Cinque secoli fa, primo fra tutti, Giorgio Vasari poneva una particolare accusa agli artisti veneziani: essi parevano preferire la pittura al disegno. La mostra “La Poesia della Luce. Disegni Veneziani dalla National Gallery of Art di Washington”, allestita nelle sale del Museo Correr di Venezia e aperta al pubblico dal 06 dicembre 2014 al 15 marzo 2015, ha dimostrato ancora una volta quanto queste supposizioni fossero errate.
Nella città di Venezia si disegnava, anche parecchio: una grande produzione di questi elaborati si ebbe soprattutto dal XV secolo in poi. Non solo, i disegni prodotti nel contesto veneziano erano spesso concepiti come opere d’arte fini a se stesse (è anche il caso, mi piace ricordarlo, dell’ “Annunciazione alla presenza dello Spirito Santo” di Giovanni Battista Tiepolo – oggi conservata a Bassano del Grappa). La caratteristica che accomuna molti tra questi elaborati è la ricerca di un costante rapporto tra le zone in ombra e quelle in luce: una inesorabile ricerca basata sugli effetti luminosi, evidenziati dai supporti in carta veneziana (bianco crema o azzurra).
Dopotutto, la varietà e il movimento della luce non erano altro che le caratteristiche peculiari della città stessa (anche dal punto di vista letterale: i raggi del sole che brillano sull’acqua dei canali). Proprio questi due aspetti, così saldamente legati, fungono da base all’originale interpretazione recentemente formulata dallo storico dell’arte americano Andrew Robison (responsabile dell’esposizione, nonché Senior Curator of Prints and Drawings presso la National Gallery of Art di Washington): gli artisti che vivevano – o soggiornavano – a Venezia venivano influenzati nel profondo da queste caratteristiche, tanto da sviluppare una certa attitudine alla “poesia” della luce (movimento, atmosfera, luminosità) che naturalmente si rispecchiava nelle loro opere. Il significato del termine “Disegno” (secondo l’enciclopedia Treccani, “rappresentazione grafica di oggetti della realtà o dell’immaginazione, di persone, di luoghi, di figure geometriche”) può essere variamente interpretato: nell’ambito della mostra veneziana, venivano raccolti elaborati su carta non stampata appartenenti a diverse tipologie (incluse tecniche come l’acquerello e il pastello).
L’esposizione includeva tanto i disegni realizzati nel contesto cittadino, quanto quelli prodotti nei possedimenti della Repubblica Veneziana su terraferma (che raggiunsero la massima espansione intorno al primo decennio del XVI secolo). Le opere raggruppate nel contesto della mostra sono frutto dell’estro tanto degli artisti nati a Venezia, quanto di coloro che in quei territori si sono formati (anche solo parzialmente) o che vi hanno semplicemente soggiornato. Appartengono a questa categoria solamente i disegni che gli autori stranieri hanno prodotto nel corso delle loro visite nel territorio della Serenissima: è questo il caso del “Sultano orientale in trono” di Albrecht Dürer, elaborato durante il suo primo soggiorno veneziano (tra il 1494 e il 1496 circa). Il disegno, realizzato a penna e inchiostro nero, è caratterizzato dalla raffinatissima resa grafica tipica del grande artista di Norimberga – attenta ad ogni dettaglio. Si presentavano così al visitatore oltre centotrenta capolavori: disegni preparatori, schizzi rapidi, studi destinati alla bottega e le già citate composizioni finite (“…indipendent works able to offer a different poetic formed of lines, shadows, chiaroscuro, highlights, the definition of forms and movements, the translation of sentiments and visions, and the exploration of the infinite possibilities of light” – dal depliant della mostra). Tra i disegni esposti al Correr, meritano di essere ricordati la celebre “Aquila” di Tiziano Vecellio (1560-1565 circa, capolavoro grafico in cui spicca intenso lo sguardo dell’animale selvatico), diversi elaborati di Giovanni Battista Tiepolo (tra cui la “Caduta dei dannati” – realizzata tra il 1712 e il 1715, ma poi rielaborata entro il 1718: un soggetto che permetteva al grande artista di giocare con la figura umana, ribaltandola e deformandola), “Sei uomini in conversazione e dieci [uomini] nudi in combattimento” della bottega di Francesco Squarcione (realizzato tra gli anni sessanta e settanta del XV secolo, il disegno si contraddistingue per il forte contrasto tra le figure del registro superiore – composte – e quelle dell’inferiore – dinamiche) e il “Profilo di fanciullo” di Giovanni Badile (anni quaranta del ‘400: primo ritratto italiano realizzato a disegno). Il catalogo è stato stampato dall’editore Marsilio.
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(foto: Serena Bobbo – segretaria di redazione)