Lettere a Theo: Vincent Van Gogh

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Considerato un pazzo, da sempre. Vincent Van Gogh ha camminato tutta la vita incespicando tra arte e sopravvivenza. Un personaggio oscuro che in tutta la sua carriera ha venduto soltanto un’opera, diventando famoso solo all’ora della sua morte. Ma chi era veramente Van Gogh? Era lui il pittore dei girasoli, della stanza da letto – la sua –  della Notte stellata e di tutte le altre tele conosciute da chiunque, ormai?

O era, piuttosto, l’inquietudine, un male di vivere? Si estraniò dal mondo dell’arte chiudendosi nel suo, cristallizzando le sue pene dentro ogni sua tela, nel disperato tentativo di esorcizzare una sofferenza che si era già carnificata, facendosi pittura.

cielo

Negli anni, infatti, diverse sono state le testimonianze lasciate da studiosi e non per riuscire a categorizzare l’iniziatore dell’Espressionismo, così come venne definito.

Gli venne attribuita la nomina di “pazzo incompreso”, quando probabilmente il suo estro nasceva proprio da quella pazzia che personalmente definirei follia artistica di un genio incompreso, dove pazza era soltanto la banalità da cui si vedeva circondare.

La corsa alle tele, al poter racimolare due soldi per comprare nuovi colori, il bisogno estremo di amare ed essere amato, non è stato letto nei suoi dipinti. È stato necessario scoprire le lettere che Vincent Van Gogh scrisse a sua fratello Theo per dare una credibilità alla suo vissuto, smettendo di definirlo “un pazzo”. Oltre a dipingere il suo strazio, Van Gogh ha saputo trascriverlo, quasi in un tentativo di testimoniare la sua disperazione a chi probabilmente, negli anni, non l’avrebbe capita dai suoi quadri.

 van gogh carta scritta

Le Lettere a Theo sono un racconto dettagliato delle opere di Van Gogh e della loro evoluzione: il pittore non descrive il quadro dalla nascita dell’idea fino al compimento della stessa, ma narra l’intreccio tra la tela bianca e la sua disperazione. Non esisteva un’idea madre da cui attingere ispirazione: l’idea c’era sempre, era perennemente presente. L’idea era la sofferenza, l’incapacità di inserirsi in una società che, secondo i suoi spostamenti, credeva di poter cambiare cercandone delle altre. Era la certezza di non farcela mai, di non essere abbastanza. Era la solitudine straziante che nasce dall’estraniamento.

 

Era uno spostarsi continuamente per trovare un posto nel mondo.

 

Theo era diventato il responsabile di una famosa galleria parigina dove avrebbe potuto cercare di vendere le opere di suo fratello Vincent. Ma non lo fece mai. La sola possibilità che le opere di suo fratello non potessero venir capite dai critici, fino a subire un rifiuto, sarebbe stato pregiudicante per tutte le sue successive creazioni. Il colpo di grazia di una società che non lo accettava.

Tale gesto si dimostrò salvifico per Van Gogh, permettendogli altri anni di tele e di schizzi, perfetti per una carriera che non si rivelò mai, fino a verificarsi gesto deleterio, l’inizio del suo delirio mentale che squartò la speranza del pittore di poter in qualche modo riuscire a vivere come gli altri.

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Continuò a rifugiarsi in suo fratello e nelle loro lettere, raccontandogli i dettagli del suo vivere, del suo sentire. La testimonianza dell’amore fraterno, da parte di Van Gogh, avvenne attraverso la stesura delle lettere e non nella creazione delle sue opere, in un gesto quindi più razionale che lo obbligava a scavare l’emozione per tradurla in linguaggio. E quando anche la parola si esaurì nell’espressione, Van Gogh tentò il suicidio puntandosi il fucile in mezzo al petto, al centro del cuore. Rimase due giorni nel suo letto fumando tranquillamente la pipa e parlando con suo fratello Theo, aspettando serenamente la morte come unico accesso possibile per il termine della sua sofferenza.

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E nel suo lunghissimo dialogo con Theo, dice: “Non sono stata bravo neanche ad uccidermi..”

 

 

Francesca Schillaci © centoParole Magazine – riproduzione riservata

 

1 commento su “Lettere a Theo: Vincent Van Gogh”

  1. E’ strano come in tanti artisti la disperazione, l’isolamento porti gli stessi dapprima ad una forma di chiusura e poi alla pazzia o follia che dir si voglia, che finiscono per essere stimolo creativo e realizzativo importante per le loro opere. Forse l’artista ha bisogno di essere solo, isolato, incompreso, quasi queste cose gli dessero più spinta nel dipingere, nel poetare, nel comporre, od altro. Un artista pare quasi debba non sentirsi mai soddisfatto di quello che fa, di se stesso, anche esistenzialmente parlando, cercando sempre un’ulteriore affermazione, una conferma, della sua arte, delle proprie possibilità.
    Tutto il dramma interiore di Van Gogh l’abbiamo appreso dall’epistolario avuto col fratello Theo, quasi una confessione, uno sfogo del suo animo così tormentato.

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