Vorrei soffermarmi questa settimana su uno dei fenomeni recenti che più sta cambiando l’esperienza di ascolto della musica, ovvero la musica 8D. Che cos’è? Vi sarà probabilmente capitato in questi giorni di quarantena di ricevere sul vostro Whatsapp un messaggio che affianca una cover cantata a cappella di “Hallelujah” di Leonard Cohen che recita così: «Ascolta questa canzone con le cuffie (indossate entrambe le cuffie). È la nuova musica dei Pentatonix, composta con la tecnologia 8D. Ascoltatelo solo con le cuffie. Sarà la prima volta che sentirete questa canzone con il nostro cervello e non con le vostre orecchie: sentirete la musica dall’esterno e non dalle cuffie. Sentite gli effetti di questa nuova tecnologia». Ascoltando il brano, la sensazione è quella di percepire il suono in maniera “sferica”, con il flusso audio che “viaggia” in senso circolare nella propria testa. Nel caso in cui vogliate sperimentare con questo tipo di esperienza sonora, vi basterà anche solo digitare “musica 8D” su YouTube per trovare tantissimi risultati a riguardo. Eppure la domanda sorge spontanea: questo modo di ascoltare musica è davvero “nuovo”? Ma soprattutto, è questo il futuro dell’esperienza musicale, ossia l’ascoltare musica attraverso il cervello?
In cosa consiste effettivamente l’8D? Non è altro che un gioco di editing audio che “inganna” la percezione del suono. Per capire in cosa consiste questo “inganno”, sarà opportuno fare un veloce e facilissimo ripasso di fisica. Procediamo con ordine: è possibile definire il suono come la sensazione uditiva della vibrazione di un corpo in oscillazione che si propaga all’interno di un mezzo elastico (come l’aria, ad esempio). Questa vibrazione raggiunge il nostro orecchio che, mediante un sistema di vera e propria decodifica, traduce la vibrazione in sensazione uditiva, in suono. Ogni suono percepito ha una caratteristica ben precisa data dal suo timbro (la “qualità”, il “colore”), altezza (intesa come suono acuto o grave) e intensità (forte o piano). Non solo: ogni suono è influenzato dai vari fattori “ambientali” che influiscono sull’attacco, sulla propagazione e sul decadimento del fenomeno sonoro (ad esempio, una chiesa vuota darà un forte riverbero al suono a differenza di una stanza molto insonorizzata come una camera anecoica). Tutti questi fattori vengono interpretati dal nostro cervello, permettendoci così di comprendere altre qualità del suono, come ad esempio la sua posizione nello spazio acustico. In quanto esseri umani abbiamo due “apparecchi riceventi”, le nostre orecchie: l’informazione data da altezza, timbro, eccetera che il nostro cervello elabora è data contemporaneamente da entrambe le orecchie. Tutti i suoni che ascoltiamo sono di conseguenza “sentiti col cervello”. Tuttavia, c’è da precisare come la tecnologia alla base della riproduzione della musica è “limitata” rispetto a quello della nostra percezione: siamo infatti abituati a sentire la musica in un ambiente più stretto, stereofonico, dove il flusso sonoro è gestito su due diffusori, uno a sinistra e uno a destra (un esempio di questa cosa possono essere delle cuffie o degli auricolari). Ogni brano che ascoltiamo segue delle regole di allocazione in questo campo acustico, dove a ogni sorgente è “assegnato” un posto fisso (es. la voce principale sta al centro, il basso più verso destra, i cori più a sinistra, eccetera). L’8D non segue queste regole: il suono nella sua totalità (ovvero nella somma delle varie sorgenti) viaggia fra un orecchio e l’altro, attraverso un continuo e maniacalmente studiato lavoro di editing del “panning” della sorgente sonora (ovvero la l’operazione di assegnamento del suono nel “panorama acustico”, da cui deriva per l’appunto la parola “pan”). Il cervello viene così ingannato poiché il suono si sposta in continuazione, recandoci questa sensazione di “circolarità” del suono.
Detto questo, sfatiamo qualche bufala: per quanto possa essere un’esperienza diversa, non ci si sta assolutamente trovando di fronte a un qualcosa di nuovo. In primo luogo, la «nuova musica dei Pentatonix» presentata nel messaggio è in realtà un brano edito nel disco “A Pentatonix Christmas” del 2016 remixato in 8D; in secondo luogo, questa “nuova tecnologia”, oltre ad esistere già da qualche anno sulla rete, è solo una delle tantissime sperimentazioni in campo acustico e psicoacustico che si sono susseguite dall’entrata in scena dei primissimi calcolatori negli anni Cinquanta del secolo scorso. All’interno dello studio della fisica del suono, infatti, il secondo Novecento è stato il periodo che più ha fatto luce su questi fenomeni grazie al lavoro di compositori-ingegneri come Max Mathews, Jean-Claude Risset, Roger Shepard e John Chowning. Già nelle loro opere, facenti parte di quella corrente chiamata “computer music”, si trovano esperimenti volti a “ingannare” il cervello come lo “Shepard Tone” (la scala di suoni che sale o scende all’infinto) o il suo equivalente ritmico “Risset/Shepard Rhythm” (il ritmo che accelera all’infinito). Esistono anche vere e proprie composizioni, come, per rimanere in analogia con l’8D, il brano “Turenas” di Chowning (dove i suoni viaggiano intorno all’ascoltatore). Non solo: esempi di spazializzazione differente si hanno anche nella musica pop, come nel caso delle edizioni in quadrifonia della musica dei Pink Floyd (come nel caso del “cut quadrifonico” di Alan Parson di “The Dark Side of The Moon” del 1973), o delle edizioni “surround” della musica di Steven Wilson, giusto per citarne qualcuno.
Per concludere questo lunghissimo excursus: l’8D è il futuro dell’esperienza di ascolto? No. Nonostante sia sempre interessante conoscere nuovi modi di approcciarsi alla musica, esistono delle “regole non scritte” che fanno sì che pratica di ascolto si muova attraverso certe convenzioni, siano queste prettamente musicali (es. funzioni armoniche, note di una scala, tempo musicale, eccetera) o tecniche (es. le convenzioni in sede di registrazione di un brano che, per quanto un’artista possa essere “rivoluzionario”, sono la consuetudine). Non si vuole demonizzare questa nuova esperienza, anzi: ben venga la ”popolarizzazione” di certe pratiche di ascolto, a patto però di imparare a conoscerle per quello che sono, senza lasciarsi suggestionare troppo dalla propaganda bufalara delle “catene” dei social. Qualora questo viaggio breve ma intenso nel mondo della psicoacustica vi abbia stuzzicato e vogliate approfondire questo mondo affascinante e complesso, vorrei segnalarvi due libri: il primo è “Musicofilia” di Oliver Sacks (autore del famoso e bizzarro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”) che affronta il delicato rapporto che c’è fra cervello e musica mediante la narrazione di affascinanti aneddoti medici reali; il secondo, in lingua inglese, è “This Is Your Brain On Music – Understanding a Human Obsession” di Daniel Levitin, che spiega con una facilità disarmante alcune di queste “regole non scritte” delle convenzioni musicali. Nel caso in cui li recuperaste, vi auguro una buona lettura: potete sempre leggerli interrogandovi sull’illusione che vi reca il vostro brano preferito in 8D, no?