Sono due le notizie che hanno lasciato di sasso il mondo della musica: la morte di Florian Schneider, musicista e fondatore dei Kraftwerk, e quella di Little Richard, avvenuta pochi giorni dopo, ci hanno fatto rendere conto in un solo istante di quanta strada è stata percorsa musicalmente in appena settant’anni. Nonostante siano state due persone artisticamente differenti, non si può non constatare che siano stati dei personaggi chiave all’interno dei relativi generi musicali: Little Richard ha contribuito a rivoluzionare il mondo del rock’n’roll allo stesso modo in cui Schneider negli anni Settanta ha esasperato il linguaggio musicale del cosiddetto “krautrock” fino alla nascita di un particolare modo di concepire la musica elettronica, il cui retaggio permane tutt’oggi. Questa settimana, vorrei quindi lasciare il giusto spazio a questi due giganti, che tanto ci hanno insegnato e che non dovremmo dimenticare.
Richard Payne Penniman era un personaggio stravagante: un ragazzo della Georgia, con una gamba più corta dell’altra, dai modi effeminati e di famiglia fortemente religiosa. È proprio attraverso la chiesa che si avvicina alla musica e comincia la sua gavetta da performer fino a quando, nel 1955, incide a New Orleans il brano “Tutti Frutti”. Non si torna più indietro: il brano diventa una hit che lo consacra alla storia. I motivi sono semplici: si tratta di un rhythm and blues travolgente, pregno della stessa energia dei gospel della musica nera e che, al contempo, strizza l’occhio a Elvis. Non solo: Little Richard alza di molto il volume, stravolge il ritmo shuffle (claudicante) del boogie-woogie trasformandolo nell’ormai canonico ritmo standard di qualsiasi brano rock, inverte le mani sul pianoforte, martellando ottavi con la mano destra sul registro acuto e lasciando alla mano sinistra i giri di basso. Insomma, dobbiamo molto a Little Richard musicalmente: senza di lui non avremmo avuto altrettante scintille come James Brown, Chuck Berry (che standardizzerà quello che nasce da “Tutti Frutti” e “Lucille” nella tipica forma del rock’n’roll), Ray Charles, Jerry Lee Lewis e la lista va avanti per chilometri. Oltre all’aspetto musicale, di Little Richard va ricordato anche il coraggio, l’aspetto sociale: siamo negli anni della segregazione razziale, dove i neri vengono costantemente “pesati”, messi a confronto con il mondo dei bianchi. Little Richard è stato uno degli artisti che riempiva i teatri mescolando le etnie, abbattendo con la sua musica le barriere xenofobe; era una persona che riusciva a creare hit di successo al pari dei bianchi (un aneddoto curioso riguardo “Tutti Frutti”: quando Elvis decise di incidere una sua versione, molti attribuirono il brano allo stesso Elvis). Little Richard è stato l’equivalente di un grande architetto, un visionario, colui che è riuscito a portare una sua interpretazione di un genere musicale che avrebbe segnato la storia della musica.
Lasciamo però l’America e trasferiamoci in Europa, all’incirca vent’anni dopo. La sperimentazione elettronica degli anni Quaranta e Cinquanta ha aperto la strada al mondo dei sintetizzatori e il rock comincia a trarre vantaggio da questi nuovi strumenti. Comincia l’epoca d’oro della musica progressive, da cui si diramano numerosi sottogeneri, come le derive astronomiche dei Tangerine Dream, la proto-new-wave dei Can, lo sperimentalismo dei Faust. Tutti questi gruppi si riconoscono non solo sotto una bandiera territoriale (quella dell’area tedesca), ma anche musicale: il Krautrock. Fra questi artisti, ci sono Ralf Hütter e Florian Schneider, due ex studenti del conservatorio di Düsseldorf, con il loro progetto: Kraftwerk. Se i primi dischi sono un’iterazione in chiave minimalista della scena kraut, dove persistono alcuni strumenti musicali non elettronici, come chitarra, basso, flauto, organo e violino, con “Ralf und Florian” (1973) e soprattutto con “Autobahn” (1974) si assiste all’ascesa di quella che oggi è chiamata musica techno. Schneider è da considerarsi pioniere dell’elettronica come la intendiamo oggi: ha contribuito al perfezionamento del sequencer, alla popolarizzazione dei live electronics, alla semplificazione delle pratiche di sound design, alla creazione di nuovi suoni e mezzi elettronici e così via. Senza di lui non avremmo avuto, banalmente, quei suoni elettronici che fanno tanto anni Ottanta, facendo sì che il linguaggio elettronico fosse esclusivo solo del mondo della musica colta. Florian, assieme al suo amico, è stato colui che ha preso le intenzioni colte di Karlheinz Stockhausen e le ha portate, semplificandole senza ridicolizzarle, a un pubblico vasto.
È normale: tutti, prima o poi, se ne vanno. Coloro che oggi scrivono le pagine della storia della musica, domani potrebbero lasciarci. Sta a noi non dimenticare quanto importanti sono stati per il nostro vivere. Little Richard e Florian Schneider, benché distanti musicalmente, territorialmente e generazionalmente, hanno avuto un impatto incisivo su quello che oggi diamo musicalmente per scontato e, come tali, non possiamo dimenticarli. È quindi, fra l’ascolto di “Here’s Little Richard” e “Radio Aktivität”, non ci resta che versare del vino in un calice e brindare alla loro salute. Grazie di tutto Richard e Florian.