le azioni distruttive cui si sta assistendo ogni giorno. Secondo lo stesso ideale del politicamente corretto dovremmo destituire Richard Wagner da figura chiave della storia musicale poiché dichiaratamente antisemita; dovremmo inorridire ascoltando il nome di Wolfgang Amadeus Mozart poiché era un pervertito, un coprolalico (e sono numerose le lettere alla cugina Anna dove emerge questo lato moralmente sbagliato del compositore); dovremmo bruciare i vari libri di canto gregoriano (rinnegando così l’intera storia della musica fino ad oggi!) poiché la riforma canora attribuita al papa benedettino Gregorio I Magno ha di fatto distrutto decine e decine di tradizioni musicali (da San Gallo a Laon, da Benevento a Einsiedeln) in favore dell’uniformità del canto liturgico.
Di esempi se ne possono fare a milioni, ma spero che il concetto sia abbastanza chiaro: soffermarsi sugli aspetti negativi di un qualsiasi cosa, decontestualizzando l’esistenza di una data opera, statua o chicchessia e “censurandola” di conseguenza è la cosa più assurda e sbagliata che si potrebbe fare. L’equilibrio, per quanto fragile, è presente: senza l’antisemitismo di Wagner, probabilmente un’opera come la Tetralogia non avrebbe contribuito a spaccare definitivamente la storia della musica, ma sarebbe l’equivalente di un concerto psichedelico all’UFO Club di Londra negli anni Sessanta, ossia un grande trip di musica, luci e fumo. Quello cui si sta assistendo oggi è l’incapacità di sapere interpretare il contesto storico, con la presunzione a tratti orwelliana (e “1984” è la prova di ciò) di voler riscrivere la storia, di “semplificarla” in negativo: sembra quasi di non aver imparato niente da quanto accaduto negli ultimi due secoli, di voler chiudere ad ogni costo gli occhi di fronte alla “banalità del male” (volendo citare l’omonimo libro di Hannah Arendt sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann), senza voler guardare al contesto. L’aggravante, in questo specifico caso delle statue, è appunto l’iconoclastia: accanirsi sulla statua del colonizzatore Cristoforo Colombo oggi poiché simbolo di germinazione razzista è come voler incolpare i cinesi di aver voluto la morte di milioni di persone esportando la pandemia di Coronavirus, ossia una cretinata di proporzioni bibliche! Personalmente la cosa mi incute un certo timore, quello della “censura pseudo-intellettuale” come la si è definita all’inizio: la storia ci insegna che, oltre alla statue, possono essere bruciati i libri (la stagione dei Bücherverbrennungen del 1933), possono essere perseguitati gli artisti (il “bolscevismo musicale”, l’arte degenerata), possono essere distrutte le opere d’arte, la musica, gli spettacoli, i film, la letteratura e si può sempre applicare la “damnatio memoriae” come nell’antica Roma. C’è sempre una ragione possibile per obliterare (nel senso letterale di “consegnare all’oblio”) qualcosa o qualcuno, ma deve esserci una componente fondamentale: la comprensione del contesto. Attenzione, però: non il contesto del proprio tempo, ma quello della “vittima sacrificabile”. Voglio quindi lasciarvi con una domanda: quanta musica (e, più generalmente, quanta cultura) dovremmo dimenticare e condannare se facessimo a meno di considerare la storia che sta dietro alle opere in esame?