La danza delle parole (elementi di psicanalisi): la difficoltà

Una delle grandi truffe di questa società è l’idea che tutto si possa facilitare, accorciare, snellire, immediatamente semplificare.
In questo modo intervenendo sul tempo, sui tempi d’intendimento, di elaborazione, di assorbimento, di comprensione, e sul tempo inconscio, come se si potesse cancellarlo a proprio piacere.
La nozione di tempo si apre a vaste disquisizioni: c’è chi ipotizza un tempo immobile nel quale siamo immersi, chi un tempo circolare che si ripete a cicli, chi un tempo a flusso continuo che non incontreremo mai più, attimo dopo attimo e molte altre congetture.
Nella sua pratica psicanalitica, Freud incontra il tempo logico che si differenzia dal tempo cronologico prefissato. Il tempo logico è frutto della nostra storia e interviene per ciascuno differentemente. Per questo insegnare, educare e psicanalizzare è considerato un mestiere impossibile per Freud.
L’inconscio è atemporale, situazione psichica dove il passato e il presente si incontrano e ciò che è stato scritto rimane vivo come nell’istante nel quale è stato per la prima volta vissuto.
Per intendere le cose che incontriamo nel nostro cammino, necessitiamo quindi del nostro tempo logico, unico e particolare, che ci specifica.
Ciascun tentativo di accelerare questo tempo per farne un pacchetto funzionale al prodotto che ci viene offerto è destinato inevitabilmente al fallimento.
Ogni esperienza viene vissuta in modo differente a seconda del tessuto inconscio, sociale educativo, che traduce l’esperienza. Ogni percorso necessita di un tempo logico differente per ciascuno. Tempo per percepire, per elaborare, per tradurre nella nostra lingua inconscia e per intendere.
Tutto questo preambolo è per introdurre la questione della difficoltà, perché è proprio tentando fantasmaticamete di toglierla che si cerca di accorciare il tempo.

Cos’è dunque la difficoltà? È quell’ostacolo che si incontra appena si cerca di tradurre un pensiero in azione. Quella variazione che avvertiamo nel cercare di “fare materia”, azione, parola e scrittura, di una idea.
Tra il frastuono del nostro pensiero, ancora silenzioso, e la parola che cerchiamo di articolare, iniziamo ad avvertire la percezione della difficoltà.
Da questo all’avvio di un progetto nel reale si mettono in gioco mille fantasie e sovrapposizioni di scene inconsce e elementi esterni che si alimentano della variazione che stiamo mettendo in atto. Ovvero ciascuna cosa che facciamo attiva Altro. Un Altro che non conosciamo e che sta a noi percepire come elemento da intrecciare e non come ostacolo da evitare. I vari tentativi chirurgici per estrapolare la realizzazione delle nostre idee senza che esse siano contaminate dalle reazioni esterne sono illusorie; fare significa contaminarsi, meticciarsi, entrare in relazione con altro da noi.
Come si può intendere, la difficoltà si incontra facendo, fa parte del fare, è strutturale al fare.
Per questo non è assumibile, non è personale ne’ attribuibile a una situazione piuttosto che ad un’altra. Non vi è situazione “facile” o “difficile”, da poter scegliere a piacimento. Ciascuna situazione è facile e difficile alternativamente, simultaneamente.
L’enunciato:”Ho una difficoltà” è solo pura fantasia. Fantasia di poterla assumere.
E perché mai si dovrebbe assumere una difficoltà? Per poterla gestire, accantonare, evitare, evidenziare, rimandare, rigettare.
Questa è la fantasia comune degli umani: poter gestire le cose. Ma le cose sono ingestibili. Il tempo non è gestibile.
Le cose, gli eventi, le situazioni si ascoltano e poi si agisce, ma senza poter gestire nulla.
Le cose vanno come vanno, nel loro autonomo dispiegarsi.
E noi ne siamo partecipi nell’incontrarle, ma mai per gestirle.
La difficoltà dunque è parte e partecipa al nostro cammino, come lo è la morte nella vita; la pulsione di morte nella pulsione di vita, nel loro intreccio.
La difficoltà dunque, declinata nei suoi vari e bizzarri aspetti, è intrecciata al nostro fare, ineludibile e indivisibile.
Fare e difficoltà sono un pacchetto, prendere o lasciare.
Incredibilmente la gente lascia, invece, perché pensa che sia possibile un fare senza difficoltà, e, nel tentativo di cercare un fare esente da difficoltà, si consuma nei vari tentativi, ovviamente fallimentari, e poi rinuncia.
Ecco che, inteso questo, ci si va a scontrare con una società che, invece, promuove e sponsorizza l’idea del fare “facile”, leggero, veloce, senza nemmeno tanto impegno, senza sforzo, a portata di “mano”. Una sorta di masturbazione che ci toglierebbe dalla difficoltà dell’incontro con l’altro, con Altro.
Infatti si spacciano così corsi di apprendimento veloce di tutto (ovvero di niente), tutto in pochi mesi, alcuni in settimane.
La spiritualità e tutte le discipline, arti e mestieri, a portata di mano, per divenire l’altro in poche lezioni, in pochi mesi.
Il Mercato esige il suo capro espiatorio: “La conoscenza”, e dunque lo studio, e dunque l’applicazione costante, e dunque l’impegno, il rigore, la responsabilità, la fatica e l’investimento di tempo e denaro per iniziare e proseguire una ricerca. Perché la ricerca esige la solitudine, non il “gruppo famiglia” con cui condividere il “male, comune”, per farne “mezzo gaudio”.
Come dire alle persone che le cose esigono tempo, costanza e impegno, solitudine (che non è l’isolamento) ?
Che le cose non si trovano dietro l’angolo?
Che la strada non è una superstrada ma un viottolo in salita?
La superstrada è la via della conformazione, non quella della ricerca, ovvero l’avvicinarsi a ciò che “si è”, tramite la conoscenza di ciò che ci interessa, che amiamo e desideriamo, nel proprio costante divenire.
Come farfalle che sbattono le loro ali sulla luce, bruciandosele, si rischia, se si elude la difficoltà e quindi il solitario percorso che esige tempo, investimento e applicazione, di accontentarsi, nella ricerca dell’offerta del giorno al meno prezzo, al meno tempo, al meno fatica, al meno tutto, consumati e consumatori della frenesia di un fare che diviene, anziché viaggio verso l’infinito, un tapis roulant sul quale correre per rimanere fermi.

Roberta de Jorio ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.

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