Musica 101 – il grande paradosso della musica dal vivo

La musica, più del cinema o della fotografia, è parte integrante della vita di ogni giorno: la si sente al bar, alla televisione, sulla radio dei mezzi pubblici, sui nostri dispositivi. Oggi più che mai è sempre più facile “consumare” musica. Eppure, la prassi dell’esibizione dal vivo persiste in maniera costante: essa non manifesta solamente la possibilità di vedere i propri idoli in carne ed ossa, ma incarna quella componente comunitaria, a tratti ritualistica, che è una costante fin dagli albori della pratica musicale. Che si tratti di una sala da concerto, di uno stadio, di una piazza o di una fermata della metro non fa differenza. È evidente, tuttavia, che ci sono delle differenze significative fra i vari luoghi e le varie tipologie di “concerto”: l’esibizione dell’artista di strada è diversa da quella del musicista da piano-bar così come questa è ben diversa da quella di un musicista “da palco”. Ogni luogo nasconde ed esalta delle consuetudini: perché? Che differenza c’è, artisticamente parlando, fra un busker (o musicista di strada) e il primo violino di un’orchestra sinfonica?

Sono diventati virali e famosi video di grandi musicisti, siano questi artisti pop o musicisti “classici”, che si esibiscono in luoghi non convenzionali, come ad esempio la fermata di una metropolitana, fra l’indifferenza del pubblico. O, in maniera opposta, musicisti di strada, spesso anche in condizioni di vita al limite (clochard, giovani disoccupati, eccetera), che con il loro talento meriterebbero di calcare i palchi più famosi del mondo. Esiste quindi un tempo e luogo per la musica? È una domanda volutamente provocatoria, scomoda: dal momento in cui si è constatata una grande disponibilità delle possibilità di ascolto musicale, com’è possibile dare all’esibizione dal vivo un tempo e un luogo specifico? Questo paradosso è facilmente spiegabile, in realtà, poiché ogni genere musicale ha delle convenzioni specifiche, dettate dal contesto in cui nasce e si sviluppa. Eppure questa affermazione non include un punto cruciale per la nostra riflessione: qual è la caratteristica che rende un modo di proporre musica più lecito, più autorevole? Qual è il motivo che spinge un musicista di conservatorio dovrebbe suonare Mozart in una via del centro?

Ancora una volta bisogna fare una distinzione fra musica come mercato e musica come espressione artistica: anche se queste due declinazioni musicali possono andare di pari passo, la chiave per poter meglio comprendere tale distinzione è il denaro. In altre parole, per guadagnare di più è necessario farsi conoscere e viceversa. Ne abbiamo già parlato riguardo al Festival di Sanremo: una delle consuetudini all’interno di tale sistema è la necessità di promuoversi, indipendentemente dalla situazione. D’altro canto, se tale realtà è ormai diventata il giusto compromesso dal lato dei musicisti, dal quello del pubblico vige sempre uno smarrimento di fondo. Quindi no, non c’è una differenza artistica fra buskers e orchestrali così come non esiste un tempo e un luogo specifico entro cui un’esibizione vale o non vale. Tuttavia, esiste un’ignoranza di fondo alla base: il luogo e le convenzioni sono di per loro sbagliate, frutto di una prassi consolidata e, talvolta, facilmente superabile. Il fulcro su cui si basa questo paradosso è il non riuscire a comprendere che l’unica differenza che sussiste fra buskers e concerti allo stadio non è la “forza” artistica delle canzoni ma i costi della logistica alla base di un evento. La stessa cosa vale per i “puristi” delle sale da concerto, che si indignano per il repertorio classico suonato in situazioni-limite (come, ad esempio, una Sinfonia alla fermata della metropolitana): in questo caso la forza artistica trascende il luogo, si mescola con la realtà, con la vita. Si dice che la musica è un qualcosa di intangibile, eppure in queste situazioni diventa tangibile, parte reale della vita quotidiana, non imposta dalla volontà umana ma dallo scorrere del tempo. La nostra capacità di ascoltatori, di “consumatori”, dovrebbe quindi elevarsi al di sopra di tali comparti stagni, di tali distinzioni. La musica dal vivo, purtroppo, è solo uno dei numerosi esempi dove è più facile poter osservare questo paradosso: i più attenti avranno già notato, all’inizio di questa riflessione, un parallelismo con altre pratiche di ascolto. La cosa importante è essere in grado, oggi più che mai, di riconoscere il valore artistico di qualcosa a prescindere dai luoghi in cui esso si svolge, poiché la vera rivoluzione musicale degli ultimi decenni non sta nella produzione artistica, ma nel delicato rapporto fra una produzione sempre più alta e mirata e disponibilità e facilità di consumo di questa.

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