“Non possiamo parlare di immagini senza parlare di ceneri. Le immagini fanno parte di ciò che i poveri mortali si inventano per inscrivere i loro tremori e ciò che li consuma. Ogni memoria però è sempre sotto la minaccia dell’oblio, ogni tesoro sotto la minaccia del saccheggio, ogni sepolcro sotto la minaccia della profanazione.
Ogni volta che posiamo il nostro sguardo su un’immagine, dovremmo pensare alle condizioni che hanno impedito la sua distruzione.
Tentare un’archeolgia significa sempre rischiare di mettere gli uni accanto agli altri pezzi di cose sopravvissute. Questo rischio si chiama immaginazione e montaggio. Il montaggio sarà precisamente una delle risposte fondamentali a questo stesso problema della costruzione della storicità perchè rende possibili le sopravvivenze, gli anacronismi, gli incontri di temporalità contraddittorie che riguardano ogni oggetto, ogni avvenimento, ogni persona, ogni gesto. Le nozioni di memoria, di montaggio, di dialettica, esistono per indicare che le immagini non sono né immediate né facili da capire. Esse non sono, d’altra parte, nemmeno al presente,ed è proprio perche le immagini non sono al presente che esse sono capace di rendere visibili rapporti di tempo che implicano la memoria nella storia.” (Didi-Huberman)
Con l’intento di una breve esplorazione nel territorio del restauro della fotografia, con chiara preferenza per quella che è definita come fotografia storica, parleremo di alcune delle tecniche e dei processi chimici coi quali gli esperti hanno cercato una risposta ai problemi del deperimento e della conservazione dei materiali fotografici, tenendo presente l’amplia gamma dei supporti esistenti e la molteplice natura dei casi. Questa mia scelta è frutto dell’interesse che provo nei confronti dell’arte e tecnica fotografica, e del ruolo che hanno avuto e che continuano ad avere nella società.
“Qualsiasi conoscenza deve contenere un pizzico di insensatezza.” (Schuler).
Per quanto riguarda la pratica del restauro del materiale fotografico, è evidente che la situazione italiana è molto cambiata, in meglio, rispetto ad alcuni anni fa; in passato l’Italia dedicava ancora poca attenzione ed energie alla conservazione delle fotografie, forse perché le istituzioni a questo preposte erano impegnate in una attività di tutela che, per la gran massa del materiale conservato negli archivi e nelle biblioteche (sopratutto carte e pergamene), era molto impegnativa, sia dal punto di vista delle attività di ricerca e operative che dal punto di vista economico.
Grazie all’interessamento di istituti e singoli individui, e alle loro iniziative, l’interesse per la conservazione delle collezioni fotografiche è sensibilmente cresciuto, a tal punto che numerosi sono ormai i restauratori specializzati che operano sul territorio nazionale e si moltiplicano le collaborazioni internazionali, anche con grandi aziende multinazionali ed istituti esteri.
Lo stesso non sembra si possa dire per la ricerca scientifica e tecnologica, che avrebbe necessità di un maggiore impulso; attualmente infatti, la ricerca nel settore del restauro del materiale fotografico è esigua se paragonata a quella svolta negli anni su carta e pergamena. Eppure, se si pensa alla varietà e complessità (struttura e composizione) dei materiali fotografici e si tengono presenti i più comuni esempi di danno (ad esempio frattura e distacco delle emulsioni, foto sbiadite, ingiallimento delle immagini, danneggiamento e degradazione dei supporti) è evidente che l’attività di ricerca potrebbe dare un deciso contributo alla messa a punto di metodi di conservazione e restauro efficaci e affidabili.
“Saper guardare un ‘immagine sarebbe,in qualche modo divenire capaci di distinguere dove essa brucia, dove la sua eventuale bellezza serba il posto ad un segno segreto, una crisi irrisolta, a un sintomo. Dove la cenere non si è raffreddata.
Da dove arriva questo ‘irriducibile’ della fotografia? Non tanto da un “è stato” inteso come il puro noema della fotografia, quanto piuttosto da una notevole congiunzione all’opera nello strumento fotografico, costruito interamente tra un reale e un inconscio. Il reale è li davanti all’obiettivo ma il fotografo vi è a sua volta coinvolto.” (Didi-Huberman)
Al confine tra arte e industria.
“La Foto è letteralmente un emanazione del referente.” (Roland Barthes, “La Camera Chiara: note sulla fotografia”).
La storia della fotografia è relativamente recente dato che la sua invenzione risale alla prima metà del XIX secolo (1839, Talbot in Inghilterra e quasi contemporaneamente Daguerre in Francia). Si dice che a inventare la fotografia (trasmettendo nell’inquadratura la prospettiva e l’ottica della molto antecedente camera oscura) siano stati i pittori; la filosofia contemporanea dell’immagine dice invece: ‘sono stati i chimici’. La comprensione del momento in cui il referente (ovvero: ciò che viene fotografato) è stato visto in carne e ossa (ovvero: in realtà, nel reale, in persona – può infatti trattarsi anche di un oggetto) non è stata possibile che dal giorno in cui una scoperta scientifica (la scoperta della sensibilità alla luce degli alogenuri d’argento) ha permesso di captare e di fissare direttamente su un supporto i raggi luminosi emessi da un oggetto variamente illuminato.
La fine della tradizionale industria fotografica e l’avvento della tecnologia elettronica hanno poi tracciato una linea di demarcazione molto netta tra quella che è stata la fotografia Ottocentesca e Novecentesca, definita ‘storica’, e quella che ancora oggi è chiamata ‘fotografia’ ma che in realtà, se ci si attiene alla sua definizione originaria, non lo è più: i fotografi contemporanei infatti utilizzano quasi esclusivamente tecniche digitali, sopratutto in fase di stampa. Le tradizionali stampe ai sali d’argento sono state sostituite da stampe a getto d’inchiostro.
“Quando lo sguardo dell’operatore si sistema nel mirino, si mette nella situazione di estrarre e ‘esplicare’ un reale che, malgrado tutto, lo coinvolge in ogni sua parte.
Per gestire questa situazione c’e bisogno dell’inconscio. È così che lo spazio si ritroverà, nell’immagine fotografica,’elaborato inconsciamente’ così come inconscia è la temporalità fotografica … ‘La realtà’, scrive Benjamin, ‘ha folgorato con un buco il carattere dell’immagine’.
La fotografia è un oggetto complesso dal punto di vista sia fisico che chimico. Dalle origini a oggi, il vasto repertorio dei procedimenti fotografici è caratterizzato dal gran numero di materiali impiegati e dalla grande varietà delle loro alterazioni nel tempo. La sua struttura composita è formata da vari strati in cui oltre al supporto sul quale l’immagine si fissa sono presenti sostanze sensibili che permettono la formazione stessa dell’immagine. Quelli più utilizzati sono i composti d’argento, che risultano però essere allo stesso tempo i più instabili. Si è fatto quindi ricorso nella storia a prodotti alternativi a base sia di composti metallici come il ferro e il platino, che non metallici come i pigmenti e i coloranti. Queste sostanze vengono incorporate, nella fotografia storica, in leganti come l’albumina, la gelatina, il collodio.
“Una forma senza sguardo è una forma cieca. Ha bisogno di uno sguardo, certo, ma guardare non è semplicemente vedere … Reciprocamente uno sguardo senza forma e senza formula resta uno sguardo muto. C’e bisogno di forma perché lo sguardo acceda al linguaggio e all’elaborazione … vale a dire alla possibilità di esplicazione, di conoscenza, di rapporto etico. “
Fragilità della fotografia.
“Io posso solo trasformare la Foto in una cosa da buttar via: o il cassetto o il cestino. Non solo essa condivide la sorte della carta (è deperibile) ma anche se fissata su dei supporti più solidi, è pur sempre mortale: come un organismo vivente essa nasce dai granuli d’argento che germinano, fiorisce un attimo poi subito invecchia. Attaccata dalla luce, dall’umidità, essa impallidisce, si attenua, svanisce; non resta altro che buttarla via.”
Per poter conservare, dobbiamo prima capire: capire da che cosa la nostra immagine fotografica è composta, ovvero quali tecniche di esecuzione stiano alla sua base. Per individuare i procedimenti fotografici, due sono le tecniche utilizzate, comunemente applicate anche in pittura e scultura: la spettrometria e la spettroscopia .
La spettrometria XRF (X-Ray Fluorescence) è una tecnica basata sull’emissione di fluorescenza da un determinato materiale esposto ai raggi X, che permette di identificare i composti inorganici presenti nell’oggetto fotografico, come quelli metallici utilizzati per la sensibilizzazione o il viraggio (argento, oro, platino). Il suo vantaggio è quello di non essere invasiva.
La spettroscopia a raggi infrarossi FTIR (Fourier Transform Infra Red) completa poi le informazioni ottenute con la spettrometria, identificando i composti organici, ovvero i leganti come l’albumina o la gelatina in cui sono contenuti i sali metallici o i pigmenti che compongono la fotografia.
Le due metodologie, abbinate, permettono di fornire un’analisi quantitativa e qualitativa degli elementi chimici principali che hanno concorso alla formazione dell’immagine da restaurare. La stabilità nel tempo delle fotografie dipende da numerosi fattori, alcuni interni (che dipendono dal materiale costitutivo), altri esterni causati dalle condizioni ambientali non idonee alla conservazione, che danno origine a fenomeni di degrado fisico, chimico e biologico. Anche l’uomo può essere responsabile di danneggiamenti, a causa di scorrette manipolazioni, scelte espositive inadeguate e interventi conservativi errati.
L’umidità, la temperatura, la luce oltre ai diversi agenti inquinanti contenuti nell’atmosfera (agenti biologici) sono tra i fattori ambientali più importanti e più comuni all’origine di fenomeni di degrado, cui in particolare l’argento e i procedimenti a esso legati è vulnerabile. Questi fattori interagiscono differentemente con ciascun elemento costitutivo dell’oggetto fotografico, causando degradi di tipo fotochimico e provocando fenomeni di ossidazione, di idrolisi e degradazione complessa: i danni che vengono provocati da queste reazioni chimiche si possono manifestare con un cambiamento di colore dell’immagine e una generale fragilità strutturale, fino ad arrivare alla perdita completa dell’informazione visiva. Le variazioni climatiche, in particolare l’umidità, causano gravi danni sopratutto sui leganti di origine animale o vegetale ad alto contenuto d’acqua in cui sono contenute le particelle che formano l’immagine.
Condizioni termiche o igrometriche instabili possono produrre diversi tipi di alterazioni: sollevamenti, deformazioni e distacchi dell’emulsione (fenomeni, quindi, fisici), oppure apparizione di macchie e decolorazioni (degrado chimico), o ancora proliferare di microorganismi che trovano nelle emulsioni di gelatina un ambiente favorevole al loro sviluppo e quindi comparsa di muffe (fenomeni biologici).
La stampa alla gelatina d’argento.
La stampa alla gelatina d’argento, o la stampa in bianco e nero, come viene comunemente chiamata, era di fatto la fotografia artistica del Ventesimo secolo, fino alla rivoluzione del colore del 1970. Questo tipo di stampa è presente in gran numero in numerose collezioni d’arte, archivi e album di famiglia (molto recente il caso della scoperta dell’archivio della fotografa Vivian Maier). La capacità di comprendere e valutare le condizioni di deterioramento di queste stampe e dei supporti sono aspetti vitali per la loro conservazione.
Nei primi procedimenti storici di sviluppo e stampa, l’immagine fotografica non era separata dal supporto della fotografia: la sostanza fotosensibile che la costituisce penetrava all’interno della carta ricoprendo le fibre e rendendole visibili anche a occhio nudo (dando come risultato immagini opache su una superficie non liscia). Come successivo passaggio intermedio, nei procedimenti a due strati, si assistette a una separazione del supporto dall’immagine che andava a costituire la fotografia per azione di un legante (che permetteva di ottenere immagini lucide e contrastate).
Nei procedimenti ancora successivi (stampe alla gelatina, estremamente lisce e lucide) si arriva a una separazione netta per mezzo di strati intermedi. Una stampa alla gelatina d’argento, semplificando, è formata da quattro strati:
- base di carta
- barite (un prodotto naturale presente nelle rocce)
- legante
- rivestimento superficiale (strato protettivo di gelatina)
La base di carta o di supporto serve come substrato su cui sono fissati gli strati successivi. La carta è per molti versi un supporto ideale per la stampa fotografica: è leggera, flessibile e abbastanza forte da sopportare sia procedimenti che implicano la sua immersione in un liquido che un uso normale.
Il secondo strato è la barite, un rivestimento bianco ottenuto principalmente da solfato di bario e gelatina, il cui scopo è coprire le fibre di carta eformare uno strato liscio sul quale distribuire il rivestimento di gelatina.
Il terzo strato è il legante (albumina, collodio o molto più comunemente ancora gelatina) che contiene i granuli d’argento dell’immagine fotografica vera e propria.
Il quarto strato, chiamato il rivestimento superficiale o finitura, è uno strato molto sottile di gelatina indurita che viene applicato sopra il legante. Esso agisce come uno strato protettivo, fornendo resistenza superiore all’abrasione sulla superficie di stampa.
La gelatina (una proteina idrosolubile) deriva dalla trasformazione del collageno per bollitura in acqua. La struttura del collageno consiste in catene organiche (polipeptidiche). Quando il collageno viene bollito in acqua si rompono i legami idrogeno tra le catene e se ne formano altri con molecole d’acqua: la struttura è distrutta, e per raffreddamento si forma la gelatina. La gelatina è un “colloide liofilo” (detto anche intrinseco o reversibile), cioè un sistema stabile costituito da particelle solide (colloide) disperse in acqua (solvente). Proprio per la sua stabilità ha il potere di proteggere gli alogenuri d’argento i quali, grazie alla sua azione protettiva, vengono mantenuti separati.
La gelatina deve il suo successo nel campo fotografico grazie alle sue proprietà chimico-fisiche; è risultata infatti avere tutti i requisiti richiesti al legante costitutivo dell’emulsione fotosensibile e costituisce appunto la matrice in cui l’argento è sospeso. La gelatina (la più comunemente utilizzata è quella al bromuro d’argento) è per natura di colore giallo, e per compensare questa tendenza vengono spesso utilizzati dei coloranti. Tuttavia, l’ingiallimento può diventare visibile sia con l’invecchiamento della foto sia quando quest’ultima viene in contatto con materiali cartacei di scarsa qualità che contengano lignina e altri componenti.
L’argento (alogenuro) che compone l’immagine in una stampa in bianco e nero è presente in forma particelle molto piccole (attorno al diametro di 0,5µm ), spesso filamentose, composte quindi da lunghi filamenti di argento aggrovigliati insieme. Per alogenuro d’argento si intende un composto chimico (sale) formato dall’argento con un alogeno (fluoro, cromo, bromo, iodio).
La presenza della gelatina ha una notevole influenza sulla formazione dei micro cristalli d’argento. I cristalli non sono perfetti, ma presentano dei difetti, sia a livello atomico che cristallino, connessi al metodo di preparazione. Queste imperfezioni sono relativamente frequenti a temperatura ambiente ma aumentando la temperatura l’effetto diviene più evidente: le particelle d’argento che assumono forma ionica e migrano verso la superficie della stampa formano uno strato riflettente di argento, il cosiddetto “specchio d’argento” che causa lo scolorimento dell’immagine la quale appare quindi di una tonalità giallo/arancione: la foto deteriorata di Lewis Hine (‘Powerhouse Mechanic’, a fianco) è un classico esempio di questo tipo di deterioramento.
Il fissaggio e il lavaggio danno alla stampa d’argento solo una protezione leggera, vulnerabile al deterioramento o all’ingiallimento. Un corretto sviluppo seguito da un viraggio è il metodo più efficace per prevenire il deterioramento, e il viraggio è la variazione del tono cromatico di una fotografia mediante un trattamento chimico dell’immagine d’argento. Questo trattamento, per la maggior parte delle fotografie storiche, oltre a proteggerle dal deterioramento rendeva più gradevoli i toni dell’immagine. L’oro e il solfuro venivano impiegati maggiormente come strato protettivo, e nel caso dell’oro nelle stampe all’albumina il trattamento con questo metallo era una parte integrante del processo. Sono stati sperimentati anche altri metodi di viraggio mediante il colore per tentare di far somigliare quando più possibile l’immagine alla realtà, ma alcuni di questi trattamenti, diversamente da quelli con l’oro, non producevano immagini più stabili di quelle d’argento, bensì facilmente soggette allo sbiadimento.
I residui di sviluppo.
Le fotografie in bianco e nero possono rimanere inalterato per molto tempo se sono conservate in un ambiente fresco, moderatamente secco e perfettamente inerte (quindi senza esposizione ad agenti inquinanti atmosferici o biologici). Nella realtà, questi ambienti perfetti non esistono; inoltre, il trattamento dei materiali fotografici a sviluppo comporta l’impiego di prodotti chimici che vengono poi rimossi al termine del trattamento stesso: a causa dell’inefficacia del fissaggio o del lavaggio, possono rimanere dei residui, e talvolta lo sviluppo difettoso di una foto è la causa stessa del suo deterioramento. Un indizio rivelatore è la scoloritura gialla presente nelle aree senza immagini dove non dovrebbe esserci nessuna particella d’argento.
All’ingiallimento può seguire lo sbiadimento dell’immagine dovuto a successivi fenomeni di ossidazione, e la quantità di residui chimici dipende sopratutto dal supporto: la carta trattiene molto di più i prodotti del supporto rispetto al vetro o alle materie plastiche (la carta baritata di più rispetto a quella plastificata). I cristalli degli alogenuri di argento non bene rimossi provocano l’ingiallimento dell’immagine per azione della luce.
Il restauro delle immagini fotografiche.
La stabilità dei materiali fotografici dipende, quindi, dai costituenti, dal processo (sviluppo e stampa) e dalla cura con cui vengono consultati e utilizzati. Accorgimenti molto semplici risultano infatti utilissimi al fine di evitare danni anche irrimediabili.
Nella pratica, più che restaurare, è spesso più urgente rallentare o arrestare i processi di degradazione in atto, che potrebbero danneggiare seriamente e distruggere intere collezioni. È fondamentale realizzare ambienti di conservazione idonei sia intervenendo sulle condizioni climatiche (temperature, umidità relativa, illuminazione, qualità dell’aria) sia provvedendo alla collocazione delle fotografie in involucri e contenitori adatti.
Per quanto riguarda il restauro, le difficoltà di recupero e consolidamento di immagini, molto spesso già di per sé a volte estremamente delicate e compromesse dall’età e da fattori esterni, costituiscono un lavoro lento e costoso. Il restauro delle fotografie è comunque indispensabile se si vogliono recuperare originali altrimenti insostituibili: anche se non si può parlare di materiale antico, considerandolo in relazione a quello archivistico classico, non si può comunque prescindere dal fatto che si tratti di materiale storico di assoluto interesse per le informazioni che ha tramandato fino a oggi e per il messaggio che continua a trasmettere.
Un esempio di restauro fotografico: pulitura a secco con distacco dell’immagine.
La foto, in gelatina al bromuro d’argento di grandi dimensioni, prima del restauro, appare incollata in piano su di un supporto di pessima qualità. Presenta ritocchi originali a matita (grafie), strappi e lacune, abrasioni e graffi (al centro). Ci sono inoltre danni provocati da insetti (erosioni di emulsione e depositi di escrementi sparsi), un difetto a specchio d’argento diffuso, una grande macchia nell’angolo inferiore destro, di natura grassa (olio di lampada o sostanze simili). Per finire, l’impronta, visibile ancora, lasciata dal passe-partout ovale.
La stessa fotografia dopo il restauro: in questo caso, oltre che per la conservazione, si è dovuto intervenire, logicamente, anche dal punto di vista estetico. L’intervento è stato eseguito con pulitura a secco e con solvente dell’immagine, distacco dal supporto secondario acido (meccanicamente e con l’ausilio di impacchi di metilcellulosa), foderatura di sostegno con carta giapponese, risarcimento di strappi e lacune, livellamento delle aree erose dagli insetti con polvere di solfato di bario mista a metilcellulosa, integrazione cromatica (ritocco, quindi) di acquerello. Un intervento molto complesso.
“Che cos’è che sta per annullarsi con questa foto che ingiallisce, scolorisce, si cancella e che un giorno sarà gettata nella spazzatura, se non da me perlomeno alla mia morte? Non solo la vita (questo è stato vivo, ha posato vivo davanti all’obbiettivo) ma anche, a volte, come dire? L’amore. Davanti all’unica foto in cui mio padre e mia madre sono ritratti insieme, io penso, ciò che sta per scomparire per sempre è l’amore come tesoro, infatti quando io non ci sarò più nessuno potrò più darne testimonianza” (Roland Barthes – ‘La Camera Chiara’)
Alla fine di questo percorso attraverso alcune delle cause di deterioramento della fotografia e dei metodi di conservazione dell’immagine, possiamo tornare all’origine, all’inizio del percorso stesso. All’importanza, quindi, della fotografia storica come testimonianza di ciò che “è stato”.
La fotografia attinge la sua essenza dal reale: né la pittura né la scultura, e neppure altre forme d’arte, danno la sicurezza che ciò che è stato è veramente accaduto: la fotografia è l’unica forma d’arte che ci può dare, al di là delle alterazioni volute (via via più comuni nell’Era Digitale) questa sicurezza. La fotografia non può mentire; oppure si? E se lo fa, è per avvicinarsi ancora di più alla realtà dell’attimo percepito?
Da qui l’importanza, in particolare nella foto documentaristica e negli archivi di fotografie storiche, di conservare il materiale fotografico. Esso è uno dei collegamenti con il nostro passato: il nostro passato personale, quello dei nostri predecessori, e la storia in modo più generale. Conservare per conoscere la storia; per capire e per ricordare. Restaurare per non perdere le tracce di qualcosa che altrimenti sarebbe perduto per sempre.
Serena Bobbo © centoParole Magazine – riproduzione riservata