Uno dei fenomeni più importanti all’interno dell’industria discografica è quello del live album: catturare una performance non solo fotografa l’energia di un gruppo e del pubblico presente, ma permette di analizzare come la stessa idea di concerto è mutata nel corso degli anni. Per fare un esempio di questo mutamento, si può paragonare la presenza del pubblico nel disco live di “Ummagumma” del 1969 dei Pink Floyd, emblema di un tipo spettacolo psichedelico del gruppo inglese di quel periodo, con quella di “Pulse” del 1995: nel primo, il pubblico è prevalentemente silenzioso durante l’esecuzione dei brani, quasi come a sottolineare la religiosità dell’atto performativo; nel secondo, invece, ci si trova davanti al tipo live show con il brusio del pubblico costantemente in sottofondo, partecipe in ogni senso all’esibizione. La cosa divertente, tuttavia, è come non tutti i live siano effettivamente catturati dal vivo. In altre parole: all’interno della propria collezione di vinili, di audiocassette, di dischi o delle proprie playlist digitali non è detto che l’esibizione dal vivo sia catturata come in una fotografia analogica.
Certo, è contraddittorio parlare di esibizione dal vivo “ritoccata” in seguito, un po’ come oggi si ritoccano le fotografie con Photoshop, eppure questa pratica è stata a lungo sfruttata non solo per correggere imperfezioni ma anche per creare qualcosa di completamente diverso dal modello “live”. Non tutti sanno che molti dischi, incluse le pietre miliari della discografia, sono infatti rivisti in studio. È questo il caso di “Roxy & Elsewhere” di Frank Zappa, un album “ibrido”, pieno di sovraincisioni e manipolazioni, nonché di “montaggi” fra le varie registrazioni (ad esempio, la versione presente sul disco di “Son Of Orange County” infatti è un montaggio delle serate dell’8 maggio 1974 all’Edinboro State College e dell’11 maggio 1974 all’Auditorium Theatre di Chicago). Cambiando notevolmente genere, il live “Score: 20th Anniversary World Tour” del 2006 dei Dream Theater presenta una sovraincisione in studio per sopperire a un problema tecnico durante la serata della registrazione: durante “Under A Glass Moon”, la chitarra di John Petrucci smise infatti di funzionare. A tal proposito, osservando il video ufficiale dell’evento, si può notare come, alla fine del primo ritornello, la regia si concentri abilmente sugli altri membri della band poiché Petrucci stava armeggiando con i suoi tecnici per sistemare il problema. Un esempio ancora più chiaro di questo tipo di interventi è quello del famosissimo concerto dei Genesis al Circo Massimo di Roma nel 2007, immortalato nel live “When In Rome”. Il “misfatto” avviene quasi a metà della scaletta, durante il susseguirsi iniziale dei tempi dispari del solo di sintetizzatori dello strumentale “Firth Of Fifth”: Phil Collins, infatti, perse il sincrono durante i vari fill di batteria, come testimoniato dalle riprese amatoriali del pubblico. Osservando però il filmato ufficiale e ascoltando la registrazione si nota come non esista alcun errore, poiché corretto in post-produzione. Di esempi del genere se ne possono fare tantissimi, ma la domanda rimane la stessa: quello che sto ascoltando come “esibizione dal vivo” è veramente un esibizione in tutto e per tutto?
Ci si addentra con questa domanda in un mondo pericoloso, fatto di molteplici visioni filosofiche molto sofisticate. Eppure è una domanda lecita, che apre un interessante dibattito: camuffare l’errore o sovraincidere o montare spezzoni diversi alla ricerca dell’esibizione perfetta non compromette lo stesso concetto di performance? C’è da precisare che uno dei vantaggi della registrazione è proprio questo: la registrazione permette infatti una ricerca musicale molto più accurata e precisa dell’esecuzione. Artisti molto importanti per la storia della musica come Glenn Gould sfruttarono al massimo queste possibilità per riproporre il più fedelmente possibile la musica del passato (o, nel caso specifico di Gould, Johann Sebastian Bach). Lo stesso modo di incidere dischi è cambiato, come abbiamo detto numerose volte: si è infatti passati dalla presa diretta alla presa “in differita”, curando così ogni aspetto della performance. Si può allora parlare in questi casi di morte dell’esecuzione dal vivo? Sì e no. Esistono più scuole di pensiero in merito allo “sporco” di una performance, però voler ritoccare qualcosa non è necessariamente sinonimo di sacrilegio: Zappa ha di fatto inciso brani nuovi con “Roxy & Elsewhere” di cui non esiste una versione in studio, così come i Dream Theater e i Genesis hanno voluto regalare ai fan uno spaccato della loro carriera in due momenti significativi nella storia del gruppo (i vent’anni di attività nel primo e il ritorno sulle scene del secondo). Come ogni cosa, ci sono dei limiti dettati dal buon senso: se oggi ci trovassimo di fronte a un live inedito di Jimi Hendrix e ci trovassimo brani con la chitarra scordata o fuori sincrono per qualche battuta, la dovremmo aggiustare? In questo caso no, perché si andrebbe a snaturare l’energia di quella performance e, tanto per essere pignoli, l’autore non può dare il consenso alla manipolazione della sua opera in quanto deceduto. Per concludere, sì: anche la sovraincisione o la manipolazione delle registrazioni dal vivo sono parti di un’esibizione, ma se vengono effettuate ci sono delle motivazioni indubbiamente più o meno lecite per farlo. Quindi vi lancio una sfida: ripassate il catalogo dei live che avete in casa e andate a leggere la storia dietro ciascuno di quei dischi che avete tanto ascoltato e amato. Vedrete che troverete tanti aneddoti interessanti, ve lo assicuro.