Savino Zaba, conduttore, attore, cantante, doppiatore, sabato 3 dicembre, alla Sala Tripcovich di Trieste, in occasione della 6.a edizione di Cuffie d’Oro, ha ricevuto il Premio Lelio Luttazzi Award, che gli è stato consegnato da Rossana Luttazzi, moglie del Maestro. Zaba ha regalato al pubblico la canzone “Canto anche se sono stonato”, ricordando così Lelio Luttazzi.
CentoParole Magazine ha avuto il piacere di intervistare per voi Savino Zaba.
Quali sono i suoi primi ricordi giovanili legati alla radio?
Ho iniziato a fare radio a quindici anni. L’ho fatto in mondo goliardico e inusuale, partecipando ad un quiz radiofonico. I conduttori ascoltarono la mia voce e uno di loro mi disse che con la mia voce – avevo già il vocione – avrei potuto fare radio. Ho partecipato ad un provino e così ho incominciato. Era il 1987. Il 24 giugno del 2017 festeggerò i miei primi trent’anni di radio.
Dalla piccola radio locale pugliese di Cerignola, in provincia di Foggia, sono passato alle radio più importanti: Radionorba, RDS (Radio Dimensione Suono), Radio Capital, m2o, RTL 102.5 e da tredici anni sono a Rai Radio 2.
Di quegli anni, conservo dei ricordi meravigliosi, anche un po’ romantici, poetici: portavo da casa i dischi; la musica la sceglievo io. Facevo un programma che si chiamava “New revelation” alle 18.30 del pomeriggio. Si parlava con gli ascoltatori al telefono; non esisteva internet, quindi l’unico modo per comunicare era attraverso il microfono, la voce e la radio. Se qualcuno voleva incontrarti, doveva aspettarti fuori dalla radio.
Com’era la radio di una volta, fatta in una piccola città, quando non c’erano ancora tutti i mezzi di oggi?
Imitavamo i grandi network, le grandi radio, cercando di fare radio in maniera professionale. Non c’era tutta la tecnologia che c’è oggi; era una radio “analogica”, c’erano i dischi, ma soprattutto si toccavano: oggi esistono dei programmi, dei computer, per cui i dischi sono inseriti dentro in forma digitale. Una volta c’era un contatto, un rapporto diverso. Era una radio un po’ pionieristica. Nonostante tutti i cambiamenti e le migliorie, la radio non ha perso il suo fascino e rimane ancora un mezzo con cui si può sperimentare e ci si può divertire. Oggi i personaggi della radio sono anche pubblici, vanno in televisione.
Secondo lei, nel tempo, il pubblico della radio è cambiato?
Per fortuna sono sempre più gli italiani che ogni giorno accendono la radio. La radio, rispetto alla televisione, la ascolti ovunque, la porti al parco, al mare, in macchina, dove vuoi. Negli anni si è professionalizzata; senza perdere il suo fascino, ha abbracciato tutte le migliorie della tecnologia. Il pubblico della radio aumenta sempre di più – sono in molti che si stanno allontanando dalla televisione. La radio ti dà ancora la facoltà di fantasticare.
Cosa ne pensa della comunicazione mediante internet e i social network?
L’avvento di internet e dei social permette a tutti di affacciarsi nell’agorà, nella piazza, e quindi di esprimere un pensiero. È bello ed è giusto che tutti possano esprimersi, che tutti possano avere un ruolo nella comunicazione. Si leggono meno giornali, perché si legge molto più su internet; anche se io le notizie – quelle veloci, fruibili – le apprendo su internet, non rinuncio alla carta stampata, al giornale. Ci sono ancora delle cose non intaccate dall’avvento della tecnologia, da internet e dai social. I social ti permettono di comunicare in maniera veloce e di arrivare ad un personaggio, o se non altro ti danno la sensazione che tu possa comunicare con tutti, ma in realtà dietro ci sono gli uffici stampa, gli addetti ai lavori di un artista. Io non sono schiavo dei social, di internet: sono uno che si serve di quello che serve.
Parlando di televisione: rispetto a quella di un tempo, più distaccata e professionale, oggi, a volte, c’è forse un rapporto un po’ troppo “familiare” tra chi la fa, con il rischio che lo spettatore non si senta tanto partecipe…
Credo che il fatto di ritrovarsi in un salotto, a dialogare e a conversare in maniera familiare, sia anche un modo per fare entrare il pubblico, se non nella discussione, nella conversazione; tutto con un occhio esterno. Trovo che sia il modo migliore per fare entrare lo spettatore in una conversazione, altrimenti sarebbe veramente tutto molto distaccato.
Però forse un po’ di distacco non guasta, basti pensare a trasmissioni come Studio Uno che funzionavano perfettamente…
Studio Uno degli anni ’60? Era fantastico! Bisogna però ammettere che siamo riusciti ad abbattere alcune barriere, delle formalità; poi esistono salotti in cui è giusto che venga rispettato il canone dell’educazione, del rispetto, della distanza. Sono dell’idea che, se si può, è meglio rendere molto più fluido e fruibile il discorso, la chiacchierata.
Com’è stato partecipare a Tale e Quale Show?
Tale Quale è stata una delle esperienze professionali più divertenti, più belle che abbia mai fatto, perché mi ha dato la possibilità – a me che non sono proprio un cantante professionista; anche se faccio televisione, radio, teatro, mi sento soprattutto un conduttore – di salire su un palcoscenico importante come quello della prima serata di Rai Uno, in uno dei programmi, secondo me, meglio riusciti: è un varietà a tutti gli effetti. Mi sono divertito perché forse non tutti sapevano che mi piace cantare e imitare. Le imitazioni le facevo già a scuola. Ringrazio Carlo Conti che mi ha dato la possibilità di partecipare e di vivere un’esperienza di tre mesi intensi, ma divertenti, nei quali ho fatto canto, recitazione, imitazione, trucco e parrucco.
Il personaggio più difficile che ha dovuto fare?
Luis Miguel, perché sono tornato indietro di trent’anni: lui all’epoca aveva quindici anni. Ma anche Iglesias, perché canta in spagnolo. Invece, i personaggi che mi sono piaciuti molto sono stati Vasco Rossi, Rino Gaetano e Barbarossa.
Quando si è invece avvicinato al teatro?
Lo faccio dal 1991. Ho cominciato facendo la radio, poi, parallelamente, il teatro, i villaggi, l’animazione turistica. Il teatro, così come la radio, c’è sempre stato.
C’era qualcuno in famiglia che aveva qualche passione artistica?
No, nessuno. Sono uno di quei casi in cui in famiglia, anche risalendo indietro di qualche generazione, non c’è veramente nessuno che abbia avuto una passione o un’operatività in ambito artistico.
Lei sta portando in giro lo spettacolo “Canto anche se sono stonato”, dedicato a Lelio Luttazzi. Parlando di Luttazzi, mi viene in mente il film “Gambe d’oro”, da lui musicato, che vede protagonista la squadra di calcio di Cerignola, città dove lei è nato…
Certo, come no. Mio padre era uno dei figuranti. È un film con Totò, ambientato a Cerignola. Grazie ad un attore di Cerignola, Rosario Borelli, che nel film è uno degli attori protagonisti – fa il calciatore – si riuscì a portate Mario Carotenuto e il film proprio a Cerignola. Io allora non c’ero, ma mi hanno raccontato che c’è stata una grande mobilitazione per settimane e settimane. A Lelio Luttazzi ho dedicato lo spettacolo di teatro-canzone “Canto anche se sono stonato”, in cui ripercorro quarant’anni della nostra storia dagli anni ’20 agli anni ’60, dove Lelio ha un ruolo importante. Ho sempre amato e apprezzato gli artisti poliedrici, come lui.
È con “Canto anche se sono stonato” che si è avvicinato alla Fondazione Lelio Luttazzi?
Esattamente, grazie allo spettacolo ho conosciuto Rossana Luttazzi e la Fondazione. Sapevo che esisteva questa Fondazione, che manteneva il ricordo di un artista straordinario, completo, poliedrico, come Lelio. Ho chiamato subito Rossana per chiederle l’egida sul mio spettacolo. Lei è venuta a vederlo e poi abbiamo iniziato a sentirci. Adesso il mio spettacolo gira per l’Italia con il logo della Fondazione, e cerchiamo di dare voce al lavoro della Fondazione e alla figura di Lelio.
Ricorda la Hit Parade di Lelio Luttazzi?
Sì. Negli anni ’90 ho condotto anch’io la Hit Parade.
Ha avuto modo di seguire l’attività di Lelio Luttazzi?
Sì, la seconda parte, perché Lelio ha avuto un lungo stop forzato, a partire dagli anni ’70, quando sono nato io. Per fortuna è ritornato in auge negli ultimissimi anni ed è lì che mi sono incuriosito alla sua vicenda personale, ma anche al suo lavoro e al fatto di riuscire a fare bene tutto quello che faceva: da compositore, a musicista, a regista, a cantante, a conduttore. È la figura artistica che ho sempre sognato e adorato, come quella di Walter Chiari o quella di Fiorello: degli artisti capaci di muoversi in più ambiti.
C’è qualcosa dell’Italia passata che l’ha colpita?
In “Canto anche se sono stonato” mi diverto a ripercorrere la storia del nostro Paese attraverso la musica. C’è un periodo storico, secondo me fondamentale, che non ho vissuto: il boom economico, il rilancio dell’Italia che dalle macerie della guerra è riuscita a tirare fuori quell’energia – grazie anche agli aiuti del Piano Marshall, agli americani – quella forza, quella grinta che l’hanno portata a diventare negli anni ’60 una delle prime potenze al mondo. Apprezzo molto il fatto di essere riusciti a rialzarsi dalle macerie, dalle nebbie, dalle nefandezze della guerra. Certo, è un periodo che non ho vissuto, ma che posso soltanto raccontare nel mio spettacolo.
Che emozione ha provato quando ha ricevuto il Premio Lelio Luttazzi Award per la trasmissione radiofonica “A qualcuno piace cult”, in occasione delle Cuffie d’Oro?
È stato bello, perché pensavo a Lelio, al fatto di essere nella sua città e di ricevere un premio importante, che in qualche modo è anche un tributo a questi miei primi trent’anni di radio. Trovo che ci siano delle comunanze tra quello che faceva Lelio e quello che umilmente, in punta di piedi, faccio io. Quindi la soddisfazione è doppia: la radio e Lelio. Sono molto felice.
Secondo lei, oggi che forza ha la radio?
Ha ancora molto da dire, più della televisione.
Cosa ne pensa di Trieste?
Bella, mi ha incantato! È la prima volta che ci vengo; sono stato anche al Castello di Miramare. Ho visto una città molto bella, pulita, organizzata, architettonicamente affascinante; ho trovato anche molta gentilezza. Evviva Trieste!
Per i suoi trent’anni di radio Savino Zaba sta preparando una sorpresa che non vogliamo svelarvi.
Ringrazio Savino Zaba per la sua disponibilità.
Foto di Nadia Pastorcich