Musica 101 – la musica che non vale

Nel corso di questa rubrica, il dibattito fra musica colta e non colta è già stato trattato a più riprese. Eppure, la possibilità di tornarci è sempre cosa gradita, soprattutto se si può portare questo dibattito al livello successivo. Questa volta, parafrasando il grande musicologo italiano Massimo Mila, si vuole mettere in luce un aspetto della musica “che non vale”, prendendo ad esempio il rap e il vasto mondo dietro all’hip-hop.

Perché proprio il rap? L’idea di riprendere in mano il dibattito nasce dalla visione di un documentario del 2012 passato quasi inosservato dal grande pubblico: “Something From Nothing: The Art Of Rap”, con regia di Ice-T e Andy Baybutt, è forse il miglior documentario dedicato a questo genere musicale. L’idea è quella di raccontare la storia del rap, fatta di sofferenza, di ricerca di una propria voce, di ribellione, attraverso le testimonianze dirette dei suoi protagonisti (Grandmaster Caz, Rakim, KRS-One, Ice Cube, Dr. Dre, Eminem e lo stesso Ice-T solo per citarne qualcuno), alternando momenti di colloquio a momenti di freestyle, di improvvisazione. Il viaggio condotto dal regista dalla West Coast alla East Coast fa emergere, infatti, come il testo sia il vero protagonista, il vero elemento creativo, in maniera molto simile a come accadeva ai tempi delle varie tradizioni di canti liturgici pre-gregoriani. Più precisamente, sulla base di queste considerazioni, c’è una domanda particolare che viene posta ai vari MC (volgarmente chiamati “rapper”): perché questo tipo di musica non viene esaltato al pari di altrettante musiche “nere” come il jazz o il blues? Può sembrare una domanda banale, scontata, quasi “oltrepassata” per certi aspetti, ma questa è una domanda a cui solamente oggi si sta cercando di rispondere in maniera retrospettiva: perché un certo modo di fare musica ha più valore di un altro? Chi decide che una musica vale e un’altra no? Sulla base di quali motivazioni?

Si è già avuto modo di parlare più generalmente di pop e di come la chiave nello svolgimento di questo tema sia quella di non ragionare per compartimenti stagni, ma preferibilmente per giochi di chiaroscuro. Qui, però, non si sta cercando solamente di fornire una motivazione secondo cui è possibile parlare seriamente di musica non seria: cosa rende una cosa più importante di un’altra a parità di elementi in comune? La risposta data in “The Art Of Rap” è che, fondamentalmente, il rap ha alla base un forte senso di sfogo, di “insulto” che però non è un pretesto per sfociare in uno scontro fisico, bensì in uno scontro intellettuale, dove non è importante la sfera musicale (non a caso, lo “strumento musicale” del rap è il disco, la “base”, il beat) ma la padronanza della sfera linguistica, del carisma. Il rovescio della medaglia è che il problema di fondo è che sussiste una chiusura musicale, dove se non si conosce lo slang e le varie “estetiche” che cambiano notevolmente di Stato in Stato, da costa a costa, da quartiere a quartiere, è molto difficile riuscire a comprendere la bellezza di quest’arte musicale. Questo sistema autopoietico, capace di autoregolarsi e di autoalimentarsi racchiude al suo interno una forte componente autoreferenziale (il jazz e il blues parlano di fatto a un pubblico più ampio sia sul fronte lirico che su quello strumentale): è questo il grande limite da riuscire a superare se si vuole apprezzare questo modo di fare musica.

Il punto a cui si può arrivare è che non esiste una musica che non vale a prescindere, eppure la critica si comporta esattamente in quest’ottica, confondendo gli andamenti di mercato con la sfera prettamente artistica. Questo articolo vuole essere un monito per i consumatori di musica: conoscere veramente un determinato genere significa saper dare un senso chiaro e un contesto specifico entro cui si svolge un determinato movimento artistico. Tale grado di consapevolezza permette una più facile determinazione di ciò che è artisticamente bello e di ciò che è artisticamente orribile: la musica che non vale non è rappresentativa di uno o più generi musicali nel loro insieme. Tuttavia, essa è il prodotto artistico che non funziona all’interno del contesto in cui è calato, a cui non è possibile dare un senso in termini sociali, antropologici, culturali ed economici: volendo essere estremisti, collegandosi alla frase di prima, non esiste quindi una musica che non vale a prescindere, ma esiste un gusto personale e questo gusto può cambiare se si impara a conoscere i vari “sapori”, le varie “spezie”.

Lascia un commento

Carrello
Torna in alto