“Il Liberty e la rivoluzione europea delle arti”, la mostra che dal 23 giugno 2017 al 7 gennaio di quest’anno ha visto esposte al pubblico nelle Scuderie e al Museo Storico del Castello, a rievocare il tempo della Belle Époque, oltre 200 opere, provenienti dal Museo delle Arti Decorative di Praga, ha permesso di conosce e apprezzare nel giusto modo l’ultimo degli stili universali che ha appassionato tutta l’Europa, tra il XIX e il XX secolo, e che nella stessa città di Trieste ha lasciato notevoli tracce del suo passaggio, tornando a rivivere tra manifesti, litografie, pitture, ceramiche, gioielli, mobili, tessuti e vari oggetti dell’epoca.
Il Liberty in Italia è noto anche come “stile floreale” o “arte nuova”, i nomi cambiano a seconda delle culture in cui si è manifestato, come anche il modo di esprimersi, alimentato da un forte desiderio di novità. In Inghilterra prende il nome di “Modern Style” (stile moderno), in Germania si diffonde come Jugenstil (stile giovane), in Spagna con l’appellativo di “Arte Jóven” (arte giovane), in Belgio poi si definisce anche “Stile Horta”, da uno dei più significativi esponenti, Victor Horta.
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Ne potrebbero essere ricordati altri ancora, la dizione “Art Nouveau” è quella che maggiormente si è diffusa per usare una definizione in termini più generali. In francese significa “arte nuova” ed esprime di fatto l’esigenza di una ricerca artistica, finalizzata a porre le basi per un’arte diversa e moderna, in linea con il progresso dei tempi e con le nuove aspettative dell’uomo. In campo artistico, la risposta dell’Europa al disagio del proprio tempo, stanca dello storicismo eclettico e del magniloquente accademismo. L’Art Nouveau si caratterizza per la sua internazionalità, perché negli stessi anni era attiva in Europa e negli Stati Uniti, in Russia e nelle capitali dell’America Latina, e si contraddistingue per la sua universalità perché coinvolge le arti minori e maggiori. Non si tratta di un’arte d’evasione, ma di un movimento riformista, che ha recuperato valori ideali e immaginari che l’eccessivo ottimismo positivista aveva sostanzialmente finito con il cancellare. Questo movimento si colloca stilisticamente tra gli anni ottanta del XIX secolo e i primi dieci del successivo e, contrariamente a come spesso viene descritto (un periodo ‘fin de siècle’), possiamo considerarlo come la conseguenza di un lungo e difficile processo di emancipazione. É proprio così che a Miramare si è voluto rappresentare il Liberty, rivelando lo straordinario vigore che lo caratterizza e che ha favorito lo sviluppo delle successive avanguardie novecentesche.
Grazie alla collaborazione con l’Umĕleckoprůmyslové Museum – UPM (Museo delle Arti decorative) di Praga, sono giunte a Trieste una selezione di opere eccezionali. Basti nominare artisti del calibro di Gustav Klimt, Alfons Mucha, Jan Preisler per dare l’idea di come il museo praghese abbia continuato a vivere tramite questa e altre mostre affascinandone i visitatori, dal momento che è rimasto chiuso per ristrutturazioni dal 2014. Istituito nel 1885 è tra i più importanti nel panorama internazionale, vanta oltre 200.000 opere e una biblioteca di 172.000 volumi.
Promossa dal Polo museale del Friuli Venezia Giulia, dal Museo storico e il parco del Castello di Miramare e dal Museo delle Arti Decorative di Praga, prodotta e organizzata da Civita Tre Venezie e Villaggio Globale International, la mostra è stata curata da Radim Vondráček, Iva Knobloch, Lucie Vlčková, con la direzione di Helena Koenigsmarková (Direttore dell’UPM di Praga) e della storica dell’arte Rossella Fabiani.
Il percorso espositivo si sviluppava principalmente alle Scuderie. Al Castello si potevano ammirare per lo più gli abiti indossati dalla buona borghesia. Ad introdurre i visitatori nella prima sala sono state scelte le parole di Gustav Klimt: “Anche l’oggetto più umile, quando sia perfettamente realizzato, aiuta a migliorare la bellezza di questo mondo”.
Citazione adatta anche a chiarire la scelta delle opere presentate in mostra, che sono state esibite per invogliare i visitatori ad immergersi nello spirito dell’epoca. Durante la visita ci si rende conto che in quel periodo nessun campo, non solo dell’arte ma anche e forse soprattutto del vivere quotidiano, non è stato immune al cambiamento. Quando l’Art Nouveau approda alla pittura e all’architettura, ha già maturato un solido retroscena culturale, fatto di forme e di colori che il grande pubblico ha già imparato a conoscere e apprezzare già nei piccoli oggetti di uso comune. Il rinnovamento del gusto parte proprio dalle arti applicate, che in quasi tutti gli altri periodi storici erano sempre rimaste in ombra.
Una riforma moderna dello stile di vita sociale che trova i suoi presupposti in particolare nel movimento britannico Arts and Crafts, nato con William Morris. L’industrializzazione del XIX secolo portò alla morte di molte attività artigiane, soffocate dalla spietata concorrenza delle industrie, che non si preoccupavano dello stato degli operai, molto spesso erano uomini (e in misura sempre più crescente anche donne) di campagna urbanizzatisi per necessità, che si massacravano di lavoro senza alcun riconoscimento. I salari erano appena sufficienti per mantenere la famiglia e l’attività che svolgevano era insoddisfacente, al contrario di quella dei contadini e degli artigiani, che per certi aspetti poteva essere gratificante. William Morris era convinto che fosse necessario restituire al lavoro operaio quel sentimento che era stato eliminato dall’introduzione delle macchine e della produzione in grande serie. Nel 1851, si era svolta a Londra la grande “Esposizioni dei prodotti industriali di tutte le nazioni”, prima nel suo genere e indicativa della situazione che si stava vivendo: acanto a pezzi costosi e altamente decorativi vi era una svilita produzione industriale di oggetti di uso comune che dimostrava le incongruenze della produzione in serie, legata al basso costo e priva di qualunque valenza estetica.
Secondo Morris il piacere creativo dell’artigiano si sarebbe dovuto abbinare al lavoro industriale, dando vita così ad oggetti non solo utili, ma anche belli. L’artista avrebbe aiutato gli operai, che sarebbero diventati anch’essi “creatori di opere d’arte.” Dopo aver dato vita alla ditta “Morris, Marshall, Faulkner & Co”, che produceva elementi per l’arredamento e la decorazione delle abitazioni, dove gli artisti con cui collaborava si definivano “operai d’arte”. Nel 1888 fondò la “Arts and Crafts Exhibition Society” che si prefiggeva lo scopo di produrre oggetti in serie, di buona qualità, di basso costo e di pregio artistico, che anche gli operai stessi e i meno abbienti avrebbero potuto acquistare.
La massificazione della produzione industriale, che interessava tutti i settori (dalla falegnameria alla vetreria, dalla ceramica alla siderurgia leggera, dalla tessitura alla grafica) aveva preferito la quantità alla qualità. E così, alla base dell’Art Nouveau, oltre al bisogno di definire un nuovo linguaggio per l’arte, vi era l’esigenza di dare una nuova dignità al prodotto industriale tenendo conto del loro valore sul mercato. Come conseguenza di un miglioramento del livello estetico dei prodotti entrano in gioco nuovi potenziali acquirenti, quelli della media e piccola borghesia.
Durante tutta la visita alle Scuderie di Miramare si poteva avere l’impressione di star curiosando nelle case e negli ambienti tipici dell’epoca, ammirando uno stile che influenzò non soltanto l’arte ma anche il modo di vivere delle persone comuni.
Ad accoglierci nella prima sala una litografia a colori su carta di Ferdinand Andri, “XXVI. Ausstellung Secession” del 1901, a fianco alcuni pezzi d’arredamento, in parte provenienti dagli interni della Camera di Commercio di Praga che erano stati presentati all’ Esposizione Internazionale di Parigi del 1900. L’arredo d’interni e il design del mobile in stile Art Nouveau teneva conto della personalità dei proprio cliente, che poteva essere sia di classe media che di ceto alto. Cercava di creare un’armonia tra tutti gli elementi della casa, in modo che si fondessero assieme con il fine di realizzare un opera d’arte in cui poter abitare. La struttura tipica degli oggetti veniva percepita come un tutto integrato internamente, come se si trattasse di un organismo vivente, un punto di vista contrario alla sensibilità corrente.
Lo studio del disegno industriale coinvolgeva svariati campi specializzati, dalla realizzazione dei mobili alla decorazione dei tessuti, agli accessori agli oggetti funzionali. All’interno di una teca, si potevano ammirare diversi elementi in vetro ed in porcellana, c’erano alcuni vasi, un bicchiere da champagne, una caraffa, un vassoio, dal design elegante, sinuoso e articolato. Lungo tutto il percorso espositivo era possibile osservare svariati tipi di oggetti per la tavola di diversi materiali, anche in metalli preziosi. In quanto a complessità, durante questo periodo la tavola da pranzo arriva forse al culmine della sua esperienza. La sequenza in cui venivano a susseguirsi le diverse portate doveva rispettare dei tempi prestabiliti e il pasto diveniva un evento sociale gestito da vere e proprie regole e da uno schema decorativo basilare, doveva essere un piacere anche per gli occhi.
Nella seconda sala, quello che rapiva lo sguardo, tra i servizi di posate da portata in acciaio inciso e dorato, era una piccola scatolina triangolare in argento parzialmente dorato. Si tratta della bomboniera progettata da Karel Ebner per un concorso indetto dall’ Umĕleckoprůmyslové Museum – UPM di Praga nel 1909. Su di essa vi è decorato un pesce, ricco di dettagli a rilievo, disegnato con andamento a curva centripeta, occupa tutto lo spazio del coperchio e dalla bocca gli escono delle bollicine di madreperla, corallo e turchese. Tutti elementi che dimostrano come l’Art Nouveau influenzò le forme degli oggetti, e di come il modo in cui sono stati plasmati e decorati, mirino a donare vitalità e dinamismo, con eleganza ed equilibrata asimmetria.
A circondare le teche, alla pereti erano appesi disegni, stampe, progetti grafici e di design per manifesti, riviste o gioielli con l’intenzione di avvicinare i visitatori ai temi e ai valori che gli artisti volevano comunicare e promuovere. Erano presenti alcune illustrazioni di Alfons Mucha, realizzate per il «Padre nostro», stampato da Ferdinand Champenois e pubblicato da Henri Piazza a Parigi. In tali opere mise in evidenza le sue idee teosofiche del cammino dell’uomo animato dal desiderio di liberarsi dalla catene del mondo materiale.
La società moderna a quel tempo appariva sofferente al progresso dettato dall’industria e dalla scienza, così gli artisti diedero spazio alla natura, alla spontaneità, alla dimensione spirituale e mistica della vita, all’individualità, alla soggettività, che duramente erano state messe alla prova. L’interesse e gli insegnamenti sulla teosofia godettero di grande popolarità e si diffusero largamente nei circoli artistici. Le scienze spirituali erano un campo esplorato dai maggiori esponenti di questo movimento, attratti dai fenomeni che l’analisi scientifica non era in grado di spiegare.
Prima di accedere al piano superiore è stata possibile ammirare una parte del dipinto decorativo per la sala principale del padiglione della Bosnia-Erzegovina all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Una delle più prestigiose commissioni ottenute da Mucha, “L’epoca Romana e l’arrivo degli schiavi”, un trionfo di linee curve e sinuose. Una tela realizzata con acquarello e colore stemperato di circa sette metri di larghezza e tre e mezzo di larghezza.
L’opera seguente era un paravento con pannelli ad arrazzo di lana tessuta a mano, di Rudolf Schlattauer, il più illustre esponente dell’arte tessile ceca. Realizzata nel 1910 circa, riproduce un campo di papaveri con un mulino a vento in lontananza. I suoi progetti prevedevano soprattutto motivi naturali e paesaggi stilizzati. Verso la fine della mostra era presente un’altra sua opera di notevoli dimensioni, un tappeto-arazzo, composto da macchie di colore contrastanti, a rappresentare sempre dei papaveri.
Alla pareti di nuovo Mucha, con una litografia a colori, “JOB” del 1896. Pubblicizzava una carta per sigarette di marca, la quale coincide con l’acronimo del nome del fabbricante (Joseph Bardou). Uno dei manifesti di maggior successo, fu molto usato in diverse varianti anche dopo il 1900. L’immagine della donna con lunghi capelli dorati è la stessa che Miramare ha scelto per pubblicizzare l’evento di questa esposizione, tra poster e brochure.
Seguivano altri manifesti, come quello che Gustav Klimt fece per la prima mostra del gruppo degli artisti della Secessione viennese del 1898, e che fece molto scalpore. Simboleggiava lo scontro tra la nuova arte e la tradizione, un conflitto che vedeva l’opposizione del “giovane” al “vecchio”. L’Art Nouveau enfatizzava il concetto di “vita” e le forze vitali della natura, creava opere d’arte seguendo un ritmo dinamico e il decorativismo inseguiva questa energia per dare movimento alle forme e plasmare i materiali. Queste considerazioni estetiche sono basilari per comprendere il Liberty e i suoi obiettivi, sono comuni a tutte le culture in cui progredì e sconfinano nel campo della filosofia.
Il manifesto illustrato si diffuse molto velocemente grazie alle innovazioni tecniche della stampa litografica. Il suo scopo era quello pubblicitario ma il suo aspetto visuale, che risultava più attraente del contenuto testuale, gli permise di entrare nella sfera artistica, guadagnando lo status di vera e propria forma d’arte. Queste illustrazioni si facevano promotori del culto della giovinezza e della bellezza fisica e si affiancavano così alla riforma socioculturale del momento che incitava ad uno stile di vita sano e naturale, che incoraggiava al vegetarianismo, all’alimentazione con prodotti naturali, alla cura personale, sia del corpo che della mentale, sosteneva l’attività fisica e lo sport.
Diversi erano gli abiti femminili esposti che rispecchiavano la moda del tempo, sia le donne di ceto alto che quelle di classe media seguivano un’etichetta e avevano un vestito adatto per ogni occasione, che si trattasse di restare in casa, fare una passeggiata, presentarsi all’ora del tè, di andare a teatro e tanto altro ancora. Vista la stabilità economica dell’Europa, le donne dei ceti più elevati potevano permettersi una vita agiata, lussuosa e socialmente attiva che le portava ad arricchire il loro guardaroba con abiti eclettici di vari tagli e tessuti. I sarti erano dei veri e propri artisti.
Tra i tanti spiccava un elegante abito da ballo con perle di vetro e una seta ricamata con motivi floreali, morbido e sinuoso, come le linee curvilinee dell’ornamentazione tipiche dello stile. Vicino ad esso, un abito da passeggio, altrettanto attraente con un merletto irlandese ad uncinetto, di seta bianca, con un nastro di raso. Entrambi esaltavano le sinuosità femminili ispirandosi alla natura, decorando i tessuti con linee curve, e raffigurandovi una rigogliosa vegetazione, densa e ricca di fiori e boccioli. Un tema comune quello della natura a tutte le culture in cui si manifestò questo movimento. Gli abiti sembrano farsi più leggeri e vitali, rispetto ai precedenti bustini rinforzati e alla gonne rigonfie. Il campo della moda è diventato decisamente importante in questa fase, una conseguenza delle nuove tecnologie di lavorazione dei tessuti, dei procedimenti di stampa a più colori e della possibilità di creare decorazioni sempre più complesse e delicate, sono stati realizzati abiti che prima erano impensabili con il telaio tradizionale.
C’erano anche diversi accessori, come delle scarpe, per occasioni più o meno eleganti, ma sempre raffinate e con materiali di qualità, accuratamente lavorati. Curioso ma al contempo elegante l’ombrello esibito in una teca, foderato di seta verde, con un asta di legno e un manico scolpito a testa di lepre.
Una parte consistente è stata dedicata alla lavorazione del vetro, portando ad esempio numerosi vasi dalle forme rotondeggianti e flessuose. Molti produttori in questo settore furono fortemente influenzati dalle opere di Émile Gallè, un noto design francese e botanico, convinto che anche le piante avessero un anima. Anche tanti altri artisti dimostravano una buona conoscenza scientifica del mondo naturale, un tema onnipresente per l’Art Nouveau. Particolarmente affasciante una delle ultime sale in cui erano esposti due mosaici eseguiti con pezzi di vetro piatto, entrambi attribuiti a Franz Hofstätter, che rappresentano dei giovani visi adornati da una vigorosa vegetazione fiorita. Sulla parete di fronte, due dipinti decorativi per gli interni della Camera di Commercio di Praga all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, eseguiti da Jan Preisler con una pittura ad olio su una tela notevolmente ampia. Vi sono rappresentati la giovinezza e la primavera, circondati da un’atmosfera poetica e malinconica, in armonia con il ciclo naturale della terra.
Un’altra zona dell’allestimento era stata riservata alla ceramica e alla porcellana, utilizzate per la realizzazione di vasi, servizi da tè e caffè, e ai metalli comuni, lavorati e ornati per dare vita ad oggetti come specchi, orologi e vassoi. Queste decorazioni risaltavano il passaggio da una iniziale fase naturalistica ad una stilizzazione floreale tipica dello stile. Aspetto visibile anche nell’incantevole selezione di gioielli, che vedono unite l’attenzione delle linee fluide con quelle più geometriche, con la conseguente creazione di monili dalle forme floreali e vegetali ma anche rigorosamente astratte.
L’allestimento scenografico di Pierluigi Celli, è riuscito a mostrare al pubblico il concetto di arte globale, coinvolgendo e alternando tutte queste opere che appartengono alle arti applicate, in cui lo stile artistico si fuse maggiormente per creare un nuovo ordine delle cose.
L’ultima grande manifestazione dell’Art Nouveau europea si ebbe all’Esposizione Internazionale di Torino nel 1902. Questa nuvola d’oro, illusoria ed evanescente, venne spazzata via dalla catastrofe della Prima Guerra Mondiale.
La mostra si era prefissata di rappresentare un collegamento teorico tra Trieste e il suo patrimonio Liberty, per scoprire e riflettere sui componenti e i numerosi aspetti di questo stile nei tanti edifici storici, che sono una testimonianza della sua diffusione nel tessuto cittadino. Per chi si fosse perso questo evento, ad esso è annesso un catalogo riccamente illustrato, edito da Marsilio.
Lucia Ganis © centoParole Magazine – riproduzione riservata