Non tutti se ne sono accorti, eppure la cultura classica è stata molto rivalutata negli ultimi anni, complice forse il crescente allarme per l’evidente imbarbarimento collettivo. Gli anni 70 e 80 furono caratterizzati dal sospetto, a volte persino dall’aperta ostilità verso di essa per diversi motivi. Una lettura politica di sinistra vi vedeva una cultura elitaria, borghese, preclusa alle masse e cara alla destra. Gli anni 80, quelli del Riflusso, la disprezzarono piuttosto per la sua ‘inutilità’, tutti compresi nella logica neo-capitalista del massimo profitto: lo studio dell’informatica, delle lingue ecc. erano considerati molto più utili dal punto di vista del mercato del lavoro. E’ interessante notare come entrambe queste due posizioni, che per delicatezza mi limito a definire ‘discutibili’, siano tuttora esistenti, specialmente negli “over-anta”, e continuino a fare danni al nostro modello di istruzione, un tempo fra i migliori.
L’abolizione della scuola di avviamento professionale, la parificazione di tutte le scuole superiori ai fini dell’entrata all’Università e da ultimo l’estensione della scuola dell’obbligo oltre il limite della terza media ha in pratica fatto perdere di senso la maggioranza delle obiezioni di elitismo che si agitavano a sinistra quaranta o cinquant’anni fa. L’accusare il Liceo di propagandare una cultura individualista e borghese fa parte di un lessico e di un pensiero leninista che ha una sua logica e coerenza ma è difficile da definire moderno, meno ancora diffuso.
Quanto al taylorismo ‘all’amatriciana’ degli anni Ottanta, a distanza di trent’anni abbondanti siamo perfettamente in grado di vedere i danni tremendi che ha fatto alla cultura e in genere al tessuto sociale del nostro Paese. L’incapacità di comprendere che la formazione di una persona è cosa diversa e più complessa della formazione aziendale, di quella di un operaio meccanico o di una macchina, la dice lunga sull’ignoranza -o forse sulla malafede- di chi sposava e sposa questi argomenti.
Definire il nostro vecchio liceo una delle migliori scuole superiori pubbliche al mondo non è sciovinismo ma semplice constatazione. Chiunque dei molti nostri giovani e meno giovani si sia trovato a dover emigrare o a sostenere programmi di studio all’estero ha potuto verificarlo: chi ha avuto un buon liceo pubblico, svetta una spanna sopra gli altri e la cosa viene (all’estero,ovviamente!) percepita e spesso anche remunerata. Quello che la cultura classica ha da offrire oggi non è un vuoto museo di glorie polverose, ma un tesoro di insegnamenti culturali, etici e civili. Certo, c’è lo scoglio importante del Latino e soprattutto del Greco antico, che infatti vengono insegnati sempre meno e sempre peggio, per evitare ai molli studenti di oggi (ma è poi vero?) sforzi eccessivi.
Eppure, oltre a dare accesso alla fruizione della splendida letteratura antica (leggere Omero in traduzione è come leggere Dante in inglese semplificato!) le lingue antiche, specie il Greco antico, danno accesso a un’intera struttura di pensiero in quanto tali.
Questo lo spiega molto bene il libro “La lingua Geniale” dell’autrice Andrea Marcolongo . Marcolongo affronta di petto lo spauracchio del Liceo Classico (e non solo), la lingua greca antica, una lingua assai complessa, tanto da sembrare a volte solo un’astruseria creata a tavolino da un pazzo sadico, con l’unico intento di torturare gli studenti. Questa astruseria viene poi generalmente insegnata malissimo: nessuna base di linguistica, nessuna storia ma solo un viatico, zoppo, verso la traduzione meccanica, quasi si trattasse di un puzzle da ricomporre a fatica. Ci si dimentica che fu una lingua, e non una lingua qualunque, ma quella in cui pensarono e scrissero coloro che hanno posto le basi intellettuali della nostra civiltà.
Chi scrive si è laureato in semiologia, a Canterbury, in Inghilterra e sa bene che il pensiero è elaborato attraverso il linguaggio e le strutture proprie della lingua, la sua grammatica, la sua sintassi. La sintassi greca, così antica e lontana da quella delle lingue indoeuropee moderne, riflette il modo di pensare e di vedere il mondo dei classici e l’autrice lo ripercorre in modo leggero e discorsivo, niente affatto noioso o pedante, con esiti entusiasmanti per chi ama la filosofia e il pensiero e, perchè no?, la storia.
Infatti, la storia dell’evoluzione di questa lingua antica e in particolar modo della sua sintassi viene affrontata affiancandola con quella dell’evoluzione storica (le poleis, Alessandro Magno e la Koinè ellenistica, Bisanzio, il Medioevo ecc.) individuando nei cambiamenti della lingua precisi cambiamenti del pensiero sottostante e della società che esso espresse.
Mi fermo qui per non fare troppi spoiler. Quello che mi preme sottolineare è come l’argomento, che può sembrare ostico o di competenza solo di studiosi del Classico, sia in realtà trattato discorsivamente in modo rivolto a tutti, anche a chi non ha competenze specifiche. Le conclusioni a cui giunge l’autrice possono essere vere e proprie rivelazioni per chi non ha fatto studi classici o li ha fatti male o controvoglia. Questa riflessione sul Greco Antico ci ribadisce una lezione che non ci stancheremo mai di ripetere: quanto lo studio della classicità abbia ancora da insegnarci, quanto ci parli dell’Uomo, di noi, di oggi e di quale vogliamo sia il nostro presente e il nostro domani.
Giulio Campos
Andrea Marcolongo
La Lingua Geniale
Ed. LATERZA, Eur 10
disponibile anche in ebook