La professione di fotografo: Roberto Pastrovicchio

[di Roberto Srelz] Roberto Pastrovicchio. Nato a Trieste, nel 1975. Ciao Roberto. Un Peccato di Gola per te?

Questo. Eccolo il peccato di Gola. Il panino di vetri. Ho fatto una cartolina ispirandomi al detto triestino: ‘meio che un panin de vetri’. La Gola è il peccato perfetto per questa fotografia; ingozzarsi di cose, senza capirne il senso, in qualsiasi campo. In parte è anche positivo, perché vuol dire che non sei mai sazio, che stai sempre cercando qualcosa in più. E all’inizio, nella fotografia, sei più peccatore e più goloso che dopo, sicuramente. E poi adesso sto lavorando proprio sul Food …

Catalogo prodotti Food! Peccato. Speravamo di entrare nel mezzo di una session con modelli.

Eh non è il periodo giusto.

Lavori completamente su Mac?

Si tutto su Mac. Tempo addietro lavoravo su pc, ovviamente per motivi di costo, naturalmente. E anche perché nel primo studio in cui ho lavorato si era completamente su piattaforma Pc. Ho imparato tutto su Pc e poi, vedendo i Mac in giro, gradualmente mi sono spostato … per non tornare indietro.

Secondo te vale la pena? Come costo è indubbiamente superiore. 

Si, assolutamente! Costo decisamente superiore ma devi paragonarlo a un Pc di fascia molto alta. In quella fascia, più o meno, ora, i prezzi si equivalgono. Però alcuni software di cui io avevo bisogno giravano solo su Mac, in quel momento – ancora adesso alcuni girano solo su Mac. Negli ultimi due anni ci sono stati alcune conversioni e ora girano anche su Pc, ma è una cosa recente. Dorsi digitali, medio formato: fotografia professionale. Su quelle cose il Mac era, ed è, inimitabile.

Con che software lavori?

Photoshop ovviamente. Capture One per l’acquisizione delle immagini.

Analogo a Lightroom.

Analogo a Lightroom, anche se ‘C1’ non ha la gestione del catalogo, ma è molto più potente dal punto di vista dell’acquisizione istantanea dell’immagine via cavo. Lavoro sempre con la macchina attaccata al computer, da tanto ormai.

 

Con la macchina sempre attaccata via cavo per un motivo?

Sempre attaccata via cavo al computer per vari motivi. Primo per sicurezza mia – tranquillità nel sapere che l’illuminazione sia a posto, niente di bruciato nelle alte luci, queste cose qui. Secondo perché lavoro quasi sempre con il cliente vicino: agenzie pubblicitarie, committenti finali. Bisogna essere insieme per fare certi scatti, è difficile capire subito la soddisfazione del cliente altrimenti.

Non sei mai da solo quindi.

Ma, dipende. Un catalogo Food come quello al quale sto lavorando lo posso fare da solo, poi via email in contatto con l’agenzia e via dicendo.

Hai calibrato la stampante?

… guarda ho appena preso il calibratore per la stampante, in arrivo da eBay. No, scherzi a parte, devo ancora farlo visto che la stampante l’ho acquistata da poco. Chi fa fotografia deve prestare attenzione, anche se c’è un po’ di pigrizia oltre al monitor va fatto anche quello, anche la stampante. Ho avuto la fortuna di iniziare con uno studio che lavorava ancora quasi completamente in pellicola: io lavoravo già con il digitale e li ho portati un po’ io verso di esso, ‘bisogna prendere il calibratore’, ‘bisogna prendere questo e quello’ … e ho visto le differenze. Quindi sono pienamente consapevole. Le foto, poi, arrivavano in agenzia giuste, ed è importantissimo. Se no: ‘Giallo! Ma scusa, hai calibrato?’ – ‘No…’ , e allora …

Per te il ‘giusto’ che cosa significa? Vedo che tutto è estremamente ordinato, preciso nel tuo studio …

Guarda, esistono due ‘giusti’, ovviamente: ‘giusto giusto’ da tabella – tecnica, perfezione matematica – e ‘giusto interpretato’ che deve comunque avere tonalità e alte luci e ombre rientranti in certi valori limite numerici, stabiliti, che ti confermano la bontà dell’immagine. Non bisogna tentare di essere solo coloristi, bisogna dare anche un’interpretazione perché altrimenti la foto perde di senso. In una foto da catalogo è più facile – luci fisse, ombre sotto controllo, tutto già calibrato in partenza e molto scientifico. Reportage no, naturalmente, in strada è completamente diverso. Esiste comunque una buona possibilità di riuscire a definire un flusso di lavoro molto ben calibrato pur mantenendo creatività. Purtroppo tante persone non hanno idea di che cosa sia il colore, di che cosa sia la post-produzione … secondo me la teoria del colore devi studiartela. A scuola non c’è, è difficile … pochissimo negli istituti tecnici, niente in quelli scientifici. Qualcosa in fisica all’università, ma poco. Sono tutte nozioni che devi acquisire autonomamente, ancor di più quando scopri la passione per la fotografia. La grande fortuna di adesso è avere Internet. Trovando i riferimenti giusti, puoi studiare qualsiasi cosa, in poco tempo.

Questo passaggio dall’analogico al digitale, che io ho avuto la fortuna di fare, manca a gran parte degli appassionati che cominciano adesso. Nell’analogico avevi già le basi: l’istogramma esisteva in versione analogica, guardavi i neri, i grigi e i toni medi e li capivi. Ora parti dal digitale, ti appare l’istogramma sul display della macchina e dici: ‘Accidenti, un grafico! E adesso?’

Fai tu la post-produzione? 

È molto variabile. Dipende dal cliente. Normalmente la calibrazione del colore e la post-produzione di base viene fatta in studio. Poi capita ad esempio che vi siano passaggi ulteriori di montaggio nei layout e in questo caso compete all’agenzia.

 

In che anno hai iniziato? 

Ho cominciato a lavorare da solo nel 2005, con partita IVA. Prima, dal 2000 al 2003 ho lavorato per uno studio cittadino, ‘Visual Art’. Facevo fotografia di scena al teatro lirico ‘Verdi’, ogni tanto foto di prosa al teatro ‘Rossetti’. Poi ho collaborato con lo studio ‘Giotto Enterprise’ fino al 2005. Io ho studiato geologia, qualcosa di completamente diverso quindi; mi piaceva ma a un certo punto ho capito che mi mancava una parte creativa nella vita. Ho sempre disegnato, dipinto, mi piaceva – dopo l’avevo nascosta, però, l’arte, studiando scienze ti veniva naturale nascondere un po’ queste cose.

Tantissimi informatici e ingegneri nella fotografia, ultimamente.

Informatici sicuramente. A causa del digitale, penso. È un po’ una passione anche lo smanettare sul computer con la foto, quindi sicuramente. Ingegneri non ne conosco tanti. Conosco tantissime persone che hanno fatto cose tecniche, scientifiche e nelle quali è esploso poi il desiderio di creatività. Molti. Credo ti venga il bisogno di fare qualcosa di diverso, quando sei costretto alla razionalità.

Bello fare foto di scena in teatro.

Molto bello, si. Con ‘Visual Art’ ho lavorato molto; avevo poi seguito il passaggio alla parte digitale. Però lo studio si occupa spesso anche di servizi per matrimoni, foto di attualità, attività che non mi attiravano piu’ di tanto, non mi piacevano. Servizi per matrimoni non ne faccio mai.

I fotografi matrimonialisti sono molto richiesti.

Ah certo, è un settore molto importante e redditizio, ma non fa per me, non mi piace. Devi sentire quello che ti piace, in una professione come questa. Per questo avevo fatto un portfolio in casa – Still Life di bicchieri, bottiglie … per presentarmi a ‘Giotto’, qui a Trieste, sapevo che erano interessati allo ‘Still Life e alla fotografia pubblicitaria’. Con loro ho lavorato in studio e in location, per esempio girando l’Italia fotografando interni di bar Illy, e nel tempo ho capito che queste specialità erano molto interessanti. Poi ho fatto il salto, partita IVA e studio mio. Primo studio: venti metri quadri. Grande come questa stanza, questa in cui stiamo parlando: una lotta, sono riuscito a fotografarci frigoriferi enormi, scattando quattro immagini diverse e poi rimontate assieme in Photoshop. Ho incominciato a lavorare con le agenzie pubblicitarie, e a capire che la pubblicità era una cosa molto interessante proprio perché un giorno fotografi una bottiglia, il giorno dopo una persona, il giorno dopo ancora qualcosa in esterno, una casa … unisci quindi moltissime tipologie di lavori fotografici assieme.

E dal punto di vista economico, c’è soddisfazione a lavorare in pubblicità?

Mah, qui a Trieste non particolarmente. Qui devi saper fare tutto, l’eccessiva specializzazione non è proficua. Ho lavorato per aziende vinicole, di Food come Illy, Principe; Limoni, Generali … nei più svariati campi. Per me la cosa più bella sarebbe poter lavorare solo nel pubblicitario, ma nel nostro contesto non mi è sempre possibile.

I soggetti tu li ricevi, o contribuisci a crearli? 

Quando lavoro con le agenzie, li ricevo. Molto spesso. Alcune volte ho creato tutto io, ad esempio per alcuni dei cataloghi che vedi qui – ho preparato un layout, l’ho confrontato con il cliente e una volta approvato ho realizzato lo scatto. Di norma, però, le agenzie ti dicono esattamente cosa fare. In alcuni casi ti capita anche che ti venga data carta bianca, comunque: ‘Non so, non ho tempo, ho solo l’idea generale – fai tu’. Hanno fiducia. E’ un rapporto che cresce nel tempo e al quale contribuisci. Naturalmente, hai bisogno di linee guida dell’agenzia pubblicitaria. E’ una specie di grande puzzle: lavori insieme, componi. La modella fotografata in studio, il cagnolino trovato su iStock, un pezzo d’asfalto della zona industriale e la borsa fotografata in studio, come still life. E metti assieme.

E ti capita di acquistare foto su iStock e utilizzarle per le tue composizioni? 

No. Ma l’agenzia lo fa, hanno tempi stretti e budget ridotti, è necessario.

E su iStock e servizi simili su Internet, hai provato a vendere le tue foto?

Su iStock ho provato. Non riuscivo a starci dietro, però, come quantità d’immagini da produrre e inviare. Per avere un riscontro economico devi dedicarti solo a quell’attività e inoltre le immagini sono spesso molto poco creative. Io lavoro molto con un’agenzia inglese, ‘Arcangel Images’: vendono immagini per il mercato editoriale librario. È molto più interessante, hai le copertine, i manifesti. Finora ho contribuito con circa tremila immagini, realizzate nell’arco di tre anni. È molto più creativo, c’è una quantità d’immagini molto più bassa rispetto ad iStock. È bello, e vende. Sto valutando anche altre due agenzie, adesso. È utile. L’agenzia inglese paga subito il tuo lavoro – una cosa a cui noi non siamo abituati. E ti rispondono subito: con alcune realtà che si trovavano magari a pochi chilometri di macchina mi capitava di aspettare due giorni per avere una risposta via email. Gli inglesi ti rispondono in dieci minuti. Forse perché saranno in quattrocento dipendenti anziché in quattro; non credo, comunque. È un modo di essere, di rapportarsi al cliente e al fornitore.

Hai un archivio tuo? Di quante immagini?

Accidenti. Penso di non averle mai contate, per dire la verità. Cinque Terabyte d’immagini, credo.

Tutto digitale! Si sente anche dal modo in cui mi rispondi, ‘Cinque Terabyte’ … 

Tutto digitale, si. Negli ultimi anni, ho notato di avere meno immagini ma più pesanti. È il percorso digitale, e professionale, penso. Anche tecnologico. È la passione comunque che all’inizio ti spinge a fotografare tutto – tutto sembra interessante, sembra una prova. Dopo, pian piano, inizi ad avere fotocamere che creano file più pesanti, e lavori più lentamente, perché hai bisogno di qualcosa in più per essere soddisfatto. Riesci a fare quelle cinque foto che per quel soggetto ti vanno bene, ti lasciano soddisfatto; quelle cinque foto pesano come centocinquanta di quelle precedenti … e va bene, e vai avanti.

Non sei terrorizzato dall’idea di poterle perdere? 

Eh. Copie, su copie, su copie … come tutti. Copie su copie su copie da tutte le parti.

Sei affezionato a un tipo di fotocamera, di attrezzatura o di marca?

Ho provato veramente di tutto. Se dovessi dirtene qualcuna, sono affezionato a Contax. 6×4.5, con dorso digitale. Una fotocamera veramente spettacolare. Adesso mi trovo bene con Phase One e Mamiya. Mi trovo molto bene anche con le fotocamere di una volta, la Mamiya RZ ad esempio. Eccezionale. Per un servizio, una riproduzione fac simile di un libro antico, sono andato a Mosca, e ho lavorato solo con questa Mamiya enorme e con dorso digitale … sono quelle macchine fotografiche eterne, fantastiche, scattano, scattano, scattano. Non c’è firmware, non devi aggiornare niente, devi solo mettere su il dorso e scattare. Cascano per terra, continuano a scattare. Tra 10 anni la RZ funzionerà ancora bene; la Canon digitale da 2000 Euro, invece?

Solo medio formato.

No, non solo, ma quando posso  preferisco il medio formato. Di base l’immagine di una medio formato è molto più nitida, non c’è il filtro antialias sul sensore… ma questo è un aspetto non fondamentale: con il medio formato digitale riesci a gestire al meglio le alte luci e la gamma tonale. Il file è, come dire… “grasso”. Molto più di quello di una Canon o di una Nikon. Hai molte più possibilità dal punto di vista della ricchezza d’informazioni e la grana dell’immagine è meno “digitale”. Quando stampi da una medio formato ti viene quasi da dire: ‘Però. Sembra una foto fatta con pellicola buona’. D’altra parte … più informazioni hai, più riesci a far emergere veramente quello che vuoi.

È un altro mondo. Anche economicamente. 

Certo. Non sono due cose paragonabili. Un dorso digitale nuovo può costare dai cinquemila Euro in su a cui poi devi aggiungere corpo macchina e obiettivi. Poi c’è il mercato dell’usato e del refurbished – ricondizionato, puoi trovarci di tutto, ma per quanto riguarda il nuovo siamo su quelle cifre.  È un livello diverso, anche per quanto riguarda il modo di lavorare. Se ad esempio scatti con una modella che non ha una pelle perfetta, il medio formato non perdona – ti capita già con la Full Frame, sicuramente, ma quando sei in medio formato devi poi lavorare di più in postproduzione e tutto ha un costo più alto. Poi, naturalmente, dipende tutto dal tipo di lavoro che devi fare, alcuni lavori li fai con il medio formato, altri no, anche perché magari il cliente può non essere interessato o non capire la differenza e non ti paga le ore di fotoritocco.

Ne risente tanto, il tuo mercato, della crisi?

Ah, qui si. Tantissimo. Ma non solo qui, sai; in Italia in generale, in tutto il paese e il mercato italiano. C’è un problema di fondo a mio avviso nella cultura dell’immagine, in Italia … è molto un ‘mordi e fuggi’, un accontentarsi di tutto e ingurgitare migliaia di immagini senza fermarsi a pensare un attimo, a guardarle bene. Si sposa bene col tema della gola di questo vostro mese, dai … ingurgiti, ingurgiti e alla fine il gusto non lo senti. Nella percezione attuale che abbiamo dell’immagine, questo ci sta perfettamente. È il momento di Facebook, il momento in cui guardi la bacheca in un lampo – zzt – senza capire che cosa stai vedendo. Veloce veloce veloce – ‘ho visto quattromila e duecento post!’ – ‘aspetta, ne hai letto almeno uno?’ – ‘no!’ … resto sempre sconvolto da come le persone guardano le immagini. Sfoglio un giornale, vedo una foto orrenda, mi fermo: la guardo di nuovo e dico a mia moglie: ‘Guarda questa cosa! È tremenda’, e lei mi risponde: ‘Si, è vero. Però … se non me l’avessi detto tu, non me ne sarei accorta’.

Assuefazione all’immagine. Negli Stati Uniti, hanno approvato l’uso dei drone pubblicitari. Sai quelli che piloti con l’iPhone, e anche cose molto più sofisticate … 

Non ci posso credere. È folle. Siamo già esposti in qualsiasi modo … devo dirti: è bellissimo essere fotografi di professione adesso, perché il modo di porsi, gli strumenti che abbiamo, con i quali possiamo creare quello che vogliamo, sono fantastici. Mai stati così belli. Mille modi. Ecco … questo forse è anche l’altro lato del tutto. Mille modi, da un lato e dall’altro, come Photoshop. In tantissimi mi dicono, Photoshop è difficile da imparare. Io rispondo: ‘No’. Non è difficile ma complesso. Il problema è che hai mille strade per arrivare allo stesso punto. Cento modi per ottenere lo stesso risultato.

 

Photoshop. E’ una delle domande che faccio sempre. E’ lecito, secondo te, utilizzare Photoshop per ottenere un risultato su una foto?

Allora io partirei da un punto preciso, per risponderti. La mia fotografia non è documentaristica, la mia foto è un puzzle. Io non mi pongo, quindi, problemi etici su quanto sia lecito intervenire con Photoshop sulla fotografia – sulla mia fotografia. Sto creando; con Photoshop, sono come l’artista che ha tanti colori e pennelli, più pennelli e colori possibili. Ben venga l’uso di Photoshop per fare tutto quello che mi sento di fare, visto che, con quello strumento, posso.

Il problema è piuttosto un altro, forse: l’etica di quello che poi trasmetti. Ci sono tanti fotografi pubblicitari che creano mondi, ad esempio mettendo una persona che vola su una bicicletta. Va benissimo. Devi stare però attento a non comunicare messaggi sbagliati – il consueto esempio delle modelle artificialmente dimagrite o rese troppo perfette – perfette in modo inumano. Purtroppo quello che vedi molto spesso, soprattutto fra fotoamatori e appassionati, è un fotoritocco esagerato. Se guardi le foto di vent’anni fa, fatte anche da fotografi professionisti, magari trovi un attore con i brufoli – che, però, era reale. C’è la possibilità, anche con Photoshop, di fare un ritocco realistico … ma devi essere competente. Se no, piuttosto, meglio lasciar stare.

E Photoshop nei concorsi fotografici?

Dipende se vuoi documentare la realtà, oppure ricrearla. In camera oscura, il reporter mascherava, correggeva e stampava: in definitiva “creava” un’immagine. Il suo lavoro era però orientato a documentare, non a modificare o inventare. Il confine è proprio quello: la rappresentazione della realtà, o il voler prescindere da essa. La fotografia, comunque, non sarà mai una realtà oggettiva – non può esserlo, per sua natura. Chi sostiene di cercare nella fotografia l’esatta rappresentazione della realtà, secondo me commette un errore di giudizio – il fatto stesso di scattare una foto implica l’aver scelto qualcosa della realtà che ti sta di fronte, e quindi non è più realtà oggettiva. Hai eliminato qualcosa, dalla tua inquadratura, e hai scelto qualcos’altro: un istante dopo, o un centimetro più in là, è tutto diverso, e quindi stai interpretando quello che vedi. Quindi, io credo che Photoshop in genere vada bene, anche se nelle immagini documentaristiche bisogna evitare ad esempio di mettere qualcosa che non c’è o alterare i soggetti. Colori, contrasti – quelli puoi modificarli quanto vuoi, secondo me.

Quindi, se tu alteri sempre le tue foto nel modo in cui ti piace, alla fine sono sì foto pubblicitarie ma è pubblicità creativa?

La pubblicità è sempre creatività. Intendevi dire se le mie foto sono sempre creative? Si. Io interpreto quello che vedo e creo. Non documento. Con la mia foto pubblicitaria e personale, creo dei mondi che non esistono. E, certo, emerge con questo anche un altro problema etico nella pubblicità, perché tu puoi creare immagini belle di qualcosa che non in realtà non lo è così tanto. L’hamburger della foto non è esattamente l’hamburger che ti danno nella scatoletta e che mangerai.

Come sei arrivato alla fotografia, per una passione personale o per caso?

Mah, non sono uno che ha avuto sempre la macchina fotografica in mano già da bambino, no. Non avevo deciso già a quattordici anni di fare il fotografo – qualcuno lo fa e poi segue questa sua vocazione, io no. Avevo la macchina di mio papà, facevo qualche foto ogni tanto, così. Poi, prima ho iniziato a fotografare auto da rally perché ero appassionato di automobilismo, e poi paesaggi visti i miei studi di geologia e la passione per la montagna. Documentavo attraverso le foto quello che facevo. Poi ritratti, ad esempio il calendario di ritratti degli amici. A quel punto ho scoperto che stavo trascurando gli studi perché passavo tutto il tempo a fare fotografie e mi sono detto: ‘pensiamoci un attimo’. E così ho iniziato a lavorare con Fabio Parenzan di Visual Art, ed è stato il passo fondamentale, perché mi ha insegnato tanto. Mi ha riinsegnato a fotografare, visto che fare le foto per lavoro è tutta un’altra cosa. Fotografie in teatro, una specialità molto difficile, tempi di posa lunghi, 1/15, 1/10; monopiede, lui riusciva a tenere un secondo di posa con il 300mm, Canon F1, stando fermo e attento alla respirazione. Sviluppavi dodici rullini, in pellicola, 1600 ASA, il serpentone di foto che usciva dalla sviluppatrice. Tutti esposti più o meno giusti, e poi guardavi: mosso-mosso-sfuocato; mosso-sfuocato-giusto! E conservavi dieci foto. Era bellissimo. Ho capito quanto fosse differente lavorare con la fotografia, in condizioni di stress e con l’attenzione e l’aspettativa del risultato, piuttosto che far foto come amatore.

Hai mai pensato di insegnare fotografia?

No. Me l’hanno chiesto, diverse persone, più volte. Ma sono ancora impegnato nell’elaborare il mio percorso professionale e nel capire che cos’è per me la fotografia. È la mia grande passione, ci metto tutto il mio tempo; non vedo l’ora che arrivi il lunedì mattina, per poter riprendere.

Qual è la differenza fra un professionista e un amatore, secondo te?

Non è sempre una differenza di capacità o di qualità. La differenza è che il professionista deve consegnare sempre il lavoro bello , e soprattutto vive di quello. Oggi invece tutti sono un po’ fotografi…

… ed è sbagliato?

No, no. Non è sbagliato, anzi. È bellissimo che tutti possano scattare, rappresentare, condividere. Tantissimi vogliono creare qualcosa, ora puoi avere a disposizione strumenti bellissimi a poco prezzo; è stupendo, è un risveglio. Ti fai pagare il servizio fotografico per un matrimonio, e allo stesso tempo, non hai partita IVA? Non è corretto. Chi si propone per un lavoro deve chiedere tariffe da professionista e soprattutto deve aprire partita IVA come professionista entrando in concorrenza con gli altri professionisti. Allora, e solo in quel momento, conterà veramente la qualità di quello che facciamo e si vedrà chi a pari condizioni è più bravo. Io chiedo al cliente sicuramente molto di più di quello che chiede un fotoamatore – molto spesso, un fotoamatore regala la sua foto solo per il piacere di vederla pubblicata con il proprio nome. Ma regalare il proprio lavoro è sempre sbagliato e danneggia tutti. Io in ogni caso, lavoro quasi esclusivamente con aziende, dove inizi già da subito con un rapporto chiaro, anche economicamente. Ecco se fossi un fotografo di matrimoni allora sarei più infastidito sicuramente, perché c’è l’amico dell’amico dell’amico che ti fa il servizio senza farsi pagare.

Tante volte però un professionista ti chiede oggettivamente troppo, per le foto del matrimonio.

A volte si, a volte no…

 … e se vai dall’amico dell’amico poi magari hai in mano un servizio che è molto buono lo stesso. Volutamente polemico …

No, no, certo. Fai benissimo a dirlo. Ed è vero. Ricordati però che in ogni caso puoi scegliere il professionista che secondo te ti sta proponendo un prezzo giusto, ce ne sono molti, e molto seri. Il problema del professionista è che ha dei costi elevati alle spalle. Si tratta quindi di trovare il  giusto compromesso. Pensa all’archivio da gestire, i costi per le utenze, poi le macchine da aggiornare continuamente… un tempo ti duravano dieci anni, adesso no, il ciclo tecnologico è sceso a due anni, a tre anni al massimo. Sono costi che il fotoamatore non ha. La differenza fra il professionista che lavora per te e il fotoamatore che ti viene a fare il servizio molto spesso è che per lui questo è un extra, a costo quasi zero. Per un professionista no; un professionista non ha le spalle coperte da altro. Poi c’è anche la differenza fra professionisti e professionisti: molti prendono la fotografia solo come un lavoro: ‘faccio il mio, guadagno il mio, finisce là’. Io no, non ci riesco; dedico molto tempo alle foto, per me c’è prima di tutto la passione. Mi piace, voglio produrre qualcosa di bello. Il mio lavoro non mi annoia mai.

Colori o bianco e nero?

Ah, secondo me: ‘in medio stat virtus’.

Orazio.

O Aristotele? Entrambi … non c’è niente di più vero. Mi piacciono entrambi allo stesso modo. Entrambi hanno fascino e forza. Io sono partito dal bianco e nero, amo Ansel Adams – non solo le foto fra gli anni Venti e gli anni Quaranta, stupende, ma il suo modo di interpretare ciò che vedeva e di costruire la sua visione dell’immagine. Un tecnico eccezionale, e un uomo dai sentimenti profondi.

In questo momento il desaturato mi piace molto, è diventato il mio modo di vedere le cose. Ecco, la domanda può essere: quanto desaturare. In che percentuale. Molti mi chiedono: ‘Ma cos’hai fatto qui? E’ HDR? Con che curva? Diana, Holga o dorso digitale da 80 mega pixel?’ – Non è questo che conta. E’ il risultato che conta, non lo strumento. Io amo un misto fra bianco e nero e colore, per le mie foto più personali; il colore, tante volte, ti dà una botta, inizialmente, ti colpisce molto, però ti fa perdere quello che c’è sotto. Io amo desaturare la mia foto e poi lavorare sulle curve dei singoli canali colore anche per togliere le dominanti. Nel bianco e nero, hai una grandissima forza; però qualche volta ti dici, ‘se ci fosse qualcosa di più … mi manca qualcosa!’

Fai anche ritratti.

Faccio anche ritratti. Di solito non un ritratto classico, cerco di far emergere un altro lato della personalità anche con situazioni insolite, costumi e set particolari.

Qual è la tua foto che ti piace di più?

Difficilissimo. La foto che ti piace di più è sempre quella che farai, non quella che hai già fatto. Non sei mai ‘arrivato’. Per fortuna. La fotografia dev’essere un continuo meravigliarsi delle cose che fai e cercarne di nuove e migliori.

C’è qualche soggetto che non hai ancora affrontato, nella tua esperienza di fotografo?

Numerose cose; però più di tutte, forse, l’autoritratto. Ne ho fatto uno solo, forse due. Che mi piacevano. Ho una foto che uso, un bel ritratto che mi è stato fatto da Fabio Parenzan di Visual Art e che mi piace molto. Io, alla fine, sono sempre dietro alla macchina, quasi mai davanti.

Cosa suggeriresti a un giovane che si avvicina alla fotografia?

Gli direi di studiare le arti, in generale. I grandi della pittura, poi i grandi della fotografia. Non i grandi di adesso, non suggerirei un ‘prendi le foto di Toscani e studiale’. Comincia con Avedon e Penn, con Weston. In base alla tua passione. Cerca di capire perché lavoravano con un fondo neutro. Comincia da questo e chiediti un po’: ‘Ma in queste foto, dove trovo il paragone con la pittura, dove trovo lo studio della luce, del volto umano’. E comincia a fare i paragoni, a cercare di capire il perché. Poi, quando inizierai, il digitale ti porterà un pò fuori strada, dovresti cercare di cominciare come si cominciava una volta, con qualche rullino. E’ ancora possibile. Comincia col medio formato; oggi, con meno dei soldi con cui acquisti un cellulare, puoi prendere una Mamiya C330 anni ’70 biottica, o una Rollei. Fai un po’ di diapositive, un po’ di bianco e nero, un po’ di negativo colore, e poi le tiri su con il tuo scanner, a casa – che ti rende un’immagine comunque bellissima, e vedi emergere una tinta, un colore che non ha quasi bisogno di correzione o ritocco. Se parti con il digitale e vai avanti troppo veloce rischi di non fermarti per capire il perché di quei colori, il perché di quelle tinte. Se invece inizi a studiare la palette della pellicola, scopri che già quello è un mondo, e ti fermi a quello per un certo periodo e scatti, scatti. Anche se scattare da subito in digitale costa molto meno. Però se vuoi avvicinarti alla fotografia in maniera veramente seria devi fare un percorso. Iniziare così è interessante, e sicuramente capisci di più. Poi ci sono corsi delle scuole di fotografia, alcuni master a Milano ma soprattutto all’estero.

Milano è sempre un centro d’eccellenza?

Più che altro è uno dei pochi. C’è Firenze. Qualcosa a Padova, Modena. E Roma. All’estero la situazione è completamente diversa. Dalla scuola di Milano, dopo diecimila Euro l’anno e le spese per vivere, puoi uscire come un buon assistente; forse senza conoscere effettivamente il mondo del lavoro. Se fai fotografia d’arte il percorso è completamente diverso, ti richiede però di avere già una situazione economica che possa permetterti di fare quello e nient’altro e andare in giro per il mondo, nelle gallerie, ed esprimerti.

La foto è arte, secondo te?

Si. Ma ti dirò che io penso che quasi tutte le cose che facciamo siano arte. Molti sono convinti che l’arte sia qualcosa di … esoterico. Io penso di no. Penso che stia nei piccoli gesti della quotidianità. Credo che la fotografia sia arte perché ti permette di scegliere qualcosa, nell’immagine, che vedi solo tu e non un altro. Dopo aver scattato la foto – un attimo, un singolo istante – ti fermi a guardarla, a capirla. Per tanto tempo.

Chi sei, Roberto?

Un sognatore? Continuo a sognare tanto. Il titolo del mio blog è “My dreams would definitely be the perfect shooting location”! Per ogni immagine tento di immaginare un mondo diverso. Sempre, continuamente. E’ difficile che non ci sia qualcosa di fotografico. Ho altri sogni e progetti chiusi in un cassetto … un giorno lo aprirò.

Il futuro?

Sto pensando a delle serie di foto. Lunghe, una storia. Forse la storia mi mancava: nello still life, tutto è molto: ‘una foto’ – ‘via’. ‘tre foto’ – ‘via’. Sento il bisogno di una storia fotografica, ci sto pensando. Di sicuro continuerò sempre a creare.

Roberto Srelz
 
Le immagini pubblicate sono di proprietà di Roberto Pastrovicchio, coperte da copyright e non riproducibili. Il ritratto di Roberto Pastrovicchio è di Fabio Parenzan.
 
http://www.pastrovicchio.com/
 

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