Kengo Kuma, classe 1954, viene generalmente considerato uno dei massimi esponenti dell’architettura contestuale.
In controtendenza all’amore giapponese per tutto ciò che è high-tech, Kuma rappresenta una nuova generazione di architetti che tentano di rileggere in chiave moderna la millenaria tradizione del costruire giapponese. Denominatore comune di tutte le sue opere ed in particolare le più recenti come ad esempio la Bamboo House in Cina o la Lotus House in Giappone, ogni suo lavoro si connota per quella caratteristica che già Frank Lloyd Wright apprezzava dell’architettura giapponese: «dove tutto è natura».
Su queste basi poggia il nuovo progetto di modernizzazione della Tea House di Beijing dove, combinando blocchi di plastica traslucidi in una formazione solitamente caratterizzata da veri e propri mattoni, ha cercato di creare nuove mura per questo magico posto.
Kuma ha usato sbarre fatte di polietilene per creare un intricato reticolo che corre lungo tutto il soffitto e le pareti di ogni stanza della edificio, conferendo così una tonalità di bianco morbido che si mescola ai pannelli traslucidi di policarobonato dando origine ad una delicata sfumatura del blu. Questa si presenta così come un’ alternativa decorativa ai tradizionali pannelli in legno e alle barriere di carta tipiche delle case che caratterizzano tutta l’Asia.
Tali soluzioni architettoniche permettono alla luce di filtrare in modo naturale all’interno di tutto il palazzo sia attraverso ogni lato che al di sopra del tradizionale tetto piastrellato.
Per quanto riguarda la disposizione all’interno degli ambienti, possiamo dire che viene conservato quel rigore tipico della cultura giapponese cercando però di interpretarla sulla base di quelli che sono i principi di Kuma infatti, la struttura principale per la città di Beijing è l’arte muraria costituita interamente da mattoni e “ i miei” , spiega, “sono inquesto senso una revisione in chiave più moderna di quest’arte.”
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Scendendo al piano terra dell’edificio si trovano invece pavimenti e mobili in legno scuro mentre, ai due piani superiori, le stanze da sono decorate da tappeti intarsiati con motivi gli uni diversi dagli altri e diversi cuscini di stoffe pregiate che ricoprono il pavimento.
Nella visione architettonica di questo artista la costruzione si fa narrazione e l’unità è generata dalla ripetizione delle singole parti.
Nelle sue sperimentazioni un materiale tradizionalmente associato all’idea di pesantezza e come le pietre è utilizzato per ottenere effetti di particolare trasparenza e leggerezza, mentre il vetro è impiegato per creare una presenza di riflessi e opacità percepibili in modo stratificato.
“Il binomio natura-architettura è appunto la chiave più adatta per leggere tutta l’opera di Kuma. Tra i numerosi concetti critici che caratterizzano lo stile di questo architetto tre sono i più significativi. Il primo concetto è riassumibile nell’espressione mono no aware, concetto proprio della cultura giapponese che si può tradurre come “sentimento delle cose” o meglio, empatia tra l’uomo e le cose della natura. Il secondo concetto è quello di Spatial layering, stratificazione spaziale, caratteristica costante dell’architettura tradizionale Giapponese. Il terzo concetto è quello dell’architettura contestuale. Per Kuma, il contesto naturale, paesaggistico o urbano è il fattore decisivo dell’immagine architettonica.” (Matteo Belfiore, Visiting Researcher Kengo Kuma Lab, University of Tokyo)
Valeria Morterra © centoParole Magazine – riproduzione riservata